Eravamo travolti dal fascino di quelle musiche…

Racconto (frutto di un’intervista fatta nel 2007) di Franco Tommasi, uno dei fondatori del Canzoniere di Terra d’Otranto, gruppo fra i più importanti della rinascita della musica salentina degli anni Novanta, a cui si deve tra l’altro un cd fondamentale, Bassa Musica, del 1994, il primo lavoro realizzato nel nuovo (allora) supporto tecnologico

francotommasiSono nato nel 1957. Sono stato a Pisa all’università. Ho fatto il primo spettacolo al festival de l’Unità di La Spezia nel 1977. Lo feci con un amico, Fabrizio Maglietta, che deve aver avuto rapporti con il primissimo Canzoniere Grecanico Salentino. Mi ricordo che lui mi portò nel 1975 in una specie di sotterraneo dove faceva le prove il CGS, e quindi – giovanissimo – vidi in azione queste persone da dietro le quinte. Poi, stimolato anche dall’ascolto del loro vinile, continuò in me l’interesse per questa cultura. Sono di Calimera, parlo un po’ grico. Ho sempre avuto un interesse per la tradizione popolare e per gli anziani. A La Spezia facemmo un po’ del repertorio del CGS, e anche qualcosa d’altro (ad esempio Cummare l’aggiu persa la caddhina).

Negli anni successivi, con Roberto Raheli che era della cerchia dei miei amici, cominciammo a suonare, a partire dalla metà degli anni Ottanta. Facevamo canzoni napoletane, canzoni salentine, così, tra amici, per divertirci. In quegli anni io lavoravo fuori, fino al maggio del ’91 (sono stato a Pisa, a Torino, a Trento, a Venezia ecc). Quando venivo in vacanza suonavamo, con Roberto e Pierluigi Lopalco, che poi sarebbe diventato suo cognato. C’era molta passione. Io non ho mai interrotto i contatti con i “cantori” anziani (in particolare con Cici Cafaro, che conosceva la mia famiglia, alle sue feste si suonava sempre negli anni Ottanta). Poi c’era la putea a Cursi. Le nostre feste le facevamo tutte in questi posti, dove appena ti mettevi a cantare si avvicinavano gli anziani e partecipavano. Poi avevo dei legami familiari con alcuni cantori di Corigliano.

 

La svolta però si ebbe intorno al ’90. A quell’epoca lavoravo a Venezia, e la passione per la musica e la cultura popolare erano giunte al massimo. Avevo un grande desiderio di ascoltare, di sentire queste cose. Ero colpito dalla grandissima qualità musicale di alcune cose che avevo sentito. All’epoca circolavano anche i vinili di Brizio Montinaro, che furono un’altra importante fonte di ispirazione. In realtà a un certo punto diventarono la fonte principale, perché il disco del CGS, pur riconoscendogli tanti meriti, dal punto di vista musicale non ci convinceva, perché aveva questa rappresentazioni molto edulcorata, molto educata, molto fasulla a nostro sentire della musica popolare. Soprattutto quella chitarra molto addolcita, molto distante dalle cose che sentivamo dagli anziani. E anche le voci, tutte intonate, con il “movimento” complessivo dei cori molto “pulitino”. A noi piaceva molto di più la musica che ascoltavamo dagli anziani, dalle registrazioni di Montinaro o da quelle di de Martino (in quel momento circolavano anche alcune registrazioni del ’59 provenienti dal 45 giri allegato alla prima edizione della Terra del rimorso). Eravamo travolti dal fascino di quelle musiche, di cui sentivamo l’altissima qualità tecnica e a anche esecutiva. Quando venivo nel Salento, ero avido di ascoltare questa musica. Così una volta, nel ’90, mi trovai davanti a un manifesto, che pubblicizzava un concerto di un “ricercatore di musica popolare salentina” a Corigliano. Con grande curiosità andai a vedere questo spettacolo, e lì rimasi concertato dalla volgarità, dalla faciloneria, dalla superficialità dell’esibizione. Mi dissi: “se questi sono i ricercatori, stiamo freschi!”. E lì mi cominciò a nascere il pensiero di mettere su uno spettacolo con i miei amici, in cui suonare la musica popolare salentina. Fino ad allora ci eravamo esibiti in pubblico solo in maniera informale, in acustico, unicamente per il gusto di suonare.

 

Io a Venezia ero il responsabile dello sviluppo software di una azienda, guadagnavo molti soldi, avevo una casa pagata, stavo molto bene. Decisi di mollare questo lavoro, di tornare a Lecce, sostanzialmente per due ragioni: per il discorso ambientalista, perché io sono stato uno dei fondatori dei Verdi a Lecce, e per il discorso della musica. C’erano una serie di affetti che mi legavano al Salento, e che mi spinsero a lasciare il lavoro e a venirmene, qui, dove non avevo niente. Feci un salto totalmente al buio.

 

In questo periodo con Roberto ci venne l’idea di fare questi spettacoli. Dato che conoscevo il lavoro di Luigi Chiriatti, pur non conoscendolo personalmente, e siccome sapevo che d’estate faceva le vacanze a Sant’Andrea, vincendo qualche resistenza da parte di Roberto e di Pierluigi, che non era molto convinto, decisi di andarlo a trovare, lo informai dell’idea di formare il gruppo, e gli chiesi di venire a suonare il tamburello con noi. Lui fu molto contento e lusingato della mia visita, e fu d’accordo a entrare nel gruppo. Eravamo nell’estate del ’91.

 

Dopo poche prove avemmo la prima uscita pubblica. A Sannicola, in una festa organizzata dal Comune, con alcuni ospiti. Andò abbastanza bene. Poi facemmo a novembre uno spettacolo al circolo Ghetonìa di Calimera, a cui partecipò Cici Cafaro. Questo spettacolo mi lasciò abbastanza disgustato perché siccome ancora non era molto comune che si sentisse musica popolare, successe che Cici con la sua tradizionale presenza dilagante prese in mano la situazione, e c’era tra il pubblico della gente che cominciò a sfotterlo in maniera volgare, al limite dell’insulto, tipo “il contadino ignorante e noi lo pigliamo per il culo”. Lui cantava queste cose e loro lo sfottevano.

 

Decidemmo, su proposta di Gigi (anche se noi non eravamo troppo convinti), di chiamarci Canzoniere di Terra D’Otranto, nome che segnalava il rapporto con l’esperienza del CGS. Il nostro repertorio all’inizio era composto da canti provenienti dai dischi di Montinaro, più altro proveniente da conoscenze personali.

 

La nostra idea era di provare a recuperare un po’ di quella musica, ed eseguirla “così com’era”. Io poi pensavo che bisognasse viverla questa musica, sentirla, entrarci dentro il più possibile, e lasciarsi penetrare; dopo averla assorbita, svilupparla. Io sono sempre stato affascinato da personaggi tipo Béla Bartòk; nell’introduzione al cd Bassa musica facevo riferimento anche a lui, e volevo dire che se queste grandi menti della musica del Novecento facevano riferimento alla musica popolare, è probabile che questa valesse qualcosa. E quella che abbiamo qui, per la mia sensibilità musicale, non è da meno. A questo punto io voglio entrare in relazione con questa musica, e voglio alimentarmi a questa sorgente di bellezza. Il che non vuol dire necessariamente ripeterla. Però ripeterla è il miglior modo di cominciare: tutti quelli che hanno un modello che fanno? Cominciano a ripetere il modello. Poi dalla padronanza, dopo essersi impregnati di questa cosa, può venire fuori di tutto. Si può anche andare in un’altra direzione.

 

Quando il nostro intervento cominciò a smuovere le acque, alcuni di quelli che avevano fatto parte dei gruppi degli anni settanta incominciarono a voler dire la loro. Avemmo diverse polemiche, anche in pubblico. Mi ricordo un dibattito con Daniele Durante alla Fucazzeria “Da Francesco”. Lui affermava che “ripetere” un pezzo era inutile. E io dicevo che ripetere un pezzo è una cosa normalissima, così si esegue normalmente ad esempio la musica classica. Un altro elemento della polemica era sul fatto che, sempre secondo Durante, la musica popolare è ripetitiva, è noiosa, sono due accordi. E io dicevo: in realtà non sono due accordi; tu ci vedi due accordi, perché tu vieni da una formazione classica e tutto il mondo dei musicisti classici nella musica popolare vede due accordi, perché sono attenti alla struttura melodica e armonica, che è molto semplice, per cui loro vedono quello; e tutto il resto non lo capiscono. Il grave è che se ci vedono due accordi, quando la suonano ci metteranno solo due accordi! Faranno musica da due accordi! Allora Durante diceva questo. Ho fatto riferimento a questa polemica nell’introduzione di Bassa musica.

 

Un’altra polemica, anzi altre due, ci furono con Gigi Chiriatti. Da una parte lui vedeva il tutto come un atto politico: invece di fare il comizio bisognava fare la musica. E questo ero il richiamo agli anni Settanta. Secondo me invece i richiami espliciti alla politica erano pesanti e controproducenti. Se noi affermiamo e dimostriamo che il nostro patrimonio popolare è di alto livello, rendiamo un servizio ai “padroni” di questa musica – i cafoni, i contadini – molto migliore di quello che potremmo fargli con i “comizi in musica”. Quindi noi ridimensionavamo sempre questa sua propensione, e di questo lui era molto seccato. Io dicevo: facciamo bene la musica, e in questo modo facciamo bene anche politica.

 

L’altro piano polemico riguardava la sua impostazione dello spettacolo, il suo modo di suonare il tamburello rispetto agli altri, lui spesso tendeva ad andare per conto suo, a volte fuori tempo. Sugli arrangiamenti lui tendeva ad essere un po’ limitativo, mentre noi tendevamo ad “arricchirli” un po’, sempre però rimanendo nello “spirito” della nostra musica.

 

Con Roberto Raheli invece avemmo un piccolo diverbio sul fatto di inserire la Ceserina nel disco, nella versione del CGS, che io sapevo essere stata da loro modificata. Io non ero d’accordo perché non volevo eseguire un falso. Io l’avevo sentita nella versione originale da Cici Cafaro e anche da alcuni cantori di Corigliano. Noi registravamo spesso queste esibizioni di anziani. Ho molte registrazioni.

 

Poi, nel ’92-93, girammo parecchio (una decina di date) con uno spettacolo teatrale di cui facevamo la colonna sonora, che si chiamava La pupicchia de lu Principe. In quel periodo eravamo in quattro. Pierluigi suonava la concertina. Poi cominciarono a chiamarci anche dei Comuni per delle feste, anche se allora non era facile come adesso proporre musica popolare nelle piazze. Però era quasi sempre un successo, alla gente piaceva molto. Ricordo alcune situazioni abbastanza singolari. Una volta suonammo senza amplificazione ad Acquaviva, marina di Castro. Quello spettacolo lo ricordo come una delle cose più belle che abbia mai fatto. C’era solo una grande lampada che ci illuminava, tutta la gente sparsa intorno, e a un certo punto tutti cominciarono a ballare sugli scogli… c’era un’emozione palpabile nella gente, comunque erano le prime volte che si sentiva questa genere di musica, un suono così ruspante. Allora questa musica era quasi scomparsa. Quando la ripronevamo, la gente aveva una reazione di grande sorpresa. Ricordo le facce di persone emozionate, i grandi complimenti dopo i concerti. Era come se suonando avessimo messo in movimento qualche cosa che stava nascosto sotto la pelle e che in quel momento usciva a livello di emozioni. Si percepiva qualcosa di sopito che si stava risvegliando. E percepivo anche la sorpresa: questa gente non si aspettava che questa musica venisse riproposta in quel modo.

 

Il nostro repertorio era basato, oltre che sulla pizzica – su cui spingeva molto Gigi – anche sui canti alla stisa, perché volevamo sottolineare con forza il patrimonio della vocalità, che è una delle caratteristiche fondamentali della musica salentina.

 

Alla fine del ’93 entrò nel gruppo anche Sandro Girasoli. A un certo punto, dopo diversi spettacoli, ci venne in mente di fare un disco, un cd, che fu il primo lavoro su questo nuovo supporto, Si chiamò Bassa musica, ed uscì nell’estate del ‘94. Contemporaneamente partecipammo alla realizzazione del film Pizzicata, che poi uscì nel ’96. Edoardo Winspeare mi venne a cercare più volte nel corso del ‘93, e mi fece leggere un’anteprima della sceneggiatura del film. Io diedi alcuni suggerimenti, e credo di aver avuto una parte nell’insistere a che il film fosse parlato in dialetto salentino. Lui ci invitò alle feste che lui organizzava nel Capo, a casa sua a Depressa oppure a casa di Lamberto Probo a Novaglie. A queste feste partecipavano anche alcuni “anziani”, come gli Ucci, Pino Zimba e altri. Da lì si formarono diversi gruppi musicali, a partire dagli Alla Bua, con cui avevamo frequenti contatti. In Pizzicata noi realizzammo tre pezzi, tra cui una pizzica e Damme nu ricciu.

 

Per quanto riguarda il repertorio del disco, furono incluse Vita Maria che avevamo imparato da Cici Cafaro, due pizziche, di cui una nel modo di Luigi Stifani; gli altri pezzi invece provengono dai dischi di Montinaro.

 

A proposito di “musica salentina” dobbiamo tener presente che molti dei pezzi che vengono eseguiti in realtà hanno provenienza “estere”. Opillopillopì viene da un trallallero genovese. Quannu te llai la facce la matina è un canto di origine napoletana. Moretto è un canto settentrionale, come quasi tutti i canti narrativi. Forse solo i reputi hanno origine più schiettamente salentina. Il trattamento musicale della pizzica invece credo che sia abbastanza originale della nostra zona.

 

Il disco fu accolto bene, anche se commercialmente non fu un grande successo. Ci fu una bella recensione su Folk Roots, la rivista più importante che parla di questo tipo di musica.

 

A parte il giro degli appassionati, pochi apprezzarono, sulla stampa locale ma anche ad esempio tra i negozi di dischi e le librerie. In generale ti guardavano dall’altro in basso. C’erano due filoni di indifferenza. Un’indifferenza popolare, di gente che cerca di affrancarsi dalla tradizione e dal dialetto. Ma poi c’era anche un’indifferenza “colta”, di sinistra, che per esempio proveniva dagli ambienti accademici leccesi. Con il giro dei Sud Sound System invece, che in quel periodo stavano avendo successo con il loro ragamuffin cantato in dialetto salentino, non avevamo rapporti musicali, a parte un concerto fatto insieme a Lecce in piazza Sant’Oronzo.

 

A un certo punto entrammo in crisi. Io mi travavo sempre più a disagio, perché vedevo una qualità scarsa nel gruppo, nonostante avessimo molte richieste di concerti. Soffrivo nel fare esibizioni pubbliche in cui si stonava, in cui si andava fuori tempo e cose del genere. Pensavo che si dovesse essere più professionisti. Inoltre non ritenevo più proficuo un approccio “assemblearista”, in cui ogni scelta del gruppo (anche quelle musicali, degli arrangiamenti ecc), dovesse essere decisa dopo estenuanti discussioni. Ritenevo che qualcuno di noi – e non per forza io – dovesse svolgere il ruolo di “direttore artistico”, assumendosi tutte le responsabilità. Questa richiesta venne interpretata come un mio tentativo di “colpo di stato”. Io invece pensavo che si dovesse crescere musicalmente, senza tradire la nostra musica. Inoltre ritenevo che, dopo essersi impadroniti pienamente della grammatica della musica salentina (operazione che comunque richiedeva molto tempo e dedizione) si dovesse delineare una direzione di evoluzione: non avevo intenzione di fare il “ripropositore” a vita. Naturalmente si innestarono anche delle divergenze caratteriali, eravamo tutti molto “egocentrici”. Alla fine non ci trovammo più d’accordo, e il gruppo si sciolse. L’ultimo spettacolo lo facemmo nel settembre del ’96, in un paese del brindisino. Gli altri decisero di continuare, ma ci trovammo d’accordo nel non utilizzare più il nome CdTO.

 

In seguito cercai di rimettere su un altro progetto sulla musica popolare più in linea con la mia sensibilità, ma senza successo. Per cui, con grande rammarico, decisi di non occuparmi più di musica popolare salentina. Anche perché intanto il “rumore di fondo” aumentava, c’erano sempre più gruppi, ma di qualità scarsissima, almeno a mio parere. Quasi tutto quello che ho sentito in questi anni di esplosione della “pizzica” lo considero di bassissima qualità. La Notte della Taranta poi mi ha sempre disgustato.

 

Siccome però non so stare senza fare musica, mi sono rivolto ad altro, a un repertorio piacevolissimo, quello della canzone napoletana classica.

Una ricostruzione della storia del gruppo Aramirè (con il video di una bellissima pizzica tratta da un concerto dell’epoca) si può leggere cliccando qui

Un capitolo più ampio dedicato al gruppo si può trovare nel mio libro Il ritorno della taranta. Storia della rinascita della musica popolare salentina.

 

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