Dall’Africa all’Europa, al Salento. Le tracce segrete del tarantismo

Silvio Marconi: “Il criptotarantismo in Puglia. Dove si incrociano moltissime culture”

“Pensa all’attuale sistema di trasporti navale. E’ penoso. In un mondo che dovrebbe esservi basato interamente. Perché il più ecologico, il più compatibile, il meno costoso, e anche per le migliaia di chilometri di coste. Eppure la nostra portualità, lo ha recentemente rilevato persino Romano Prodi, è farsesca. Quando ha detto: vogliamo capire che il Sud Italia, e in particolare la Puglia, È il punto più vicino per chi vuole commerciare dall’Europa con la Cina? Attraverso il Canale di Suez, se voglio trasportare container dalla Cina o per la Cina, da dove li imbarco, da Brindisi o da Genova? Pensa, al momento, il contatto con la Cina non è nemmeno Genova, è Rotterdam. La Fiat da Torino esporta via Rotterdam, non via Genova. Che l’Italia non sia stata capace di scavarsi una nicchia nemmeno nel sistema dei trasporti, il che ovviamente significa scambi commerciali, rimanendo agli scambi puramente materiali, la dice lunga non solo sul sistema trasportistico, ma su un’idea della relazione, e più complessivamente sulla consapevolezza che noi abbiamo sulla nostra centralità mediterranea. Pari allo zero”.

Avevamo iniziato a discutere (vedi la precedente intervista apparsa su il Paese Nuovo del 5 agosto) con Silvio Marconi, ingegnere e antropologo, autore di moltissimi lavori sulle ‘reti mediterranee’ (Congo Lucumì, Parole e versi tra zagare e rais, Il giardino paradiso, Banditi e banditori, Fichi e frutti del sicomoro, Reti mediterranee, Dietro la tammurriata nera) di come rintracciare la rete di un modello a rete del mediterraneo protostorico, greco-fenicio-punico e medievale islamico, divenisse alla fin fine operazione di carattere eminentemente politico culturale. Non solo per dire quanto la storia sia più complessa di come la riduciamo e vogliamo imporre. Ma anche perché mettere l’accento sul modello a rete, piuttosto che sulla configurazione monopolare (romano, franco-germanico-iberica, coloniale e neocoloniale) conduce a esiti ovviamente eversivi.

Non solo nel rapporto col passato, ma soprattutto in quello col presente. Per questo Marconi, ospite ad Alessano nei giorni scorsi di Vincenzo Santoro e Roberto Raheli nell’ambito del progetto “Mosaico mediterraneo” promosso dai comuni di Corsano e Alessano con il sostegno della Provincia di Lecce, metteva in guardia sulle tante ambiguità anche della relazione attuale tra cultura diverse. “L’identità è un flusso. Si modifica nel tempo. Non è mai se stessa e non è mai autoctona. L’autoctonia è una delle più grandi menzogne che ci si possa inventare. Non c’è leccese, romano, milanese, che non abbia nella sua gastronomia tradizionale elementi altrui. Quando diciamo cucina mediterranea parliamo di una cucina basata sul pomodoro, che arriva dall’America. Prima di Colombo la cucina mediterranea non esisteva. Il punto, anche nella relazione tra culture diverse che chiamiamo con brutta parola intercultura, non è mai rapportarsi alla cultura dell’altro, ma capire quanto di quella cultura già è presente in noi. Se a Lecce arriva un immigrato albanese, o marocchino, o senegalese, siamo proprio certi che la domanda è: come ci si deve riferire a quella cultura? O non piuttosto chiedersi come ognuno di noi debba pensare all’albanese che esiste dentro di lui. Alle basiliche basiliane, al rapporto coi Balcani al tempo dei bizantini, ai Santi protettori di decine di comuni pugliesi nati in Serbia, in Bosnia, o in Albania. Sono questi i Santi patroni pugliesi. Allora ci sarà pure qualcosa che ci lega ai Balcani, oltre l’afflusso degli immigrati. Quell’immigrato è portatore di una cultura che è la mia. Non altro dalla mia”.

Così quel disegno a rete può alimentare una politica piuttosto che un’altra, un’accoglienza piuttosto che una paura, un meticciato più che una diffidenza. Soprattutto può con certezza definire una relazione, e abbattere quello strampalato concetto del purismo delle culture (gli antichi come si sede erano più dotti dei moderni). “Noi concepiamo gli scambi come pura merce. Ma in ogni cosa c’è un contenuto ideologico culturale formidabile che tra l’altro si trasforma anche in valore economico. Pensiamo ai formaggi, ai vini, ai profumi. Quelli francesi non sono migliori dei nostri. Però al supermercato li paghiamo il triplo. Perché? Dentro c’è la Francia. Non vendono solo un formaggio ma anche Napoleone, i Diritti dell’uomo, la Rivoluzione francese, la presa della Bastiglia, la Torre Eiffel. L’immagine immateriale di un mondo. Una componente sostanziale del prezzo del pro dotto non viene dalla qualità materiale dello stesso, ma dall’allure, dal fascino. La pubblicità non dice: il roquefort è migliore del gorgonzola. Dice è francese. Questa capacità di valorizzazione dei componenti immateriali dei prodotti l’Italia non è capace di farla. Ovviamente non solo l’Italia. Anche per questo siamo ridotti a un mercato delle vacche. dove non si guarda nemmeno più il contenuto immateriale della vacca, ma solo la vacca”.

Diceva che queste tracce, di cui abbiamo parlato precedentemente, sono segrete. Non tanto se lei è riuscito a ricomporle. Sono linee molto resistenti.

“Le tracce segrete sono quelle più resistenti. In queste mie ricerche sono rimasto stupito, lo sono quotidianamente, della creatività dell’essere umano e delle comunità umane. E mi chiedo perché, quando si vive nella cosiddetta normalità, non si ha la capacità creativa che si può avere in condizioni di oppressione estrema”.

Il suo paradigma preferito è la condizione degli schiavi neri nelle Americhe.

“Gente sradicata dal suo paese, portata letteralmente nuda nell’altro emisfero, dunque impedita nel portare con sé alcuna cosa che non fosse la propria nrnuia. ?kin avevano oggetti, cibi, tessuti, utensili del proprio paese. Nulla. Lavoravano in modo spaventoso, la vita media di uno schiavo nero a Cuba si aggirava intorno ai anni dal momento dello sbarco. Estenuati, in una situazione totalmente incomprensibile per loro, in un mondo totalmente diverso, in una società sconosciuta, sotto l’oppressione della Chiesa cattolica inaudita. Nonostante tutto questo sono riusciti a produrre ‘Sistemi culturali sincretici, come la Santena a Cuba, il Condomblé in Brasile, che vivono e proliferano, sono vitali, sono attivi, si modificano e si evolvono ancora oggi. A Cuba la gente che fa la Santerìa parla in lingua joruba, mai insegnata a scuola. Per due secoli e mezzo o anche tre, questa gente si è tramandata la propria lingua. Lo stesso vale per gli ebrei e per i moriscos. Capaci in Spagna, quando nel 1609 Filippo II emette Il bando per deportarli tutti, di mimetizzarsi in un modo incredibile. Si tenga conto che su una popolazione complessiva di 5-6milioni loro sono circa un milione.Parliamo della deportazione di un quarto dell’intera popolazione. Un terzo viene massacrato. Quello in realtà è un bando genocida, permette a qualsiasi cristiano di ammazzare qualunque morisco si ribelli alla cattura se trovato fuori della linea diretta dal luogo in cui abita ai posti d’imbarco. Una caccia all’uomo leggittimata. Trecentomila fuggono nel Nord Africa, portandovi la grande cultura andalusa, ed ecco spiegato il fiorire della cultura andalusa a Marrakech, Rabat, Casablanca, Tunisi, Tangeri, Algeri. Trecentomila spariscono nel nulla”.

Nel nulla è impossibile.

“Infatti. L’Università spagnola, che in questo è molto più attenta di quella italiana – a Malaga ad esempio esiste una cattedra di Flamencologia – ha avviato delle ricerche, e la storia è emersa, Questi trecentomila si sono camuffati da gitani, sono andati a vivere tra i gitani. Lo si evince da molti segni. Linguistici, e anche sociologici. La popolazione gitana aumenta esponenzialmente, e incredibilmente, ma soprattutto nasce la figura del gitano contadino, prima inconcepibile. In una serie di processi inquisitoriali si legge dell’accusa, a ‘cosiddetti gitani’, di pratiche cripto musulmane. Questi trecentomila si nascondono tra i gitani, che sono loro amici. Si capisce dal fatto che quando i pirati barbareschi catturavano una nave spagnola, i gitani venivano liberati subito. Cosa genera la apparente conversione al cattolicesimo? Molti segni, tra cui il flamenco. Non musica gitana. ma morisca. Non si chiarnava flamenco ma cante hondo. Viene chiarnato flamenco solo nel ‘700 quando la repressione morisca è terminata perché apparentemente sono finiti anche i morischi. Viene da una parola araba (felau mengu), che significa contadino fuggitivo. Una musica triste. originariamente, di nostalgia, per una patria perduta. L’Andalusia, che hanno dovuto cedere agli Spagnoli cattolici. Questa gente è riuscita a tenere nascosta questa radice per secoli. Faccio un altro esempio. Teresa de Avila, la copatrona insieme a Santiago de Compostela di Spagna, santa, fondatrice di un grande Ordine monastico”.

Sta dicendo che aveva altre radici?

“Sto dicendo che solo nel 1982 alcuni studiosi spagnoli hanno potuto dimostrare che il nonno era un ebreo.Ebreo di Toledo, convertitosi al cristianesimo, commerciante di stoffe, colpito dall’inquisizione, processato per cripto giudaismo. Poiché ricchissimo, riusci a corrompere i giudici, ed ebbe una pena minore, quella del sanbenito, la gualdrappa con la croce addosso in segno di penitenza. Poi scappa da Toledo, si trasferisce ad Avila con tutta la famiglia, compra una vecchia patente di cristiano vecchio, sorta di marchio di appartenenza. Lì nasce il padre di Teresa de Avila, e poi lei. Che nella sua autobiografia non nomina mai questo nonno. Fa menzione di tutti, ma di lui no. La ragione è semplicissima. Teresa de Avila era una cripto giudea. Tanto è vero che anche i suoi due confessori sono stati accusati di cripto giudaismo, metà delle suore con cui lei ha fondato l’Ordine monastico erano figlie di convertiti ebrei, nel suo pensiero e nella sua pratica religiosa si possono rintracciare evidentemente moltissimi elementi sia della religione musulmana sufica che dell’ebraismo. Questa donna, come del resto San Francesco, è riuscita a divenire grande santa spagnola, patrona di Spagna. Se avessero scoperto chi era veramente. L’avrebbero messa al rogo”.

Il che ci fa capire come la pratica del segreto quasi sia una invariante di questa cultura mediterranea che lei chiama a rete.

“Un elemento che mi incuriosisce tantissimo. Se si è capaci di fare questo in condizioni disperate, immaginiamo cosa si potrebbe fare in situazioni diciamo normali. Eppure così non è”. In fondo la riccherza delle lingue serpentine è data dalla necessità di difesa. Ritorno agli Intrecci. Di cui è ricco evidentemente il Salento. Vi accenno per titoli, così poi lei mi dirà se esistono relazioni, e quali, dal suo punto di vista. Il Mosaico della Cattedrale di Otranto, l’esistenza di Scuole ebraiche, e di Sinagoghe, ad Alessano e a Otranto, il complesso mitico rituale che noi chiamiamo tarantismo. C’è secondo lei una linea del segreto per cui questi titoli sono scrigni molto più ricchi, e densi, dl quel che noi possiamo comprendere? “Distinguerei le cose. In Puglia esistono, secondo me, tante linee del segreto, ma non necessariamente si collegano tra loro. Mi rifaccio all’esempio precedente. In Spagna non si rintracciano elementi di cripticità musulmana ed ebraica collegati tra loro. Mentre nel periodo del dominio musulmano l’ebraismo spagnolo era in forte connubio con l’Islam. Tutti i meccanismi protocabalisticisono molti legati alle dottrine sufiche, addirittura gli ebrei scrivevano in arabo e affatto in lingua ebraica. Quando si impone il dominio cattolico, i destini delle due comunita si separano con due strategie criptiche totalmente differenti. Gli ebrei non si nascondono tra i gitani. Mai. Di converso tra i musulmani sono assenti certe pratiche di tipo criptogiudaico. Penso che in Puglia avvenga la stessa cosa. E sulla esistenza di una linea di cripto giudaismo non c’è dubbio”.

Lo direbbe il numero estremamente alto delle comunità ebraiche.

“Che fioriscono dopo i decreti di espulsione degli ebrei, nel 1492, anno dell’editto della cacciata degli ebrei e del sequestrodei loro beni. Faccio una parentesi. Quello è un anno fondamentale per la storia dell’umanità. Cade Granata – l’ultima ridotta musulmana della Spagna viene conquistata il 2 gennaio – -si scopre l’America e i soldi per la spedizione delle Indie vengono dal sequestro dei beni degli ebrei. Quell’editto non è relativo solo alla Spagna, ma a tutti i possedimenti spagnoli. In teoria toccherebbe anche la Puglia”.

Ma qui il disastro non accade.

“La Corona di Spagna era ancora bicefala tra la Castiglia e l’Aragona. I provvedimenti castigliani non vengono applicati allo stesso modo nei possedimenti aragonesi o in quelli sotto l’influenza degli aragonesi. In Puglia gli ebrei mantengono ancora un margine di libertà, nei decenni successivi, inesistenti in altre zone del grande dominio spagnolo. Dunque, per tornare alla domanda, credo che esista una linea di criptogiudaismo che però non ha niente a che vedere col tarantismo. Così come credo che esistano una serie di stratificazione del tarantismo”.

In un’altra occasione lei ha detto:la prima domanda da fare sarebbe di quale tarantisrmo parliamo. Che vuoi dire?

“Del tarantismo studiato da Ernesto De Martino in una fase ormai di decadenza e degrado? Di quello settecentesco che lo stesso De Mattino cita nel suo libro, di quello studiato da De Rabo? O ancora di quello del 1500?”.

Capiamo meglio le differenze?

A un certo punto, ne La terra del rimorso, per De Mattino. Contraddicendosi, unadelle grandi differenze tra tarantismo e riti nordafricani (secondo lui giustamente simili, come lo stambali tunisino o lo gnawa marocchino), è nel fatto che il tarantismo sia puramente femminile. mentre quegli sono riti maschili, e solo delle classi subalterne. A parte che questi riti non sono per niente soltanto maschili, come lo gnawa, l’elemento più grave è che solo in alcune pagine precedenti De Mattino aveva ricordato come nel ‘500 e ancora nel ‘700, tarantati nel leccese erano vescovi, e nobiluomini spagnoli. Uomini, e per lo più di classi elevate. Nel dibattito ad Alessano ricordavamo come la moglie di Stifani raccontaasse che, lei ragazza, alcuni uomini, signori latifondiari pugliesi, praticassero il tarantismo. Poi certo, c’è stata un evoluzione. o un’involuzione. Ha finito con l’essere soltanto rito praticato dalle donne contadine e salentine. Ma era altra cosa”.

Secondo lei cosa? Ovviamente In base ai dati a sua disposizione.

“Innanzitutto il risultato, evolutivo, di una serie di sovrapposizioni. Che hanno trovato terreno fertile e fertilizzato”.

Torniamo ai sincretismni?

“Necessariamente. Qui abbiamo avuto la cultura messapica, di cui sappiamo ancora molto poco, perché la lingua ancora non è stata tradotta. Si è fatto grande sforzo per tradurre l’etrusco ma non per tradurre il messapico, popolazione mediterranea. Dopo i messapi abbiamo la grande fase dell’influsso greco e la presenza delle truppe cartaginesi. Dato molto sottovalutato, a parte gli Alamegretta quando cantano siamo tutti figli di Annibale. Il che è probabilmente in parte vero, considerati gli otto anni di permanenza. Ma il punto è che le truppe annibaliche hanno portato qui una serie di culti, sistemi rituali, non ellenistici, rivitalizzati con l’apporto berbero, da cui questi sistemi già derivavano. Tanto è vero che quando i Romani alla fine vincono le tre guerre puniche, l’unica città che si oppone ai Decreti è Taranto. Per punizione, i cittadini tarantini sono deportai a Roma come schiavi. A questo punto i riti Orfici già esistenti a Roma, riti di possessione di origine greca e meglio ancora di origine africana per filtro greco, quando gli schiavi tarantini arrivano a Roma esplodono, si diffondono nella plebe. E il Senato romano è costretto a indire un Senato consulto per proibire questi riti punendo gli adepti col lavoro in miniera”.

Morale della favola?

“La Taranto romana era già sede di riti. Si badi bene non quelli del tarantismo ma certo di tipo possessivo che hanno a che fare con la sfera simbolica di quel che sarà il tarantismo. Poi bisogna considerare gli influssi balcanici, bizantini. E quelli turchi. Ma prima dobbiamo ricordare un emirato arabo, in Puglia, e in seguito l’influsso turco, e ancor prima un influsso islamico-arabo, nel periodo normanno. Credo corretto parlare di influssi musulmani più in generale. Non solo turchi. Sui martiri otrantini, visto che parlavi della Cattedrale di Otranto, voglio riflettere un attimo. Anche in relazione a quel che accade adesso, questa esaltazione dei segni della cristianità, le nuove crociate. Si ricorda sempre, giustamente, l’orrore di queste ottocento persone massacrate dai turchi. Si ricorda molto meno, giusto per parlare di rimozioni, come non sia vero affatto che una tempesta abbia deviato la flotta turca da Brindisi a Otranto. Per niente. La storia e le documentazioni ci dimostrano quanto il problema reale fosse un altro. L’antagonismo commerciale tra Otranto e Venezia. Otranto dava fastidio . E Venezia, potenza navale tale da permettersi di impedire agli Ottomani qualunque sbarco nell’Adriatico, si accordò con i Turchi. Consentendo di attaccare Otranto e solo Otranto, devastandola e saccheggiandola. Alla Serenissima tutto questo tornava utile”.

La storia si ripete uguale.

“Diciamo che i turchi sono stati i Bin Laden della situazione. La manu militare di una vendetta veneziana contro Otranto per il dominio sull’Adriatico. E’ vero che i turchi sono stati i massacratori. Ma il mandante non era musulmano. Era la solita, grande, civilissima Repubblica veneta. Che usava tutti, e il contrario di tutti, per combattere i propri nemici”.

E questo spiega la penetrazione dl elementi turchi nelle ritualità indigene.

“Un ulteriore tassello verso l’evoluzione del tarantismo. Lo stesso De Martino ricorda che le prime due volte in cui si cita il morso della taranta come elemento dalle conseguenre di tipo medico fittizie, sono la Battaglia in Terra Santa durante le Crociate e l’assedio normanno della città di Palermo in mano ai musulmani durante la conquista normanna della Sicilia. Lo stesso in cui si realizza la gran parte delle chiese normanne in Puglia. I momenti in cui si parla di morso della taranta sono legati alle lotte tra cristiani e musulmani. Una in Medio Oriente e l’altra in Sicilia. Di più. Rimane aperta la questione del nome Taranto. Se abbia a che fare con la taranta, o col fatto che taranta, ad esempio, significasse anche rete da pesca. Voglio dire che c’è tutta una traccia costituita da elementi non autoctoni, ma di successive stratificazioni”.

E poi arrivano gli spagnoli.

“Quelli che arrivano in Puglia, aragonesi, spagnoli, fino ai borboni, che magari facevano il servizio qui come governatore, o ufficiale delle truppe, e avevano avuto rapporti con grandi realtà del Grande Impero spagnolo. Con Napoli. E si ricordi come Napoli, Siviglia, L’Avana erano un triangolo con fenomeni molto simili. Tutti i musicanti degli eserciti spagnoli erano neri. Molti servi delle famiglie nobiliari spagnole in Puglia erano africani. Portavano con sé i loro riti, le loro concezioni della magia, della ritualità Molti di questi spagnoli avevano fatto servizio a Cuba, dove c’era la santerma. Molte donne di questi spagnoli avevano la tata nera che insegnava loro i filtri d’amore e le magie secondo i riti africani. Tutto ciò arriva su un terreno fertilissimo, il Salerno, e introduce ulteriori elementi. L’ufficiale spagnolo che aveva già conosciuto queste cose in Spagna, a Napoli, o a Cuba, viene qui e non ha nessuna difficoltà a inserirsi nell’ideologia del tarantismo dell’epoca. E’ in fin dei conti una delle tante forme di magia con cui già ha avuto a che fare. Quella era gente più cosmopolita di quanto noi pensiamo. Ecco perché parlo di criptotarantismo. Di una linea evidente che collega l’Africa con alcuni punti forti dell’Europa”.

tratto da Paese Nuovo
di Carla Petrachi
pubblicato il 17/08/2005

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