Il bracciante e il bibliotecario. Giuseppe Papa: dalla cultura della fatica alla fatica della cultura

Giuseppe Papa, bracciante, dirigente politico e sindacale, sindaco per 12 anni della sua Lucera, ci ha lasciati il 7 agosto scorso. In suo ricordo, pubblichiamo una lunga intervista concessa a Giovanni Rinaldi.

di Giovanni Rinaldi

da “Sudest Quaderni”, n. 14, maggio 2006, pp. 92-97

 

 

36830_1463999131914_1591571999_31061796_4704657_nIn una caldissima serata estiva arrivo a Motta Montecorvino. Ho appuntamento con Giuseppe Papa, al quale il suo paese natale tributa una corale festa di riconoscimento. Peppino ha da poco ricevuto dal Presidente Ciampi l’onorificenza e il titolo di commendatore. E’ un percorso insolito il suo: da bracciante agricolo, attraversando tanti mestieri – guardiano di animali, stalliere, buttero, aratore e tracciatore di solchi – e tanta militanza e attivismo politico e sindacale, nel partito comunista, nel sindacato, fino a diventare sindaco di Lucera per 12 anni e poi consigliere regionale. A questa sua vita così intensamente vissuta Peppino dedica il suo attuale impegno quotidiano: quello di animatore sociale e culturale e di attento conservatore della memoria sua personale e della classe a cui rimane strettamente legato.

Così infatti scrisse dalla cella della questura di Foggia, la notte tra il 14 e il 15 di giugno del 1949: “Il mio giuramento alle mie origini di classe, bracciante del Tavoliere di Puglia, uomini dalle mani callose, la faccia bruciata dal soleleone. Di te conserverò la tua origine di classe, la tua resistenza nella lotta, fino alla mia morte. Questo è il mio giuramento che io ho dedicato alla mia classe, prendendo spunto da quello che Di Vittorio fece… Io glielo chiesi pure a Peppino Di Vittorio perché quel giuramento, perché lui giurava alla classe dei braccianti, con la bandiera, sull’aratro…”.

Peppino mi porta a visitare la sua mostra biografico-documentaria allestita in una sala del Comune di Motta. Con il solo aiuto della figlia, che oggi gli fa compagnia, Peppino ha realizzato, in modo semplice su pannelli di cartoncino, un itinerario storico e didattico eccezionale: dai ritagli di giornale alla pagella scolastica, dalle foto d’epoca alle tessere politiche, dalle lettere manoscritte ai documenti d’archivio, tutto strutturato in uno schema logico e cronologico legato da didascalie e riflessioni. E’ la sua autobiografia – da bracciante a commendatore – non per mettersi in mostra, ma per raccontare e condividere con gli altri un percorso di vita appassionato e coerente.

Un filo conduttore preciso, oltre quello politico e sindacale, si dipana nell’esperienza biografica di Papa: è quello dell’anelito costante all’acquisizione dei mezzi culturali per dominare e guidare il proprio desiderio di cambiamento del mondo e delle condizioni di vita della sua classe.

Così racconta ricordando i suoi anni giovanili vissuti nelle masserie del Tavoliere:

“Ero stalliere, il mio compito era stare con i cafoni e dormire nella cafoneria. Le masserie allora erano grandi, c’era lo stallone dove stavano i cavalli, dove a fianco c’erano delle stanze grandi, si poteva dormire 40 lavoratori. E io stavo lì ad accudire, ad accendere le luci la notte nella stalla, ad alzarmi a portare la paglia. Mi dispiaceva svegliare gli anziani, allora andavo io, ero uaglione. Mi arrivavano le dispense [da una scuola per corrispondenza]. Io facevo il compito e glielo mandavo. Me lo correggevano e mi indicavano ‘Fai così… fai così’, mi istruivano, per un anno. Le dispense arrivavano e venivano. Tutto a un momento non mi arrivavano più. Non mi arrivavano le risposte alla mia corrispondenza. Io le mie le facevo partire: perché le arrivavo ad imbucare e partivano. Io indicavo [come destinatario] la via dove abitavano i miei padroni e dove arrivava la posta. Mio padre l’andava a prendere e me la portava. Quelli [i padroni] ricevevano le lettere e me le mandavano [all’inizio senza controllarle]… non se n’erano accorti [che erano dispense scolastiche]. Un giorno venne mio padre e disse ‘Peppì che è successo? Ma tu che fai?!’ ‘Come che faccio? Il buttero, papà’ ‘Il padrone mi ha detto che nella masseria lui c’ha i lavoratori, un buttero, non lo studente. [Il padrone ha detto] ‘Lui deve lavorare, non può studiare. Lui si è messo a studia’, che vuole fa’ il geometra, l’avvocato?'”. Allora io scattai immediatamente, me ne scappai. Dissi a mia madre ‘Dammi i vestiti che me ne vado’. Ero il primo figlio e come facevano? E allora ho dovuto sentire a mia madre, mi dispiaceva, ero il maschio, con tutte quelle femmine, solo dopo anni arrivò il primo fratello. Loro avevano bisogno di me. E così dovetti cedere. Però il libro me lo sono sempre portato dietro. Hai voglia loro a strillare! Io quando dovevo leggere leggevo. Vi giuro su me, che se ci fosse stato Peppino Di Vittorio [in quegli anni Papa non conosceva ancora Di Vittorio], dovunque fosse stato io lo andavo a trovare, all’età di 13 anni. Non lo sapevo dove stava. Poi gliel’ho detto pure a lui. [Di Vittorio] mi tirava l’orecchio quando gli dicevo queste cose. ‘Peppì – disse – senti, hai fatto bene proprio, poi a continuare e a non abbatterti'”.

Per meglio definire i modi attraverso i quali le classi popolari aggiravano gli ostacoli frapposti alla loro crescita culturale Peppino mi racconta un altro episodio emblematico:

“Il tribunale di Lucera è stato un luogo dove la popolazione di Lucera ha cercato di fare cultura. Andavano lì, per esempio i braccianti, d’inverno quando erano disoccupati, soprattutto quando si svolgevano i grandi processi di omicidi, andavano in Corte d’Assise, perché funzionava anche la Corte d’Assise. Questo avveniva prima ancora che ci fosse la guerra, ma dopo della guerra hanno continuato ad andare, anzi di più. Allora noi vedevamo questa situazione, di come migliorava la cultura dei braccianti. In quanto la sera – noi facevamo le riunioni alla sezione [del partito] – succedeva questo: al ritorno dal dibattimento che si sviluppava man mano nella Corte d’Assise, questi che assistevano tornavano in sezione, ripetevano il processo! ‘Ma sai, quell’avvocato…’ Sai, quell’altro…’. ‘Quello deve essere condannato! Vedrai!’. Scommettevano! se il giorno dopo che doveva esserci la sentenza venivano condannati o meno. Sapevano tutti i numeri [gli articoli] del Codice [civile o penale]. La cultura…[era] il Tribunale, per Lucera, per i cittadini di Lucera, da sempre. Com’anche per un certo periodo l’Opera dei pupi siciliani. Qui si è svolto, in un sotterraneo, prima era una cantinona, era grande ‘sta cantina, lì si svolgeva l’Opera dei pupi, siciliani. E mio suocero ha portato anche la mia moglie lì. Erano lucerini, ma [in origine] venivano da fuori, poi man mano si è abituato anche questo di Lucera e allora riuscì ad essere autonomo. Lucera è stata sempre un paese di cultura”.

Ma torniamo alla serata di Motta: nell’attesa di avviare la parte ufficiale della manifestazione – il sindaco Pietro Calabrese nominerà infatti Giuseppe Papa cittadino dell’anno – arrivano i telegrammi di felicitazioni per la sua nomina di commendatore. Tra gli altri il più affettuoso, quello di Baldina Di Vittorio, alla quale Peppino è legato da antichissima amicizia. La serata riserva però una sopresa inaspettata: all’improvviso giunge da Roma Gaetano Gifuni, segretario della Presidenza della Repubblica. Il giorno prima – probabilmente proprio per non avere intorno il clamore dei media – aveva inviato una sua lettera indirizzata al sindaco in cui esprimeva il suo pensiero più amichevole nei confronti di Papa e si scusava di non poter intervenire per impegni istituzionali. Così, sobriamente ma con un po’ di ovvia solennità si forma un piccolo corteo con alla testa Papa, Gifuni e tutte le autorità locali. Tra le luminarie della festa patronale del paese, sul palco dove vengono ospitati, Papa si rivolge così ai tanti presenti alla cerimonia: “Voglio ringraziare voi che siete venuti così numerosi… tanti, che in questa piazza io ho visto da quando ho cominciato a capire la vita. Capirla che significa? Percorrerla la vita, nel divertimento e nel lavoro. Sì, si doveva lavorare e queste strade lo sanno, questa strada lo sa quante pietre io ho dovuto rompere perché la mia famiglia non patisse quel brutto inverno del 1945. Chi poteva pensare, chi… un giovanotto, ragazzino, semianalfabeta come me, che un giorno potesse diventare [commendatore], avere questo riconoscimento dal Presidente della Repubblica. Che significa questo? Perché sono contento?”. Peppino è emozionato e, come a ribadire la sua antica volontà di crescita culturale avvia il suo discorso con questa dedica: “Quale ricordo voglio citare…? Cinque anni di scuola! Voglio ricordare una persona, permettetemelo. Colui che con i cinque anni [di scuola] mi ha dato il suo faro. Con quel faro che illumina la rotta ai naviganti. Quell’uomo è un prete: il mio maestro! Giovanni Pepe. Sono stato a scuola da lui per tutti e cinque gli anni, in questo paese, in queste strade, in queste viuzze”. Proseguirà poi raccontando sinteticamente la sua vita e il suo impegno.

Gifuni è altrettanto emozionato, lontano dai quotidiani impegni istituzionali – accanto a sei presidenti della Repubblica – sembra sentirsi finalmente a casa. Dice a chi gli chiede un intervento: “Il mio lavoro impone il silenzio”. Poi comincia a parlare, quasi a voler motivare la sua presenza e la sua decisione di esserci, comunque. E racconta della grande amicizia che lo lega a Papa ma soprattutto – quasi in sovrapposizione con il racconto autobiografico che per frammenti ho più su riportato – dell’incontro tra il padre Giovambattista Gifuni, direttore della biblioteca di Lucera e Peppino Papa, bracciante e segretario della Camera del lavoro: ” Voglio dirvi soltanto che di questa persona io vedo tre aspetti: l’aspetto innanzitutto… – che è quello che conta di più – dell’uomo. E allora l’uomo è tutto: è un figlio modello, è uno studente – purtroppo limitato alle elementari – modello. Padre più che esemplare. Poi questo senso di umanità – che è andato al di là di ogni questione politica, di ogni differenza di idee – lo ha legato a voi, innanzitutto, essendo figlio della vostra terra, ma lo ha legato poi a Lucera e a tutti i lucerini. Il secondo aspetto è quello del combattente, del militante, di quello che ci crede. Parliamoci chiaro: sono oggi sempre più rare le persone che credono veramente e che vivono la loro vita attiva, di politici… per una questione di fede. Questo è un uomo che ha creduto e crede in certe cose che non ha mai tradito. E vivaddio questa è una cosa grandiosa! E quindi per me è un grande onore e una grande emozione poter essere questa sera qui. Perché sono sicuro di poter rappresentare… [innanzitutto] la mia famiglia. Però io credo di poter dire che qui io rappresento mio padre! E allora posso dirvi che mio padre fu un grandissimo amico, un fratello maggiore, tutto per Peppino e Peppino per mio padre. Ecco perché ho parlato di gratitudine nei confronti di quest’uomo, di questo fratello carissimo. Perché nei momenti difficili – perché nemo profeta in patria, e mio padre ebbe degli anni in cui dovette ingoiare qualche boccone amaro – la persona che non lo ha mai abbandonato, che lo ha difeso in tutte le sedi istituzionali, pubbliche… si chiama Giuseppe Papa. E la gratitudine è immensa. E sono contento quando Peppino mi racconta del suo primo incontro con mio padre… Questo giovane che, eletto segretario della Camera del lavoro e consapevole dell’importanza della carica, dice ‘Ma io a Lucera a chi mi rivolgo? Chi è bene che conosco?’ ‘Vai in biblioteca che c’è il direttore. Certo è un po’ austero, è un po’ difficile, però vai’. E invece lui rimase sorpreso dall’accoglienza che gli fece mio padre. ‘Che vuoi fa’? Vuoi sape’? E allora mò vieni qua, quando hai tempo…’ e cominciò con la storia, coi libri, con tutto e quindi è stato veramente un sodalizio indistruttibile, che si è trasmesso a me e ai miei figli. Il terzo aspetto è quello del grande amministratore. Giuseppe Papa ha dato un impulso alla crescita civile e sociale di Lucera enorme. E lo ha dato non più nella veste di un uomo di partito. Lui veniva eletto nelle liste come capolista, con un suffragio enorme, nelle liste del partito comunista, però poi quando si sedeva a Palazzo Mozzagrugno era il sindaco di tutti i lucerini. E questo lo hanno capito tutti. E questo è qualcosa che ha fatto di lui – io lo dico con molta franchezza, sperando di non dispiacere ad altri – il più grande sindaco di Lucera“. I due grandi protagonisti della serata si abbracciano, la folla li sommerge e la serata, con le luci, le bancarelle e le canzoni prosegue nelle strade di pietra di questo piccolo paese del sud.
Nota

I testi riportati sono trascritti dalle videoregistrazioni effettuate il 23 giugno 2005 a Lucera nell’abitazione di Giuseppe Papa (con la partecipazione di Giovanna Zunino) a Motta Montecorvino la sera del 28 agosto 2005.

 

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