Eolico, la corsa all’oro in Puglia: record di pale e anche di sprechi

di Nino Cirillo

dal Messaggero del 19 novembre 2010

 

20101119_paleSe ai pastorelli della collina di Giuggianello – come racconta Ovidio – capitò di essere trasformati in alberi solo per aver avuto l’ardire di danzare con le Ninfe, cosa potrà mai capitare agli amministratori della Regione Puglia se un giorno gli Dei decidessero di tornare qui: di trasformarsi tutti in pale eoliche da 80 metri l’una, alte quanto un palazzo di 25 piani?

O quale altro sortilegio sarà loro riservato come punizione, per aver consentito non in un mese e neppure in un anno, ma in lunghi mesi e lunghi anni, che la loro splendida terra si trasformasse in un Far West, che il sogno del business ad ogni costo – una Corsa all’Oro in piena regola – attirasse qui ogni genìa di cow boy senza scrupoli a devastare, a inquinare, a corrompere? Se lo starà chiedendo nei suoi uffici di Bari anche l’assessore regionale all’Energia Lorenzo Nicastro, arrivato solo sette mesi fa su quella poltrona, ma non è tanto ingenuo da ammetterlo e neppure abbastanza in malafede da sospirare il fatidico «Io non c’ero…». Nicastro piuttosto annuncia: «Abbiamo tolto il piede dall’acceleratore. Ci siamo messi a dieta».

Ecco, la Puglia si è messa a dieta dopo un’abbuffata di dimensioni cosmiche, dalla quale chissà mai se si riprenderà. Partiti con il sole e con il vento, con il sogno dell’energia pulita, si è finiti dieci anni dopo a fare i conti con un disastro: i conti con le inchieste penali aperte dalla magistratura, i conti con i ricorsi al Tar e al Consiglio di Stato, i conti con le pressioni, con le intimidazioni che hanno dovuto subire i contadini proprietari dei terreni, con le giravolte di società partite con diecimila euro e poi pronte a sparire, i conti con una Puglia che non è più la stessa.

Tanto per riepilogare, il meccanismo è questo: arriva lo “sviluppatore”, contatta piccole amministrazioni con le casse vuote e contadini che ormai delle loro terre non vivono più, presenta il progetto delle pale, impacchetta tutto e aspetta la grande azienda. Per rivendersi a milioni di euro quell’autorizzazione e perché cominci un altro affare, questo alla luce del sole, ma altrettanto discutibile: un kw di energia che vale 6,5 centesimi di euro verrà pagato a chi la produrrà con queste pale praticamente il doppio, e per quindici lunghissimi anni. Chi ci rimette, sempre per riepilogare, è il povero cittadino che paga la bolletta: c’è una voce che gli viene addebitata proprio perché partecipi anche lui -ma solo da spettatore pagante- a quest’abbuffata, una voce che in questo 2010 vuol dire, come incentivo su scala nazionale a carico degli utenti, 3 miliardi di euro, 5 miliardi nel 2015 e 7 miliardi nel 2020. Bell’affare.

Ma torniamo alla Puglia, dove davvero è successo di tutto e di più. Dove l’Anev, l’Agenzia delle imprese del settore, dice che fino al 2009 sono state installate 916 pale eoliche per un totale di 1.158 megawatt, Puglia prima in Italia, s’intende. Ma le cifre dell’Anev sono superate da quelle dell’assessorato all’Energia di Nicastro: fra impianti installati e autorizzati c’è già in campo una produzione di 2.300 megawatt, quindi intorno alle 1.800 pale e c’è un piano energetico regionale che consente di arrivare entro il 2016 a 4.000 megawatt. Una follia, la Puglia da sola che pretende -e a questo punto dovrebbe riuscirci- di produrre un quarto dell’energia eolica italiana prevista dall’Anev per il 2016. Come è potuto accadere?

«Ma se vuole -confida Nicastro– le offro un dato che può consegnare la Puglia alla fantascienza…». E lo offre: ci sono domande giacenti in Puglia per altri 30mila megawatt, per almeno altre 12mila torri eoliche da disseminare sul territorio, «una specie di Foresta del Mato Grosso», chiosa l’assessore Nicastro. E che succederà? «Succederà che approveremo solo progetti altamente qualificati, quindi pochissimi».

Sarà pure così, ma questa stalla è stata chiusa a buoi abbondantemente scappati. Richieste per 30mila megawatt vuol dire che i pescecani dell’eolico pensavano di produrre qui il doppio dell’energia prevista per tutta l’Italia dalle “rinnovabili” entro il 2020. Una stalla che nessuno si è preoccupato di chiudere né quando, nell’estate del 2008 arrestarono il sindaco di Ascoli Satriano, provincia di Foggia, Antonio Rolla, per abusi commessi proprio nella realizzazione di un parco eolico, né quando a febbraio 2009 si mosse la Procura Antimafia di Lecce con un’inchiesta su quel che resta della Sacra Corona, sul clan Bruno, e sul parco eolico di Torre Santa Susanna, provincia di Brindisi, che finì con dieci arresti, e neppure quando un anno dopo tutta la giunta di Sant’Agata di Puglia finì sotto inchiesta per le pale del Sub Appennino Dauno che sul terreno del sindaco valevano il doppio.

Tanto meno ha senso chiuderla oggi, questa stalla, oggi che la Procura di Napoli ha messo gli occhi anche sul parco eolico di Castellaneta, provincia di Taranto, uno dei più grandi d’Europa con le sue 276 pale, e che sta frugando tra le carte della Green Engeneering and Consulting, di Napoli appunto, la stessa azienda che si potrebbe ritrovare negli archivi del comune di Vicari, provincia di Palermo, l’intero consiglio sciolto nel 2005 per «infiltrazioni mafiose».

Ma non è la sola connection siciliana che si nota qui in Puglia: nelle pagine dell’inchiesta di Raccuja, parco dei Nebrodi, provincia di Messina, che un mese fa ha portato all’arresto del sindaco, si può ritrovare il nome della Api Holding, la stessa ditta delle pale di Sant’Agata di Puglia. Insomma, un bell’intreccio.

Si diceva dei pastorelli e delle Ninfe perché anche qui c’è un casus belli, un po’ come le rovine di Altilia a Sepino, in Molise. La differenza è che mentre le pale di Sepino sono previste a una decina di chilometri dalle rovine e già danno fastidio, le 14 pale di Giuggianello, invece, dovrebbero sorgere praticamente tra i resti megalitici che raccontano quella leggenda. Quattordici belle pale che qui hanno una loro peculiarità: essendo piazzate sulle Serre Salentine, cioè sui crinali più alti del Tacco d’Italia, a 200 metri di quota, possono essere ben viste dai due mari, sia dall’Adriatico sia dallo Jonio. Come ha potuto la regione Puglia consentire che si arrivasse a tanto?

Perché, poi, il Salento è un caso nel caso. E’ qui che c’è stato l’assalto più sfrenato. Pale come se piovesse, a Lecce stessa, a Soleto, a Martignano, a Surbo, a San Pancrazio, a Martano, a Ugento, a San Donato. Solo a Nardò, nelle bellissima Nardò, non sono arrivati. Una specie di rivolta di popolo ha impedito che il parco eolico si realizzasse. Ma per il resto è stata una specie di marcia trionfale dei Guastatori.

E poi c’è l’off shore, le pale a mare. Quattordici progetti presentati, uno approvato dalla Regione Puglia, quello di Tricase, in provincia di Lecce, con le torri a una ventina di chilometri dalla costa. Una specie di zattere che comunque infastidiscono parecchio gli ambientalisti: sostengono che interromperebbero la migrazione degli uccelli fra Italia e Albania. Gli altri tredici progetti -perché nel frattempo la normativa è cambiata- sono tutti sul tavolo del ministero a Roma. La Regione, per quanto di sua competenza, si è già dichiarata contraria alle torri alle Isole Tremiti e davanti al Gargano.

E la partita non è chiusa. Con i pannelli fotovoltaici stanno succedendo cose turche per queste contrade. E il fotovoltaico rende come incentivi almeno tre volte l’eolico, scatena, quindi, appetiti ancora più sfrenati. E’ la nuova frontiera, perché questo brutto Far West non finisce mai. Tutta ancora da raccontare.

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