La tutela delle minoranze linguistiche storiche

di Vincenzo Santoro

da Anci Rivista, marzo 2003

 

2009_minoranze linguisticheCome è noto l’unificazione linguistica del nostro Paese è cosa recente, realizzata soprattutto attraverso i veicoli dell’alfabetizzazione di massa e completata, possiamo dire, dall’avvento di quel potente strumento di uniformazione culturale e linguistica che è la televisione.

Nonostante questo processo possa ormai dirsi compiuto, continuano a resistere delle “isole linguistiche” che conservano in tutto o in parte delle forme linguistiche che hanno una specificità “etnica”, cioè che sono specifiche di popolazioni stabilitesi su quei territori nei secoli scorsi. Anzi, l’Italia, in ragione della sua storia travagliata, conserva una significativa presenza di “minoranze linguistiche”. Secondo le stime del Ministero dell’Interno infatti circa il 5% della popolazione italiana ha come lingua materna una lingua diversa dall’italiano. Inoltre tali minoranze sono di provenienza molto varia.

La tutela delle minoranze linguistiche è già prevista dalla Costituzione (Art. 6). Per arrivare però ad una normativa specifica in materia è stato necessario attendere la legge 15 dicembre 1999, n. 482, che contiene appunto le “Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche”.

La legge, in attuazione delle norme costituzionali, prevede la tutela della lingua e della “cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo”, e ne promuove la valorizzazione.

Per raggiungere tali obiettivi la legge riconosce il diritto degli appartenenti a tali minoranze ad apprendere la propria lingua materna e prevede norme specifiche per l’insegnamento delle lingue minoritarie nelle scuole e nelle università delle comunità linguistiche riconosciute. Le scuole e le università devono promuovere iniziative per la valorizzazione delle culture delle minoranze. Sono inoltre previste specifiche attività formative a favore degli adulti.

Per il raggiungimento della parità dei diritti nell’accesso alla pubblica amministrazioni, la legge prevede l’utilizzo delle lingue minoritarie negli atti degli enti locali, accanto alla lingua nazionale, e l’attivazione di appositi sportelli bilingue. Anche il servizio televisivo pubblico deve prevedere, per le regioni interessate, delle trasmissioni nelle lingue minoritarie e specifiche iniziative di promozione delle culture locali.

Viene inoltre data la possibilità ai comuni di usare i toponimi in lingua locale sui cartelli di segnalazione stradale (con pari dignità rispetto all’italiano). Infine si afferma il diritto al “ritorno” al cognome originario per i cittadini residenti nelle zone di applicazione della legge, che hanno avuto il cognome “italianizzato” in maniera coattiva, pratica molto in uso durante il ventennio fascista, quando le lingue minoritarie, per ragioni politiche e ideologiche, sono state fortemente represse.

Per tutti questi interventi la legge prevede appositi finanziamenti statali, da erogare in base a progetti presentati dalle amministrazioni locali con cadenza annuale.

La fase di emanazione degli strumenti attuativi della legge è avvenuta con una certa lentezza, e si è conclusa solo con il regolamento attuativo, DPR 2 maggio 2001, n. 345, e con il DPCM del 23 maggio 2002, che contiene i criteri per la ripartizione dei fondi stanziati dallo Stato. In questo modo per l’anno 2002 sono state rese disponibili anche le risorse dell’anno 2000 e 2001.

Le amministrazioni locali hanno mostrato un forte interesse per questa iniziativa. Infatti per la ripartizione dei fondi del 2001 sono pervenuti al Dipartimento per gli affari regionali della Presidenza del Consiglio dei ministri ben 273 progetti, in gran parte (95%) provenienti dagli enti locali. I progetti finanziati in tutto o in parte sono stati 171, per complessivi 8 milioni di Euro circa. Invece per la ripartizione dei fondi del 2002 i progetti presentati sono stati circa 420 (con un finanziamento di 13 milioni di euro).

Il principale problema sorto nell’applicazione della legge riguarda il diverso stato delle “lingue delle minoranze” riconosciute nel nostro paese. Infatti vi sono da una parte delle lingue (come ad esempio lo sloveno, il friulano, il sardo) comunemente parlate dalle comunità, che storicamente hanno avuto problemi di discriminazione, a volte anche legati alla particolare natura “di confine” dei territori in cui risiedono (ad esempio tra l’Italia e l’attuale Slovenia i confini, per ragioni politiche, sono cambiati diverse volte nel corso del secolo scorso, creando problemi enormi e delicati per le popolazioni – italiane e slovene – che cambiavano continuamente Stato sovrano, e quindi lingua egemonica). In questo caso si tratta di riconoscere a queste minoranze il diritto di utilizzare la propria lingua d’origine a scuola o nei rapporti con la pubblica amministrazione. D’altra parte vi sono delle aree dove le lingue minoritarie sono il portato di antiche emigrazioni di popoli, in cui l’uso della lingua “madre” nei secoli si è sempre più ristretto, fino quasi a scomparire. In questo caso si tratta occorre mettere in campo innanzitutto politiche creative di “rivitalizzazione” della lingua.

La legge attuale appare più legata alle storiche rivendicazioni delle minoranze “regionali”, per cui questo tipo di problemi sono emersi con forza nella fase attuativa. Questo ha comportato la necessità di ricalibrare qualche modo le tipologie dei progetti ammissibili a finanziamento per contemperare le esigenze di tutti.

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