Un eclatante caso di tarantismo nelle Marche (Macerata, metà del sec. XVII)

cop tar macLa vastissima produzione di “affabulazioni” intorno al tema del tarantismo, che come sappiamo risale almeno alla metà del XIV secolo e di fatto non si è mai fermata (la “tela infinita”, come la chiamava il caro Sergio Torsello), continua a riservare sorprese. Nel mio recente il tarantismo mediterraneo. Una cartografa culturale (Itinerarti) ho cercato di dar conto di come negli ultimi decenni siano emerse molte fonti che testimoniano una diffusione del fenomeno molto più ampia rispetto alla Puglia, la sua terra “elettiva” (per usare un’espressione felice di Ernesto de Martino), per cui, almeno a partire dal XVII secolo, se ne trovano tracce cospicue in tutto il Mezzogiorno, nelle grandi Isole (compresa la Corsica) e in Spagna, con segnalazioni – invero molto sporadiche – anche in altri luoghi. Continuando, anche dopo la pubblicazione del libro, nell’analisi di tale sconfinata letteratura storica, mi sono di recente imbattuto in un documento che attesta la presenza – per quanto ne so io per la prima volta – del “male della tarantola” anche nelle Marche. Una cronaca sulla vita e i presunti miracoli di un monaco cappuccino, Fra Giuseppe “seniore” da Sant’Anatoglia(1), vissuto in estrema povertà e in odore di santità fra il 1560 e il 1642, testimonia infatti dell’utilizzo del “Mantello” del frate ormai deceduto – conservato nel Convento dei Cappuccini di Macerata, a cui si attribuivano poteri taumaturgici e oggetto per tale ragione di grandi attenzioni da parte del popolo – come cura degli strabilianti effetti che “i morsi di più Tarantole” avevano avuto su un tal frate Anselmo, obbligandolo a “ballare sei volte all’anno, per tre giorni continui ogni volta, e per molte ore ogni giorno”. La vicenda, che potrebbe sembrare del tutto inverosimile, si collega in realtà a racconti analoghi – sui poteri miracolosi degli abiti dei francescani contro il veleno delle tarantole – che si rintracciano in diverse cronache pugliesi dell’epoca(1). Inoltre della presenza del tarantismo in area centro-appenninica, e in particolare nei dintorni di Perugia, abbiamo notizia anche nell’importante trattato di Zeno Zanetti La medicina delle nostre donne (1892).

Riportiamo il racconto, dovuto a un anonimo “Sacerdote del medesimo Ordine“ e contenuto nel libro Vite de’ due Servi di Dio F. Giuseppe Seniore e F. Giuseppe Juniore da Sant’Anatolia, Laici Professi Cappuccini della Provincia della Marca, per Gianbattista de’ Giulj stampatore, Jesi 1736, (pp. 153-155), che peraltro si conclude con un vero e proprio colpo di teatro.

Dal caso, che siegue, conosceremo in un tempo medesimo, e la Virtù conceduta da Dio all’accennato Mantello, e la rassegnazione, con cui dobbiamo a Dio, ed a’ Santi suoi chiedere le grazie. F. Anselmo da Macerata, Laico Capuccino avea patito i morsi di più Tarantole, il veleno delle quali comunicato al sangue, oltre i dolori acerbissimi, che cagiona nelle viscere, obbliga a ballare le ore intiere, il che serve ancora di lenitivo al male, che con tal moto violento si diminuisce, e si dissipa. Soggiacendo per tanto a tal miseria il buon Religioso, violentato a così ballare sei volte all’anno, per tre giorni continui ogni volta, e per molte ore ogni giorno, e afflitto oltremodo, non tanto per gli acerbi dolori, cagionati dal male , quanto per la confusione, di vedersi astretto a tali salti, sommamente ripugnanti alla dilui modestia, e religiosa composizione; Un mese incirca dopo la morte di F. Giuseppe avendo più volte ballato una mattina del solito dolorosissimo triduo, nel fine dell’ultimo ballo fú sorpreso da deliquio, o accidente di morte. Domandò egli con fede viva, e gli fù posto in dosso il Mantello di F. Giuseppe, alla cui intercessione caldamente si raccomandò, dicendogli col cuore: Voi sapete benissimo, F. Giuseppe, che avanti la vostra morte mi prometteste d’impetrarmi da Dio la liberazione, non da’ dolori del mio male, ma dal ballare, che tanto mi dispiace; ora dunque, che siete in Paradiso, osservatemi la promessa; E nel medesimo punto udí una voce interna, che gli disse. Non ballerai più. Finito l’accidente, fù riportato in Refettorio , ammantato col sudetto Mantello; ma per quanto i Sonatori s’ajutassero ad eccitarlo col suono egli non si mosse punto, ne ballò più in quel giorno, anzi mai più non ballò ne’ quattro anni seguenti, benché ne’ mesi, e giorni consueti fosse assalito da’ soliti accidenti, e dolori . Ma dubitando egli poi, che la grazia ottenuta non fosse in pregiudizio dell’Anima sua, prego Iddio, che, se quella Croce sì grave, e la gran confusione, che pativa in tali balli, dovevano contribuire alla gloria Divina, e alla salute dell’Anima propia, si degnasse restituirgliela, essendo prontissimo a portarla volentieri fino alla morte per amor suo. Lo compiacque il Clementissimo Dio, anzi la rendette più grave di prima, poiche trovossi d’indi in poi violentato dal medesimo male a più lunghi, e travagliosi balli, durando in essi le settimane intiere, finché dal veleno gli fù tolta la vita.

(1)  Il pittoresco borgo attualmente chiamato Esanatoglia, in provincia di Macerata.

(2) In particolare di questa  si trova traccia in: Paolo Silvio Boccone, Museo di Fisica e di Esperienze variato, e decorato di Osservazioni Naturali, Note Medicinali e Ragionamenti secondo i Princìpi de’ Moderni, Venezia 1697, Diego Tafuro da Lequile, Relatio Historica huius reformationis Sancti Nicolai 1647, nonché in una omelia del 1651 del frate francescano riformato Angelico da Martina, in cui, anche in riferimento alle intense polemiche scoppiate in quel periodo all’interno dell’Ordine, è contenuto un attacco ai Cappuccini, costretti a suo dire dal morso del ragno a “saltare con chitarre e ribecchine” mentre i figli “legittimi” di san Francesco “non avessero a patire morsicatura alcune di tarantola”. Una fonte molto interessante è dovuta celebre filosofo e teologo irlandese George Berkeley, che, nel corso di un suo viaggio in Puglia, fu ospite il 27 maggio del 1717 del convento dei Cappuccini di Casalnuovo – nome di Manduria (Ta) fino al 1789. Sul suo Diario di viaggio in Italia annota la credenza per cui i Francescani – ad esclusione proprio dei Cappuccini – sarebbero immuni al morso della tarantola, perché l’insetto era incorso nella maledizione di san Francesco, e che “l’abito francescano indossato per 24 ore guarisce il tarantato”.

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