A Uccio Aloisi

di Don Pasta

da Left del 28 ottobre 2010urlLa gente nun canta cchiui. S’à persu lu bellu te la vita. Troncata, di netto. Un addio. Ci sono uomini inquieti che passano e trasformano. Antitesi di Attila fanno crescer fiori nel deserto. I fiori della tradizione non arrivano per caso, anche se la leggerezza di chi li posa lascerebbe intendere il contrario. Bisogna essere senza remore per seminare. Perché la canzone fatta bene è bella ed è indimenticabile. Altrimenti non vale un cazzo, in sostanza, non ha mordente. Entrare nella terra di vanga, di parola, lasciar la traccia. Ferire la terra. E’ morto Uccio Aloisi. Se c’è qualcuno che ha saputo raccontare una storia in Salento fuori dal tempo, nel tempo, è lui. Umorale, scorbutico, senza rispetto. Ne ho inventate tante… Ma poi ‘sti giovani di oggi non capiscono un’ostia. Lui costruisce le comunità. Le ha costruite. Per secoli, per millenni, c’è sempre stata nel suo viso antico, in ogni ruga, una semina, una canzone. Non esiste un pensiero contadino senza Uccio Aloisi. Perchè senza un cantastorie non esiste comunità, come Re Lear senza The Fool. Contenitori di verità, buffoni e cantastorie, avevano il diritto dell’offesa perchè interpretavano la verità, nella parola, irriverente, pulita. Quisti quai ca cantane moi su tutti morti.

Uomo senza paura, Mick Jagger del Salento, conosceva la regola della musica. Far star bene la gente. Passò dalla putea al palco senza mai capire veramente il concetto di concerto. Avrebbe cantato sino a morire di stanchezza, così aveva sempre fatto, in missione per conto del popolo. Fu amante di stornelli, uomo dalla bella voce. E mò, inizi una tarantella e dududum dududum e la gente se rumpe li cujuni…. In lotta contro una modernità così intenta a cancellare la cultura contadina. Troppo complessa, nervosa, irriverente. Troppo romantica, scorbutica, pagana. E poi io tengo anche un limite di pazienza, quando la perdo la perdo, per sempre, mando affanculo anche il Padreterno. Paladino del pensiero popolare in una modernità assogettata sino in fondo al re, al nobile. La modernità non tollera paganesimi. La modernità è teocratica. Impone. Ma un cantastorie è un rivoltoso che ha per armi passato e futuro. Per salvare una tradizione ci vuole un passaggio di consegne e staffettisti coraggiosi, come in guerra. Che decidono, che vedono il pericolo, che si nascondono ed escono fuori al momento opportuno. E cantano spudorate storie di amore. La donna in pantaloni, a me non piace, con la sottana poi è un’indecenza; mi piace con lo slippo, o meglio senza…

Uccio Aloisi

Iniziarono in tre, vicini di campagna. Probabilmente il canto dello zappare passava di terra in terra e si faveva eco. Gli anni ottanta avevano ucciso il pensiero contadino, il loro canto. Resistevano gli Ucci e pochi altri, tra tavole imbandite e caraffe di negroamaro. Li vidi per la prima volta nel ’92 ad Aradeo. Invitati da quegli uomini di rottura e cultura chiamati Sud Sound System. Senza loro ci sarebbe stata la vittoria del nulal contro il mondo di Fantasia. Uccio è stata anomalia nella nuova onda della tradizione salentina, orientata sopratutto sul recupero della pizzica. Lui fu amante di stornelli e del belcanto. Roba de Smuju è la sua pietra miliare.

nota: Le citazioni sono tratte da un”intervista a Uccio Aloisi fatta da Luca Ferrari

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