Rutulì, un commosso omaggio alla musica degli Ucci e delle “Barberie” del Salento

di Vincenzo Santoro, 21 luglio 2013

rutuli2Dario Muci è uno dei più interessanti esponenti della musica popolare salentina. Dotato di una sensibilità musicale non comune e di voce molto duttile e sofisticata, negli anni ha unito l’attività concertistica con la ricerca “sul campo”, producendo dei cd di pregio (Mandatari come solista nel 2007 e Centeuna con il gruppo Salentorkestra nel 2008, e, con caratteri di maggiore originalità, Sulu nel 2011, tutti editi da Anima Mundi) ma anche una importante pubblicazione, comprendente le registrazioni “originali”, sul repertorio di una famiglia di straordinarie cantatrici di Nardò (Sorelle Gaballo. Canti polivocali del Salento, Kurumuny 2008).

Questo approccio intelligente lo ha portato dunque negli anni a praticare strade musicali poco frequentate e repertori ritenuti da molti erroneamente secondari, rifuggendo la semplificazione e la banalizzazione purtroppo così diffusi nel grande circo della musica salentina.

È con questo percorso di approfondimento e di ricerca che, guidato da un’intuizione felice, Muci arriva a Rutulì. Barberia e canti del Salento, il suo nuovo cd, appena pubblicato dall’editore Lupo. Si tratta fondamentalmente di un lavoro a tema. I brani che ne fanno parte, infatti, provengono in gran parte dal repertorio del mitico gruppo degli Ucci di Cutrofiano (cioè Uccio Aloisi, Uccio Bandello e Leonardo Vergaro), a cui il lavoro è esplicitamente dedicato. Repertorio appreso sia dalla frequentazione diretta dei cantori (in particolare, per ragioni anagrafiche, di Aloisi), sia dai materiali disponibili e pubblicati, a partire dal fondamentale Antonio Aloisi, Antonio Bandello “Gli Ucci”, Bonasera a quista casa. Pizziche, stornelli, canti salentini, edito dalle edizioni Aramirè nel 1999, e dai più recenti Uccio Bandello. La voce della tradizione (Kurumuny 2010) e Uccio Aloisi. Il canto della terra (Kurumuny 2011). Nelle illuminanti note di copertina, Dario Muci ci dice anche che il resto dell’ispirazione proviene dal “repertorio raffinato della musica d’epoca”, che nasce e si sviluppa nei circoli mandolinistici urbani, “costituito da brani nella forma di notturni, serenate, barcarole, leggende…” e dallo “stile musicale tipico della ‘Barberia salentina’”. Fino agli anni ’50 del secolo scorso infatti, nelle sale da barba (del Salento e non solo, l’usanza era molto diffusa), i momenti della settimana in cui non si suonava erano spesso riempiti dalla musica, con i barbieri che, accompagnati da altri musicisti “non professionisti” ma in grado comunque in linea di massima di leggere e scrivere la musica, si esibivano in repertori di varia provenienza (valzer, polke, mazurke, tarantelle, ma anche serenate, riduzioni operistiche ma anche “arie e canzonette”) eseguiti usando strumenti a corda, in particolare chitarre, mandolini e violini. Queste sessioni musicali erano spesso delle occasioni per insegnare gli strumenti e le suonate, per cui le barberie finivano per fungere da vere e proprie scuole di musica, dove una competenza di matrice colta o semi-colta, detenuta dai barbieri, si riversava verso i ceti popolari che costituivano la tipica clientela dei “saloni”.

Tra l’altro, a testimoniare l’importanza di queste figure di barbieri-musicisti nell’universo delle musiche di tradizione del Salento c’è anche il fatto che una figura emblematica come Luigi Stifani, l’ultimo grande suonatore terapeuta del tarantismo, mandolinista e violinista, facesse parte di tale categoria.

Il personaggio centrale nell’economia musicale di Rutulì è certamente il maestro Antonio Calsolaro, che ha scritto e suonato tutti gli arrangiamenti, essenziali ma assolutamente rispettosi e pertinenti, con la base di chitarra e il mandolino – virtuoso ma mai invadente – sempre in primo piano. Calsolaro infatti è figlio di Vincenzo, barbiere e finissimo musicista di Alessano, da cui ha appreso il repertorio delle sale da barba. Ma è anche da molti anni un membro fondamentale del “Gruppu” che ha accompagnato in concerto Uccio Aloisi, il grande “patriarca” della musica popolare salentina (con cui ha anche prodotto l’importante cd Robba de smuju, uscito per le edizioni musicali del manifesto nel 2003).

E dunque proprio all’incrocio di tali ispirazioni si colloca questo lavoro raffinato e coraggioso, che presenta una sequenza di canzoni molto varie, per struttura musicale, argomento e anche provenienza geografica: “classici” in dialetto salentino di tema amoroso – ricchi di ironia e di malizia – come Rotulì, Ninella mia de Calimera e La vena dell’amor si alternano a canti in lingua italiana provenienti dal Nord, di argomento militare (Costantino “che porti la Croce”), del repertorio “noir” (Giulia, racconto di una visita notturna in un cimitero che il testo incerto rende ancora più inquietante), sul tema – forse – dell’emigrazione (La barca di Roma), e una “romanza” dal testo impregnato di ambiguità sessuali (La figlia dell’oste). Completano il cd una Polka e una Mazurka in perfetto stile “Barberìa” e Nunna nunna, un bellissimo canto d’amore spesso cantato dai due Ucci.

Ad arricchire il cd, in cui Dario Muci canta con voce intensa e ispirata, oltre all’apporto decisivo di Antonio Calsolaro e alla valida e puntuale collaborazione di Massimiliano De Marco alla chitarra, ci sono dei preziosi interventi di alcuni dei musicisti e cantanti più interessanti della scena musicale salentina (Vito de Lorenzi ai tamburelli, Roberto Mazzotta al violino, Marco Bardoscia al contrabbasso, Andrea Doremi alla tuba, Antonio Castrignanò, Claudio “Cavallo” Giagnotti e Cosimo Giagnotti alle voci) fra cui a mio avviso si distinguono per forza e rilievo le bellissime parti vocali di Giancarlo Paglialunga – trovo straordinarie le “sovrapposizioni” e gli impasti che si creano fra lui e Muci, nel vero spirito del canto popolare salentino – e i delicati ricami di fisarmonica di Rocco Nigro.

Ne viene fuori un progetto discografico che brilla per originalità e sapienza musicale, e che ha anche il pregio di “rilegittimare” un repertorio che nei decenni passati è stato devastato dalle interpretazioni quasi sempre banali e di cattivo gusto dei gruppi “liscio-folk”, e forse anche per questo poco frequentato dalla riproposta. Dobbiamo un grande ringraziamento a Dario Muci, ad Antonio Calsolaro e a Massimiliano De Marco per un lavoro che nella sua innocente bellezza dimostra ancora una volta la ricchezza di una tradizione, che attende solo interpreti attenti, sensibili e intelligenti come loro per ritornare a regalarci emozioni straordinarie.

Qui un estratto della presentazione del cd del 7 luglio a Tuglie:

 

 

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