Creatività meridiane. Guardare l’Italia a partire dalla provincia

16_51Creatività meridiane. Alessandro Langiu, attore e autore teatrale, punta l’indice su un Sud che va a due velocità come il resto del Paese: «Nelle piccole città si respira la lentezza dei processi, nel bene e nel male. In quei luoghi ci sono tutte le contraddizioni della subcultura e sopravvivono antichi retaggi». Intanto la striscia di povertà si allarga sempre di più nel Mezzogiorno del tempo della crisi.

di Danilo Chirico

da Terra del 31 gennaio 2011

Un Sud a due velocità, dentro un Paese a due velocità. Il ragionamento sembra andare in questa direzione. Alessandro Langiu è un attore e autore teatrale, pugliese di Taranto. La sua drammaturgia punta molto sulle storie vere, sul territorio, sul racconto dei drammi e delle bellezze della sua terra. Ha portato in scena i veleni industriali, i malati ambientali, i guasti amministrativi, le solitudini. Conduce da anni un tentativo di fare un racconto autentico del Sud. Di un Sud che non trova la forza di parlare di sé.

«C’è una piccola parte di Sud che sembra comunicare un cambiamento forte, deciso e c’è una parte che resta indietro. La notte della Taranta – spiega, facendo riferimento al grande evento estivo organizzato in Salento – è una manifestazione che ha ormai raggiunto una risonanza mondiale. E dà una straordinaria immagine della Puglia. Poi, spente le luci, Melpignano, la città che la ospita, resta un piccolo centro di duemila anime che somiglia molto a un deserto». Non è disfattismo, quello di Langiu, ma lo sforzo di fare un ragionamento sulla complessità dei fenomeni.

Frequentando i piccoli paesi, Langiu sa che «in mezzo alle strade c’è malessere. Te ne accorgi guardandoti attorno, tra centri storici abbandonati e facce spente». Ne frequenta molti in questo momento di piccoli paesi, l’attore pugliese, per gli spettacoli e anche per il lavoro che sta svolgendo a Cerignola con Casa Di Vittorio, l’associazione nata per ricordare la figura del padre del sindacato italiano.Trasporti e distanze

«Siamo nel Sud ai tempi della crisi», osserva Langiu. Facendo notare come sia sempre più acuto, duro, lo scontro «tra chi si garantisce una sussistenza e chi lotta per riuscirci e si sente sempre di più abbandonato». La considerazione finale di questo ragionamento, quindi, non può che essere che «se davvero vogliamo capire in che Paese viviamo – sostiene – l’Italia dobbiamo guardarla nella provincia, dove si respira la lentezza dei processi, nel bene e nel male, dove ci sono tutte le contraddizioni della subcultura, dove sopravvivono antichi retaggi». Altrimenti l’immagine che avremo sarà falsata.

Cosa non funziona al Sud? La risposta è molto semplice: «Il lavoro». Non ha dubbi Langiu. «La striscia della povertà si allarga sempre di più – sostiene – e sta diventando enorme. Ed è sempre più forte la sensazione che non si riesca a cambiare». Anche in Puglia è così, secondo l’attore. «Escludendo Bari dove si concentra molto dell’offerta culturale regionale – spiega – e l’Università di Lecce, negli altri capoluoghi purtroppo l’aria che si respira è stantia e siamo costretti a dipendere ancora dalle grandi imprese». C’è poi un altro elemento negativo che caratterizza tutto il Sud e che non risparmia neanche la Puglia: il sistema di trasporti italiano che invece che accorciare le distanze le allunga: «In treno da Roma alla Puglia ci si impiegano sei ore, a Milano si arriva in tre. Qualcosa vorrà dire, qualche conseguenza dovrà averlo?», chiede polemicamente. E osserva: «Magari la lentezza dei trasporti è collegata alla lentezza delle attività quotidiane e delle menti».

Langiu non è indulgente con le popolazioni del Sud, sostiene che non cerca abbastanza «l’innovazione con la scusa della perdita dell’identità». Tutti sanno invece che quello che manca «è proprio l’identità dei luoghi e delle cose», accusa le classi dirigenti di avere «gestito male il territorio», di averlo «amministrato con profonda e inconsapevole responsabilità» o irresponsabilità, di avere lasciato che «prevalesse nel sentimento collettivo la degenerazione dell’individualismo» che è frutto anche di una cultura «del blocco, della paura, della diffidenza».

Poi un altro elemento profondamente negativo: «C’è un disinteresse collettivo per i luoghi – rimarca – se qualcosa s’è salvato è in virtù dello Spirito Santo, non certo per merito di qualcuno, che siano cittadini o amministratori». Lo si capisce, secondo Langiu, guardando le coste della Puglia, luoghi di «grandi speculazioni», luoghi in cui «tutti hanno costruito la loro seconda casa proprio sulla spiaggia». E invece al contrario bisogna «investire sul decoro urbano, sulle bellezze naturali, sul paesaggio».

Un’epoca di crisi, «in cui non sappiamo dove viviamo» e nella quale invece che andare alla ricerca di nuove cose, «in Italia si è deciso di non investire nella cultura e nell’università che significa tagliare il futuro a un intero Paese». Un discorso generale, che ha un peso ancora maggiore nelle regioni meridionali. «La situazione era pesante prima e oggi lo è ancora di più – sostiene Alessandro Langiu – non credo che sia un caso che tutte o quasi le persone del Sud che fanno qualcosa di concreto vadano a vivere lontano dal Sud. Di tutti i narratori pugliesi più importanti – insiste – nessuno vive in Puglia, la Puglia è più conosciuta da quando sono iniziati questi “trasferimenti”». È una necessità, a volte, lasciare il Sud, una scelta quello di non smettere mai di occuparsene «nonostante il macabro gioco di chi vuole farti morire socialmente». E se pure Langiu riconosce che in Puglia oggi ci sono alcuni tentativi di rimettere al centro la cultura, la musica, il teatro, rileva anche «che i meccanismi introdotti mantengono gli squilibri che già esistono. E invece le persone devono essere messe in grado di fare le cose, devono avere gli strumenti a disposizione, garantendo la possibilità di sperimentare».

Diritto alla fantasia

Attraverso la cultura, secondo l’attore, è possibile lavorare per ritrovare un’identità. Lo diceva già negli anni Novanta il sociologo pugliese Franco Cassano con il suo Pensiero meridiano che ha condizionato l’intera riflessione sul meridionalismo negli ultimi due decenni e «che ci ricordava la necessità di ripartire da noi», dice Langiu. Il problema è capire da quali noi. E lui spiega: «Oggi viviamo come se stessimo navigando su una barca senza timone – commenta – perché nessuno sa cosa sta succedendo, cosa fare. Non so davvero quanto tempo resta. Credo che bisogna ripartire da alcuni riferimenti, larghi. Mi piacerebbe ripristinare in questo Paese il diritto alla fantasia, all’immaginazione: vorrei ripartire da Gianni Rodari e Italo Calvino». E poi Langiu suggerisce di ridare la giusta attenzione alla diatriba tra avere ed essere «spiegata da Erich Fromm» e di stare ad ascoltare il jazz di George Gershwin o le note di Sergej Rachmaninov e «la sua capacità straordinaria di vedere in una sola scala musicale cento possibilità diverse». È quello che si deve fare secondo Langiu: «Imparare a riarticolare le note in maniera nuova e indefinita».

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