Occhi turchini. Musiche e canti dalla Calabria

GCD_P33002_HDVenerdì 24 novembre ho avuto la fortuna di assistere, in una bella chiesa sconsacrata trasformata in sala concerti nel cuore storico di Napoli, a due passi dalla basilica di Santa Chiara, alla presentazione del Occhi turchini, ultimo prezioso lavoro discografico – pubblicato da Glossa Music – di Pino De Vittorio, Franco Pavan e dell’ensemble Laboratorio ‘600, dedicato alla musica della Calabria.

Si tratta di un tentativo di rilettura della tradizione musicale di quel territorio che va ad intrecciare repertori provenienti dalla cultura orale, a noi giunti spesso grazie alle ricognizioni sul campo condotte negli ultimi decenni da importanti ricercatori, con altri invece tratti dalle fonti della musica colta e semi-colta. Repertori che vengono poi riproposti con strumenti e modalità esecutive che, anche in questo caso, mettono insieme ‘popolare’ e ‘colto’. Un’operazione certamente non nuova (sono diversi i lavori del genere usciti negli ultimi anni, in cui a volte in vario modo sono stati coinvolti anche gli autori del cd), ma che in questo caso mi pare riuscita in maniera particolarmente felice.

Occhi turchini si caratterizza infatti sia per la grande qualità e bellezza delle esecuzioni, sia per la raffinatezza del repertorio, frutto di approfondite ricerche ed esplorazioni musicali, che in gran parte comprende canti poco conosciuti e a volte completamente inediti, ‘arrangiati’ – se si può usare questo termine – con notevole gusto, a dimostrazione di una cultura musicale di altissimo livello.

A riprova di ciò, si possono citare i tre brani (una magnifica versione della Calabrisella e i ritornelli strumentali di Capiddi di sita e l’Arietta grica ) provenienti da un manoscritto della Biblioteca di Monaco di Baviera, probabilmente risalente alla prima metà del XVII secolo, indagato per la prima volta da Franco Pavan. Un autentico tesoro svelato per ora solo in parte, che pensiamo possa riservare in futuro ulteriori notevoli sorprese.

Un’altra dimostrazione eclatante di questa rilettura ricercata e colta è Amicu, hai vintu, pezzo tratto da Alcune strofe della Gerusalemme Liberata, opera in in dialetto calabrese di Carlo Cusentino del 1731, riportate, come scrive Pavan nella puntuale introduzione al cd, sul “tenore della Romanesca, di sovente utilizzato nella tradizione italiana per cantare le ottave del Tasso”.

Il cd contiene inoltre alcune testimonianze delle modificazioni della lingua calabrese effettuate da intellettuali napoletani nel corso del Seicento, in direzione di un dialetto artificiale, “smussato e napoletanizzato” quanto bastava per raggiungere il massimo risultato ilare e grottesco. Un esempio di questa operazione è la irresistibile Xaccara calabrese e spagnola di Francesco Provenzale, del 1699.

Altri brani del cd – Occhi turchini, A spuntunera, Matajola, Veni sonne de la muntagnella – sono invece tratti da ricerche ‘sul campo’ (anche se – mi sia permesso questo inciso – sull’origine strettamente “di tradizioni orale” di alcuni di essi si possono avere dei dubbi, a maggior ragione quando le registrazioni sono state effettuate in epoche relativamente recenti, in cui anche gli esecutori ‘tradizionali’ erano ormai stati ampiamente condizionati dai repertori ‘popolareschi’ d’autore, spesso diffusi tramite i dischi e a volte trasmessi in trasmissioni radiofoniche).

Non mancano le testimonianze della estrema verità linguistica e culturale della penisola calabrese, da Arietta gricaKopile moj Kopile per le ‘minoranze” grecaniche e albanesi alle influenze influenze arabe rilevabili in La scillitana e in Fija du marinaru. Arricchiscono la raccolta anche due brani piacevolmente tarantelleggianti (Frasca e Tarantella ‘nfuocata), una struggente Canzona a morto dal repertorio dell’arpa di Viggiano e un canto ‘sacro’, interpretato in maniera magistrale da Pino Di Vittorio, Si partì la madonna a munti e mari, dove viene narrata la disperata ricerca di Gesù da parte della Madonna nei momenti della flagellazione.

Molto significativo è infine anche il singolare Te deum de’ calabresi, violenta invettiva contro il potere politico napoletano, composta prima della Rivoluzione del 1799, di cui ancora oggi si discute la paternità.

Questo repertorio complesso e articolato viene eseguito con grande perizia da Pino De Vittorio (che si produce in interpretazioni vocali veramente straordinarie e ricche di pathos ma anche giustamente misurate) e dai bravissimi componenti dell’ensemble Laboratorio ‘600: Fabio Accursio (liuto), Elisa La Marca (liuto e tiorba), Flora Papadopoulos (arpa) e il direttore Franco Pavan (tiorba e chitarra battente), a comporre un cd, per tutte le ragioni che ho detto, assolutamente imperdibile per tutti gli appassionati del genere (e non solo).

 

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