La tentazione della “salentitudine”

futurosestFuturo a Sud Est
Da Lecce a “lu Capu”, tra gli italiani di un confine che è una piattaforma sul Mediterraneo. Un luogo distante da tutto, indeciso tra energia e fatalismo, molte anime, e la tentazione della “salentitudine”

Reportage di Gian Luca Favetto; Foto di Ziyah Gafic. Tratto da D “La Repubblica delle donne”, settimanale del quotidiano La Repubblica. N. 622 dell’8 novembre 2008

Santa Maria di Leuca. Roccia e onde. Qui finisce il mondo nel suo piccolo. E ne comincia un altro. Oltre c’è solo mare, e navi in lontananza. Fermi i piedi e inizi a nuotare. Con lo sguardo. Un tempo era una terra di confine. Ora è una sospensione, luogo indeciso tra passato e futuro, tra certo e incerto. Un posizione geografica e sentimentale che attende una definizione precisa. Nell’attesa, vive attaccata alla sua roccia e al suo mare. Se anche la definizione non arrivasse mai, fa lo stesso. Il suo racconto è già nel nome, nelle immagini che evoca, nelle facce, nei suoni, nella memoria che produce: Salento, quella parte di tacco che scivola lenta da Lecce a lu Capu, un imbuto che conduce alla fine. Destino, destinazione Sud-Sudest.
«Qui siamo solo all’inizio della fine». La frase, accompagnata da un sorriso che è una sottolineatura di orgoglio e disincanto, viene da un gruppo di ragazzi pescati a passeggio per Lecce, città barocca e indolente che è la porta d’ingresso di questa terra ultima. futurose1Maurizio Buttazzo, fotografo e designer del riciclo, spiega: «Può essere la fine del mondo, ma anche l’inizio. Dipende da come ti svegli e dal vento. la tramontana soffia fredda da nord, rende limpido il cielo e un po’ ci tranquilizza. Lo scirocco da sud è caldo, appiccicoso, irritante, toglie il respiro, appesantisce l’aria». Nel novembre 2007 ha inaugurato le Manifatture Knos, 4.000 metri quadrati delle ex Opere Salesiane diventati centro per la ricerca e la formazione. «Sono stato via venticinque anni e adesso vedo il Salento come un punto di partenza, una piattaforma per il Mediterraneo: Il Nord è un supporto di professionalità, tecnologie, progresso che consente di proiettarci verso sud». L’isolamento è geografico, storico e mentale.
Agnese Manni da quattro anni guida la casa editrice di famiglia, la Manni Editori, e contro l’isolamento combatte a colpi di libri. «Qui è come sentirsi in esilio a casa propria. La dimensione è provinciale. Anche se vai fuori, quando torni e fai vita sociale, ti ritrovi ai tempi del liceo. È pesante viverci, è bello passarci, rimani affascinato dai colori, dai sapori, poi torni a nord, noi invece si resta. Restare vuol dire abituarsi a essere distanti da tutto. La differenza ra qui e Leuca? Preparati, laggiù la lontananza è al quadrato».
Sono sessantacinque chilometri, da Lecce fino al Capo: lungo la statale 16, fino a Leuca, che è un porto, un faro, un santuario, tanti alberghi e ristoranti, belle ville, spiagge a destra e grotte a sinistra. Ionio più tranquillo di qua e Adriatico di là, mare sfunnatu, come lo chiamano, senza fondo. Scopri presto che questa terra aspra e stordente è fatta di molte isole, è un caleidoscopio di identità e paesaggi, un inventario di persone originali, piene di energia venata di fatalismo.
Come Vincent Brunetti, l’uomo che vuole essere farfalla. Pittore e visionario, abita a Guagnano, in unfuturose5 bizzarro palazzo-labirinto che sta tra Arlecchino e Ricasso. produce quattro quadri al giorno e li vende la domenica pomeriggio, quando si presentano centinaia di persone per assistere ai suoi show di ballo, parola e pittura. «Il Salento è un luogo abbandonato, ed è la sua fortuna», dice con entusiasmo. «È rimasto incontaminato, può regalare agli uomini il privilegio della fantasia». Come spiega Sergio Blasi, sindaco di Melpignano, paese della Grecìa salentina, colui che ha inventato la Notte della Taranta, due settimane di festa in cui la tradizione incontra la musica contemporanea. «Un tempo il Capo di Leuca era un confine», osserva. «Non si pensava di prendere la littorina per andare giù, soltanto i treni che portavano a Milano, oppure a Zurigo. Ora invece il Mediterraneo diventa area di libero scambio e possiamo pensare a nuove rotte. Da ultimo lembo d’Italia, periferia d’Europa, ci ritroviamo al centro del mondo». Come Claudio Giagnotti, “Cavallo”: origine rom, fondatore dei Mascarimirì, sei cd in dieci anni, musica internazionale con anima salentina. Abita a Muro leccese, città messapica, ma con la testa arriva a Marsiglia. Mischia la tradizione della pizzica con la Francia del Sud, Barcellona, Clash e Massive Attack.
«Il Salento si muove più dei salentini. Inglesi, americani, italiani del Nord comprano le case a corte e a volta, quelle che i salentini abbandonano. Negli ultimi anni è nato lo slogan futurose2Salentu, lu sule, lu mare, lu jentu”. Falso, noi siamo una terra di pietre che cantano, ulivi mani spaccate e rughe in faccia. E anche di lavoro nero e sfruttamento. Paesi, campagne, muri a secco, uliveti, pietre rocce, campi desolati, orizzonti monotoni che all’improvviso s’impennano in una stranezza struggente; a poco a poco sembra che non sia tu viaggiare in questa terra, ma è questa terra spaccata dal sole e dalla solitudine, come ha riassunto Salvatore Quasimodo, a viaggiare in te. «Il Salento è un paese dalle molte anime dove i turisti possono ancora essere viaggiatori. È la disorganizzazione territoriale che impone la lentezza», spiega Eileen Coppola, padre salentino e madre irlandese, che fa viaggiare gli stranieri in Puglia. «Da Otranto in giù, soprattutto, è una terra che va ascoltata. Le sensazioni non derivano solo dal visibile, il maggior fascino è segreto, non viene da ciò che è più evidente».
«Giù trovi proprio la fine, una terra più vecchia di questa», è l’avvertimento di Yuri Battaglino, architetto e urbanista. Mancano trenta chilometri a Leuca, ma nelle parole dei ragazzi del Laboratorio Urbano Aperto di San Cassiano, che raccontano di cura del paesaggio e condivisione del territorio, sembrano tre secoli. Dopo gli studi a Firenze e a Milano, sono tornati per lavorare “a casa”. «È comunque difficile», confessa Gaetano Fornarelli, il barese del gruppo. «Qui c’è un punto di vista “salentinocentrico”. oltre Lecce non si guarda, Brindisi è già fuori orizzonte, più lontana di Copenaghen». Quella che per Yuri è la fine, per Alessandra Lupo futurose4è il principio: «Vai giù, vacci: Corsano, Gagliano, Presicce, Castrignano, quelli sono l’origine. Duri, arcaici? Per forza, sono l’origine». Sono il tempo al suo inizio. Hanno qualcosa dell’eternità: un punto di noia, uno di meraviglia e uno di spavento. Per i forestieri sono mete da raggiungere, per loro sono un punto di forza, il luogo da cui cominciare il viaggio.
«Mai sentito un salentino pronunciare la parola Puglia. Ci teniamo alle differenze», sorride Edoardo Winspeare, il regista che con Sangue Vivo, Il miracolo e Galantuomini, ultimo suo film in uscita, ha raccontato la frastagliata identità di questa terra. Di origini napoletane, vive tra Depressa e Corsano, già una porzione del Capo. «Chi va fuori e poi rientra è convinto di tornare in un posto magnifico. C’è una forte identità mediterranea. Poi ci sono le donne più belle del mondo, le più fiere. Da questo finisterrae, dove si ascoltano radio greche e albanesi, dove si sempre con un piede fuori Italia, iniziano rotte immaginarie. Inizia un mondo di avventura, in cui puoi incontrare Lord Jim e Corto Maltese. Gli uomini hanno facce che sembrano silenzi e nature selvagge, occhi che bruciano e sorrisi aperti; le donne hanno camminate suadenti, quasi fragorose, sguardi penetranti e parole svelte. Sono l’incarnazione del paesaggio. Dimostrano orgoglio e amore per questa terra: è ome ci stanno, come la abitano, come la vivono, al di là delle parole. La passione fa di loro la radice. «Se te ne vai perché vuoi vivere altrove, bene. Ma se vai via perché qui non c’è lavoro, allora no, devi creartelo, il lavoro», si ribella Monica Comi, laurea in geologia a Bologna, tornata per aprire uno studio ad Acquarica del Capo. «Terra di pozzi artesiani, grotte, acque sotterranee», ricorda. Perfetta metafora che suggerisce l’anima nascosta dell’ultimo arrocco di Salento prima del mare.
futurosestedIl mare, finalmente. «Ci hanno sempre raccontato come civiltà del tabacco e delle olive, ma tutto qui porta al mare, richiama la centralità marina», sostiene Antonio Errico, art director fuggito da Milano e rientrato a Tricase, dove nel 2003 ha fondato con amici l’associazione Magna Grecia Mare e la Scuola di vela latina e antica marineria. «Se attraversi il Salento via terra, impieghi un’ora; a circumnavigarlo, un mese. L’acqua non è un confine, mette in comune. Pensa il Mediterraneo come un porto: l’Italia è il molto al centro, il Salento è il pontile attaccato al molo e lu Capu è la testa del pontile». Della testa del pontile, Santa Maria di Leuca, mille abitanti e il porto come piazza, è l’ultimo metro quadrato. Più che una fine, un avamposto. Buzzatiano, in autunno inoltrato. «Per la gente di terra, forse Leuca è un capolinea, ma se vai per mare è un posto di passaggio», dicono gli istruttori di vela di Smarè, Gabriele Scorrano, Gabriele Pellegrino e Federico Pirelli. «Qui finisce la navigazione costiera e inizia il salto verso Grecia e Balcani, o verso ovest». Ottanta miglia per Crotone, ottanta per Corfù. E verso sud? Ti guardano con una tranquillità che appartiene a un altro mondo: «verso sud c’è l’infinito».

si ringrazia l’amico Alfredo Romano per la segnalazione

FacebookTwitterGoogle+WhatsAppGoogle GmailCondividi

Lascia una risposta