I balli e le tarantole in “Domenica in Albis” di Emanuele De Giorgio

18057155_10155213888705349_1032548606846974297_n (1)Dopo un lungo inseguimento, sono riuscito a trovare una copia di un vecchio libro, Domenica in Albis, pubblicato dall’editore barese Mario Adda nel 1980. Si tratta di una raccolta di racconti di Emanuele De Giorgio, interessante scrittore e artista di livello, che rivive i ricordi della gioventù trascorsa a Grottaglie, suo paese di origine (situato in provincia di Taranto e ancora linguisticamente salentino) e nei dintorni, in un contesto sociale ricco di riti e tradizioni ancora molto vivi.

In uno di questi racconti, intitolato Il ballo della tarantola, De Giorgio descrive un caso di tarantismo da lui osservato (più o meno nel 1937), molto interessante perché della scena De Giorgio fa anche un suggestivo ritratto, inserito nel testo (vedi foto in fondo). Per la cura musicale, praticata in un “camerone quadrato dalle pareti affumicate“, a cui si accedeva da una porta il cui vano era “coperto da un panno pesante color marrone chiamato ‘manta’” veniva usata una grande arpa (dettaglio molto raro), che si ergeva sopra le teste dei tanti curiosi accorsi per assistere all’avvenimento “a guisa di un enorme cimiero“, e “le cui corde erano toccate con molta grazia da una popolana“; oltre all’arpa, lo scrittore segnala la presenza di un “tamburello a sonagliera“, che un’altra popolana, “in piedi, poco distante dal gruppo, tambureggiava con foga facendo lavorare i polpastrelli e le nocche“, un violino, le cui note “stridevano in maniera straziante da lacerare le orecchie“, e un contrabasso dalle “battute gravi“.

18010026_10155213888700349_8790297261820590538_n (1)Molto vivace poi la descrizione della tarantata: “una ragazza che girava vorticosamente nello spazio lasciato libero dalla gente, capelli e vesti svolazzanti per i movimenti rapidi delle gambe, del busto e per il gesticolar delle braccia“, che “teneva gli occhi bassi e sul suo volto si leggeva un’espressione di struggente voluttà” e sulla cui carnagione abbronzata “brillavano a sprazzi due enormi cerchioni di metallo conficcati nei lobi delle orecchie“.

De Giorgio poi continua così:

Non ricordo quanto durò questo allucinante spettacolo, ma è certo che l’immobilità della giovane durò a lungo. Quando parve risvegliarsi dal sonno, rigirandosi su se stessa guardava fisso nel vuoto. Quasi a fatica si sollevò pigramente prima sulle ginocchia e poi con qualche sforzo in più fu di nuovo in piedi. Come un automa, ricomincio la girandola battendo con i tacchi il tempo della musica. I musici a loro volta seguivano i passi di danza sommessamente con i consueti motivi tzigani e man mano che la donzella si scioglieva nei movimenti acceleravano gradatamente il tempo e aumentavano il volume e danzatrice e musica si fusero nuovamente in un gorgo vorticoso da vertigini“.

In altri racconti del libro, spesso ambientati nei meravigliosi e suggestivi scenari rurali delle Murge Tarantine,  si accenna anche alla “pizzica pizzica“,  “una specie di tarantella locale ballata con molto brio da uomini e donne“, “più che altro in uso presso l’umile gente dei campi“, che “secondo il ritmo della musica assumeva anche le movenze di una danza folle“. Anche di questo “ballo campestre” il libro contiene due tavole (del 1944).

MorsoDellaTarantaL’importanza di questo libro per la documentazione storica sul tarantismo era già stata segnalata da Carlo Petrone in Il morso della tarantola a taranto e dintorni (Edizioni Giuseppe Laterza 2012, prima edizione 2002), volume in cui viene riportato il racconto Il ballo della tarantola (insieme ad altri testi storici sull’argomento), e che peraltro presenta in copertina un’opera, sempre di Emanuele De Giorgio, “Il morso della tarantola. Omaggio a Raffaele Carrieri”, che rappresentante una scena campestre (in un contesto di muretti a secco, ulivi secolari, terra rossa ecc ecc) con una procace giovinetta che balla accompagnata da un suonatore di tamburello, mentre il ragno incombe fra i rami di un ulivo.

Per approfondire il tema del tarantismo nella zona del tarantino (e non solo) segnalo infine il recente saggio dell’antropologo Antonio Basile, Gioconda miseria. Il tarantismo a Taranto. XVI-XX secolo, Progedit 2015, anch’esso contenente diverse testimonianze inedite, di cui si può leggere una mia recensione cliccando qui .

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