C’è uno strano dibattito che ogni anno, di questi tempi, fa alzare – diciamo così – la temperatura culturale salentina a tutto danno dei pochi lettori che continuano a leggere i giornali, per niente distratti dal caldo e dalle vacanze. A poco meno di 10 giorni dalla “Notte della Taranta” di Melpignano, si affaccia, infatti, l’usuale fuoco di fila contro “La Notte”, trasformata ormai in “un evento mondano” piuttosto che culturale, come discetta – tanto per fare l’ultimo esempio – il giornalista-scrittore Roberto Cotroneo sulle pagine di Repubblica di Bari nell’edizione di ieri. Cotroneo, tra l’altro, con usuale modestia del personaggio, si attribuisce l’invenzione del bluff sulla “salentinità” dei salentini (i lettori scusino l’ingorgo), una peculiarità di fanno “inesistente” giacchè si tratterebbe solo di “un marchio alla cui invenzione ho, in qualche maniera, contribuito”.
Siamo a questo punto, dunque. La “salentinità” non esiste visto che se l’è inventata Cotroneo, e comunque è solo un marchio: come pure un marchio-spot è la Notte della Taranta, con buona pace di Sergio Blasi e della cultura.
Al di là delle divagazione del nostro intellettuale di importazione, è indubbio che nelle latitudine salentine – ma anche, e forse sopratutto, in quelle baresi – esista una buona dose di confusione nel valutare gli eventi estivi, tra l’altro finanziati con il contributo di denaro pubblico. Si confondono, infatti, le operazioni di marketing territoriale con la cultura; e si confonde la cultura con gli spettacoli, e gli spettacoli con la televisione, e la televisione con il turismo, e il turismo con la Taranta, e via via chiaccherando in un circolo infinito di banalità. In questa confusione accade di fare affermazioni critiche che suonano più o meno così: “Questa mela non è una buona pera”. Demenziale? Certo, e non ce ne accorgiamo. E’ quello che accade, ad esempio quando si attacca il “Premio Barocco di Cartenì perchè non fa cultura, o il “premio Valentino” di Apollonio per lo stesso motivo. Chi mai avrà pensato che Cartenì o Apollonio vogliano fare cultura? Ma quanto mai. Le loro manifestazioni, per il fatto di essere trasmesse sulle reti della Rai, sono semplicemente degli spot pubblicitari: punto e basta. La valutazione delle ricadute sul territorio va fatta in base a questo criterio e non mettendoci in mezzo il solito prezzemolino della cultura.
Un po’ diverso il ragionamento sulla “Notte della Taranta”. Qui esiste oggettivamente una commistione fra contenuto e contenitore che rimanda a elementi culturali forti da cui la manifestazione è stata generata. E’ accaduto piu quello che accade sempre nella vita della società della comunicazione: che la sperimentazione nel laboratorio finisce, che finiscono i tempi romantici dei 40-50 componenti dell’ideale ed esclusivo circolo culturale (quasi sempre di sinistra) radunati nella piazzetta di Melpignano 15 anni fa; che dal laboratorio si passa – se vogliamo chiamarla così – alla produzione industriale: al grande evento aperto ai grandi numero e a nuovi compiti, a nuovi orizzonti. A quel punto tutto cambia. C’è però che il circolo culturale continua a parlare la lingua dell’ormai desueto laboratorio, mentre la “Notte” di Melpignano si contamina, diventa messaggero di un marketing territoriale su cui Ria, ma poi Pellegrino e Vendola scommettono.
E la cultura? Che fine fa? Cosa è diventata la Taranta, un marchio per far crescere il turismo, punto e basta? Come i Premi di Cartenì e Apollonio? Tutto qui?
Ecco il problema, allora, ma con le risposte in parte già incorporate. Da una parte, cioè, un evento che sta seguendo la strada della crescita e della finalizzazione territoriale della sua potenzialità; dall’altra la necessità che i caratteri culturali che lo hanno generato non vengano persi strada facendo. E’ questa la scommessa di Sergio Blasi: le indispensabili e sacrosante contaminazioni spettacolari e di marketing da coniugare con la ricerca e con coraggiose contaminazioni cultruali, coinvolgendo studiosi vicini e lontani. Una bella scommessa tutta aperta e tutta da vincere: il marketing coniugato con la cultura.
Resta il problema dei problemi che attiene però a scelte squisitamente politiche. E cioè l’equilibrio tra eventi, “da vendere”, perchè possano produrre economie sul territorio – vedi turismo – e produzione culturale che nel breve periodo non hanno alcun effetto per così dire economico. Cosa dovrà fare la pubblica amministrazione, Provincia, Comuni e Regione: puntare sulla carte del marketing, sulla vendibilità del territorio e trascurare le piccole produzioni, le iniziative disseminate che si sentono penalizzate? Gli interrogativi sono parti. Da una parte c’è il rischio oggettivo che eventi sempre più grandi come la “Notte” di Melpignano possano desertificare il territorio culturale circostante, privato come sarebbe delle risorse pubbliche. Dall’altro, una politica di piccoli interventi a pioggia indiscriminata, potrebbe avere l’effetto di scialaquare denaro pubblico senza alcun ritorno neppure di impatto pubblico.
A meno che questa potenziale ricchezza non diventi una rete da spendere non solo nelle notti di agosto, ma in grado di attirare l’interesse al di fuori dai tre mesi estivi che contano. Ecco, la destagionalizzazione, direbbero gli operatori turistici. una destagionalizzazione anche delle produzioni culturali, perchè chiunque possa “usarle”, il turismo in primo luogo. Una rete perchè i piccoli possano contare, fuori dalla grande ombra dei grandi alberi-eventi. Anche qui, in ogni caso, perchè l’intervento della mano pubblica abbia un senso, bisognerà valutare gli effetti di questi interventi. Non necessariamente nella misura liberistica dell’economia mordi e fuggi, ma in una prospettiva di crescita, in modo che quello che oggi si fa crescere domani potrà diventare una risorsa. Anche economica. Ma prima bisognerà farla crescere. Tratto da Paese Nuovo del 18.08.2006 di C’è uno strano dibattito che ogni anno, di questi tempi, fa alzare – diciamo così – la temperatura culturale salentina a tutto danno dei pochi lettori che continuano a leggere i giornali, per niente distratti dal caldo e dalle vacanze. A poco meno di 10 giorni dalla “Notte della Taranta” di Melpignano, si affaccia, infatti, l’usuale fuoco di fila contro “La Notte”, trasformata ormai in “un evento mondano” piuttosto che culturale, come discetta – tanto per fare l’ultimo esempio – il giornalista-scrittore Roberto Cotroneo sulle pagine di Repubblica di Bari nell’edizione di ieri. Cotronao, tra l’altro, con usuale modestia del personaggio, si attribuisce l’invenzione del bluff sulla “salentinità” dei salentini (i lettori scusino l’ingorgo), una peculiarità di fanno “inesistente” giacchè si tratterebbe solo di “un marchio alla cui invenzione ho, in qualche maniera, contribuito”. Siamo a questo punto, dunque. La “salentinità” non esiste visto che se l’è inventata Cotroneo, e comunque è solo un marchio: come pure un marchio-spot è la Notte della Taranta, con buona pace di Sergio Blasi e della cultura. Al di là delle divagazione del nostro intellettuale di importazione, è indubbio che nelle latitudine salentine – ma anche, e forse sopratutto, in quelle baresi – esista una buona dose di confusione nel valutare gli eventi estivi, tra l’altro finanziati con il contributo di denaro pubblico. Si confondono, infatti, le operazioni di marketing territoriale con la cultura; e si confonde la cultura con gli spettacoli, e gli spettacoli con la televisione, e la televisione con il turismo, e il turismo con la Taranta, e via via chiaccherando in un circolo infinito di banalità. In questa confusione accade di fare affermazioni critiche che suonano più o meno così: “Questa mela non è una buona pera”. Demenziale? Certo, e non ce ne accorgiamo. E’ quello che accade, ad esempio quando si attacca il “Premio Barocco di Cartenì perchè non fa cultura, o il “premio Valentino” di Apollonio per lo stesso motivo. Chi mai avrà pensato che Cartenì o Apollonio vogliano fare cultura? Ma quanto mai. Le loro manifestazioni, per il fatto di essere trasmesse sulle reti della Rai, sono semplicemente degli spot pubblicitari: punto e basta. La valutazione delle ricadute sul territorio va fatta in base a questo criterio e non mettendoci in mezzo il solito prezzemolino della cultura. Un po’ diverso il ragionamento sulla “Notte della Taranta”. Qui esiste oggettivamente una commistione fra contenuto e contenitore che rimanda a elementi culturali forti da cui la manifestazione è stata generata. E’ accaduto piu quello che accade sempre nella vita della società della comunicazione: che la sperimentazione nel laboratorio finisce, che finiscono i tempi romantici dei 40-50 componenti dell’ideale ed esclusivo circolo culturale (quasi sempre di sinistra) radunati nella piazzetta di Melpignano 15 anni fa; che dal laboratorio si passa – se vogliamo chiamarla così – alla produzione industriale: al grande evento aperto ai grandi numero e a nuovi compiti, a nuovi orizzonti. A quel punto tutto cambia. C’è però che il circolo culturale continua a parlare la lingua dell’ormai desueto laboratorio, mentre la “Notte” di Melpignano si contamina, diventa messaggero di un marketing territoriale su cui Ria, ma poi Pellegrino e Vendola scommettono. E la cultura? Che fine fa? Cosa è diventata la Taranta, un marchio per far crescere il turismo, punto e basta? Come i Premi di Cartenì e Apollonio? Tutto qui? Ecco il problema, allora, ma con le risposte in parte già incorporate. Da una parte, cioè, un evento che sta seguendo la strada della crescita e della finalizzazione territoriale della sua potenzialità; dall’altra la necessità che i caratteri culturali che lo hanno generato non vengano persi strada facendo. E’ questa la scommessa di Sergio Blasi: le indispensabili e sacrosante contaminazioni spettacolari e di marketing da coniugare con la ricerca e con coraggiose contaminazioni cultruali, coinvolgendo studiosi vicini e lontani. Una bella scommessa tutta aperta e tutta da vincere: il marketing coniugato con la cultura. Resta il problema dei problemi che attiene però a scelte squisitamente politiche. E cioè l’equilibrio tra eventi, “da vendere”, perchè possano produrre economie sul territorio – vedi turismo – e produzione culturale che nel breve periodo non hanno alcun effetto per così dire economico. Cosa dovrà fare la pubblica amministrazione, Provincia, Comuni e Regione: puntare sulla carte del marketing, sulla vendibilità del territorio e trascurare le piccole produzioni, le iniziative disseminate che si sentono penalizzate? Gli interrogativi sono parti. Da una parte c’è il rischio oggettivo che eventi sempre più grandi come la “Notte” di Melpignano possano desertificare il territorio culturale circostante, privato come sarebbe delle risorse pubbliche. Dall’altro, una politica di piccoli interventi a pioggia indiscriminata, potrebbe avere l’effetto di scialaquare denaro pubblico senza alcun ritorno neppure di impatto pubblico. A meno che questa potenziale ricchezza non diventi una rete da spendere non solo nelle notti di agosto, ma in grado di attirare l’interesse al di fuori dai tre mesi estivi che contano. Ecco, la destagionalizzazione, direbbero gli operatori turistici. una destagionalizzazione anche delle produzioni culturali, perchè chiunque possa “usarle”, il turismo in primo luogo. Una rete perchè i piccoli possano contare, fuori dalla grande ombra dei grandi alberi-eventi. Anche qui, in ogni caso, perchè l’intervento della mano pubblica abbia un senso, bisognerà valutare gli effetti di questi interventi. Non necessariamente nella misura liberistica dell’economia mordi e fuggi, ma in una prospettiva di crescita, in modo che quello che oggi si fa crescere domani potrà diventare una risorsa. Anche economica. Ma prima bisognerà farla crescere.
Tratta da Paese Nuovo del 18 agosto 2006
di Cosimo Pavone