Anche Bob Dylan è salentino e ama la pizzica

di Don Pasta

dal manifesto del 21 agosto 2010

SelfTimer Off

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Quando mi chiedono di parlare della Notte della Taranta, penso a Bob Dylan, che peraltro vedrei bene come maestro concertatore. Mi spiegherò, sapendo che parlare di salvaguardia di una storia popolare fatta di dolori, capolarati, religioni annichilenti, libertà delle donne è sempre delicato. Peraltro non so se sia io la persona giusta. Ho unito la parmigiana a Coltrane e il polpo in pignata ai Clash e sopratutto mi sono permesso di dire che le ragioni alle origini del tarantismo andrebbero cercate nello strutto dei pasticciotti piuttosto che nella chiesa di San Pietro e Paolo.

Può sembrare idea balzana, e in parte lo è, ma lo era anche la Notte della Taranta, nata a Melpignano e non a Galatina o a Torrepaduli, dove quella cultura era stata salvaguardata per anni.

A che serviva salvare una tradizione scomparsa? Ritorno a Bob Dylan. Quando fece Like a Rolling Stone, una generazione di hippie lo accusò di essere un traditore della tradizione. Rispose che non ne era lui a salvarla, ma il popolo stesso, grande costruttore di storie. «Queste canzoni che parlano di innamorati che diventano oche, di rose che escono dalla testa della gente, di cigni che diventano angeli, non moriranno mai. Non sono canzoni di musica folk, sono canzoni politiche. Queste persone della musica tradizionale raccolgono quel mistero, pieno di contraddizioni. E caos, cocomeri, orologi. C’è di tutto nella musica tradizionale. Non ha bisogno di essere protetta, perchè è troppo irreale per morire. Ha a che fare con la purezza. La sua insignificanza credo sia sacra».

La Notte della Taranta nacque quando nei luoghi storici del tarantismo raccontato da De Martino non c’era più nulla. A Galatina non restano tracce del passato. D’altronde che le tarantate fossero protette da San Pietro e Paolo fu l’operazione classica di marketing del cattolicesimo. Impossessarsi della cultura popolare e metterci un santo che protegga. Da allora Santu paulu pizzica li cujuni.

Quando io ero ragazzino le tarantate non c’erano più. Non si coltivava il tabacco. Si diceva che il ragno non sapesse più dove nascondersi, quindi non pungeva più. Eppure c’era un pudore, una vergogna nel dirlo. Una cicatrice mai chiusa veramente. L’altro giorno dalla finestra ho sentivo un discorso tra vecchiette: «Sorte noscia, oce nu stau filu bbona». «E cce ggè ca teni?». «Nu sacciu». «Ma te face male a quarche vanna?». «A nuddhra. La malesciana tegnu». Ma cos’è sta malesciana?. Non ha neanche un nome in italiano. Malinconia non regge, non rende. Come a dire che sopra Roma stanno tutti bene. Eppure… certe facce!

Il nodo del discorso è li. Un tempo le pizzicate si curavano a casa con la musica. C’era il violinista e barbiere Stifani che suonava per ore. Loro ballavano senza sosta e la comunità si costruiva attraverso il vino, la musica, la festa, l’offrire ciò che si ha, il più possibile. Più non hai, più offri. Ti togli ciò che servirebbe in futuro. Per fare e proteggerti attraverso la comunità, generalmente mediante la condivisione di: maialini, agnelli, turcinieddhri, mieru e strutto appunto.

De Martino non si sbagliava. Questo mondo, lacerante e lacerato, il suo elemento «magico», con i suoi i rituali, cercava di rapportarsi con la realtà non cosciente attraverso movimenti, convinzioni e convenzioni antecedenti all’innesto del pensiero religioso. Dietro quel pensiero c’era l’intuizione popolare dell’avere il coraggio di rapportarsi con le proprie paure, in una epoca razionalizzante che per annullarle, queste paure, aveva cancellato con sé il mondo magico dell’animo umano. Gli dava anche un nome, per cantarla e provarla a scacciarla. Malesciana, esattamente come il duende gitano, la saudade brasiliana, il blues afroamericano, l’apucundrìa napoletana.

Ma alle volte gli incantesimi nelle dinamiche culturali sono sorprendenti. La Spagna si presenta al mondo con orgoglio, attraverso il flamenco dei gitani. Quelli disdegnati, cancellati da noi. Ecco perché ciò che ha reso il Salento e la Notte della Taranta come il più interessante e dinamico laboratorio culturale d’Italia è stata quella lungimirante operazione di rivalutare una cultura annullata per anni, quella contadina.

Ma che centra Dylan? La Notte della Taranta mostra e una tradizione esiste e resiste se è e sarà scompigliata dalla fantasia umana, dall’atto creativo del popolo e dei suoi cantastorie.

A proposito. Il mio barbiere mi ha detto che Bob Dylan era salentino. Il suo cognome fu storpiato a Ellis Island. Nonno Ermanno Zimba, cantore di una famiglia di cantori arrivò per fame ai primi del novecento. «Wots iour neim». «Iou me chiaumu: Zimba Ermanno». Zimmerman scrisse il tipo. Mr.Tambourin è un omaggio al tamburello. In origine si chiamava uei, mesciu tamburrieddhru e la scrisse a Porto Badisco con Uccio Aloisi… Mangiando ricci, ovviamente.

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