Musiche tradizionali del Salento

di Sergio Torsello

dal Nuovo Quotidiano di Puglia, 25/04/2005

 

mtdsLa “mitica” estate demartiniana del 1959 ritrova la sua colonna sonora: il violino di Stifani, i tamburelli di Salvatora Marzo e Grazia Zoccu, le voci di tanti anonimi cantori rimasti nell’ombra per più di quarant’anni. Voci e “suoni” che ora si possono riascoltare in due cd allegati a un libro Musiche tradizionali del Salento. Le registrazioni di Diego Carpitella ed Ernesto De Martino (1959 – 1960), curato da Maurizio Agamennone (Squilibri edizioni , libro più 2 cd, euro 23).

Un libro che si annuncia come un piccolo evento editoriale se si considera l’effervescente scena della pizzica e i molteplici coinvolgimenti che ruotano attorno alla rivitalizzazione del mito del tarantismo.

Nei due cd si pubblica, infatti, quasi integralmente la ricchissima documentazione sonora raccolta da Ernesto De Martino e Diego Carpitella nel 1959 nelle località di Galatina, Nardò, Muro Leccese (a corredo della celebre indagine sul tarantismo) e successivamente dal solo Carpitella nell’estate del 1960 a Giuggianello, Sanarica, Muro Leccese, Matino, Taviano e Ruffano.

Due raccolte storiche per l’etnomusicologia italiana a lungo conservate presso gli Archivi di Etnomusicologia dell’Accademia di Santa Cecilia con il contrassegno dei numeri 48 e 53, che ora rivedono la luce nell’ambito di un progetto editoriale che si propone di rendere accessibili ad un pubblico più vasto e alle comunità di provenienza tali importanti documenti sonori.

Siamo agli albori della ricerca etnoantropologica in Italia e queste registrazioni sul campo, dall’altro restituiscono non solo una significativa visione d’insieme del “paesaggio sonoro” salentino ma anche gli aspetti peculiari di una musica che, nelle società tradizionali, scandiva il tempo ciclico della vita e aveva nella “funzionalità” la sua ragione d’essere.

“Frutti puri”, potremmo dire con James Clifford, raccolti prima di quell'”apocalisse culturale” che avrebbe risucchiato in un buco nero storie di vita e di comunità, tecniche e saperi del mondo popolare. Per questo motivo, come sottolinea nell’ampio saggio introduttivo Agamennone (senza dubbio il contributo scientificamente più rilevante per l o studio della musica di tradizione orale salentina dopo quello di Carpitella del 1961 e il monumentale ma in gran parte ancora inedito lavoro di Sandra Tarantino) “il valore documentario delle due raccolte risulta altissimo: alcuni documenti sonori costituiscono veri e propri unica; non poche tra le espressioni musicali individuate e conservate sono oggi scomparse dalla prassi esecutiva; perciò le stesse raccolte costituiscono fonti preziose per la storia culturale della regione”.

In particolare, la raccolta 48 (dalla quale sono stati espunti per apprezzabile scelta del curatore i documenti sonori nella cappella di San Paolo a Galatina) si può considerare il più importante corpus documentario riferito alla terapia musicale del tarantismo.

Qui, accanto alla già nota personalità di Luigi Stifani, l’informatore privilegiato di De Martino, il barbiere-violinista che introdusse l’etnologo napoletano nel “mondo magico” salentino, emergono soprattutto le emblematiche figure di alcune donne tamburelliste: Grazia Zoccu, Salvatora Marzo, “Za Tora” , le “signore del tempo e del ritmo” che si rivelano veri e propri “alberi di canto” come dice Agamennone.

Una presenza, quella femminile, che emerge con sempre maggiore evidenza nella letteratura storica sul tarantismo (pensiamo alle recenti acquisizioni sulla pratica della “sputo medicinale” che si tramandava per linea di donne nella Galatina del settecento).

Degli aspetti legati alla meloterapia di Terra d’Otranto, Agamennone offre una ricostruzione puntuale, fermando l’attenzione sulle tecniche strumentali (violino, tamburello e organetto), sulla variabile composizione degli organici (che non si limitava al modulo classico dell’orchestrina terapeutica), sulle strutture melodiche e ritmiche delle pizziche tarantate, sul fondamentale ruolo dei musicisti, nell’assecondare e controllare i movimenti topici della crisi.

Di diverso contenuto i documenti pubblicati nella seconda raccolta che raggruppa stornelli, canti durante la mietitura, canti dei “trainieri” (dominati dalla spiccata vocalità di Giorgio Vitale), importanti esempi di canto polifonico “a grandi gruppi” che rievocano quella dimensione comunitaria dell’esecuzione, gli ultimi bagliori dell'”epopea del canto contadino”.

Un libro di grande affabulazione sonora, insomma, che si chiude con un saggio di Eugenio Imbriani (“La ricerca sul tarantismo di Ernesto De Martino“) e le foto di Diego Carpitella: immagini pregnanti di uomini e donne, musicisti e “vittime della tarantola” immersi in quella “non storia” che oggi si rivendica con orgoglio.

Un libro che si consiglia di adottare nell’università salentina e (perchè no?) anche nelle scuole superiori della provincia, se veramente vogliamo spiegare ai nostri figli chi siamo e da dove veniamo.

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