Con la cultura si mangia (anche in Puglia)!!!

di Sergio Torsello, 7 ottobre 2013

La cultura si  mangia

La cultura si mangia

La “nuova globalizzazione” si è già trasformata nella “nuova globalizzazione della conoscenza”. E fette sempre più grandi di quel 30 per cento (e più) del Pil mondiale fondato sui saperi che si trasformano in beni e servizi hi-tech appartengono a quello che una volta chiamavamo Terzo Mondo e che ora si propone come il motore dinamico dell’innovazione. La rivoluzione della cognitive – cultural economy, dell’economia culturale cognitiva, rappresenta una novità così grande – gigantesca, epocale – che viene da chiedersi: come fanno i nostri economisti, i nostri politici, i nostri intellettuali a non vederla? Ci sono o ci fanno? Come si fa a dire che la cultura non si mangia, se il mondo ormai mangia soprattutto (grazie alla) cultura?.

Così Bruno Arpaia e Pietro Greco in uno dei passaggi più significativi del loro fortunato pamphlet La cultura si mangia!, (Guanda 2013, pp.174, 12,00 euro) dedicato alla cultura come driver di sviluppo e allo spaventoso ritardo dell’Italia. Un volume appassionato, critico, ma ricco di spunti stimolanti, che passa in rassegna alcuni esempi virtuosi di come gli investimenti pubblici in cultura, ricerca scientifica e industria creativa abbiamo prodotto un nuovo modello di sviluppo basato sulla conoscenza. Sono le “città visionarie”, quelle – scrivono gli autori – dotate di “visionning: un neologismo che contiene in sé i concetti di vision (la capacità di immaginare un futuro) e di planning (la capacità di pianificare il percorso per sbarcare in questo futuro)”. La rinascita di Bilbao (che inizia con il Museo Guggheneim: tre milioni di turisti nei primi tre anni di vita e la creazione di 10.000 posti di lavoro), il risanamento (e il rilancio turistico) del bacino della Ruhr in Germania, la città della scienza a Trieste (oggi il principale polo produttivo della città con 4.500 addetti) ma anche, per certi versi, il “caso” Puglia esemplificato dall’Apulia Film Commission e dalla Notte della Taranta. Scrivono infatti Arpaia e Greco:

Il governo regionale, fin dai tempi della manovra anticiclica del 2008, ha individuato nell’investimento in cultura uno degli asset prioritari per lo sviluppo e la crescita del territorio. Fino al 2005 infatti, l’investimento in cultura era di appena cinquanta centesimi per ogni cittadino pugliese, adesso la spesa della regione è di quattro euro pro capite. Sono i dati del rapporto Federculture a mettere in luce, come, nell’ultimo quinquennio, la Regione abbia investito complessivamente 448 milioni di euro di fondi europei destinati a finanziare centinaia di interventi di valorizzazione dei beni culturali e artistici, mentre 54 milioni di euro sono stati invece destinati al sostegno dello spettacolo dal vivo. Un discorso a parte meritano poi l’Apulia Film Commission e La Notte della taranta.(…) La Notte della Taranta è una delle manifestazioni che più hanno dimostrato come la cultura, la musica nel caso specifico, possa avere un ruolo centrale nella trasformazione e nello sviluppo di un territorio, contribuendo in maniera determinante a creare posti di lavoro, figure professionali e a stimolare una incredibile quantità di produzioni. L’Italia che verrà, il rapporto di Unioncamere e Symbola del 2012 afferma che il festival registra nel complesso, una presenza di oltre 250.000 spettatori. Si tratta sicuramente del più grande festival di “world music” del mondo, che ha avuto il merito di contribuire a quello che adesso viene definito il “rinascimento salentino” di allungare la stagione turistica (che qui abitualmente terminava dopo il 15 agosto) e di far sorgere servizi, da bed and breakfast a ristoranti, che hanno fatto del Salento un modello imitato di accoglienza turistica la cui importanza è riconosciuta nel mondo. E come se non bastasse la copertura mediatica internazionale ( il Wall Street Journal che ha definito la pizzica il “blues contemporaneo”, alla prima pagina dei siti di Le Monde e di El Pais) è arrivato nel 2011 uno studio realizzato dall’università Bocconi che ha evidenziato come per ogni euro che è stato investito dall’istituzione pubblica nella Notte della taranta, ne sono ritornati sul territorio oltre tre.

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