una nuova importante fonte seicentesca sul tarantismo: il caso del cappuccino Pacifico da Medogno (Modugno)

cover__id7600_w600_t1712579354__1x.jpg&Nel denso volume collettivo Partenope degli spiriti Fantasmi, fluidi e (finte) resurrezioni nel Regno di Napoli di età moderna, pubblicato pochi mesi fa da Viella per la cura di Francesco Paolo de Ceglia, è inserito un saggio dei giovane storico della scienza dell’università di Bari Fabio FrisinoUna tarantola nel “cappuccino”. Un caso di tarantismo al maschile in contesti ecclesiastici di età moderna, che presenta diversi motivi di interesse.

Innanzitutto, viene restituita una fonte inedita sul tarantismo seicentesco, un documento (1) che riguarda un «laico Cappuccino della Provincia di Bari, vestito dell’habito capuccino nel luogo di Rovo [Ruvo di Puglia] l’anno 1628»,  Pacifico da Medogno – orginario appunto di Modugno, cittadina del barese – che, nell’anno 1632, «stando di famiglia nel luogo di Rotigliano [Rutigliano] fui punto da una tarantola».

Il documento in questione è una “confessione”, stilata nel 1643 a Genova, dove il frate risiedeva. Nel suo racconto, Pacifico – come puntualmente fa notare Frisino – descrive il classico decorso del fenomeno, che conosciamo bene dalla sterminata letteratura storica sull’argomento. Il morso velenoso:

travagliosi moti cagiona di ballare a chi ne resta punto, essendo astretto li dui primi anni a ballare due volte per esser stato punto due volte da diverse tarantole, e balla ogni volta due o tre giorni, incominciando dalla mattina sin alla sera pigliando qualche poco intervallo d’un quarto d’hora.

E inoltre:

 quando gl’instrumenti che suonano sono diversi e ben accordati fornisce più presto quel ballo, smaltendosi più presto il veleno, e quando non ha forza di più poter ballare, è segno che all’hora è cessata la vessatione del veleno.

Non mancano, nel rito curativo, altre presenze “simboliche”:

Bisogna ancora che il ballarino habbia in mano spada e pugnale sfodrato, quali mentre salta e balla va vibrando contro un fascio d’herbe verde essendo che la tarantola gusta di quel color verde, e mentre schermisce non offende mai alcuno.

Abbiamo dunque il tema del colore a cui il tarantato è particolarmente sensibile, e quello delle spade/pugnali branditi durante il ballo, molto frequente nelle descrizioni del tempo, nonché nelle poche iconografia disponibili, spesso non specificamente pugliesi (la celebre immagine riprodotta da Athanasius Kircher e, in area napoletana, il disegno del viaggiatore olandese Willem Schellinks e un ex-voto conservato nel santuario della Madonna dell’Arco).

Inoltre, particolare di grande importanza, la “confessione” contiene dei rari dettagli riguardanti la terapia musicale e più nello specifico il tipo di repertorio che veniva usato:

Il ballo che gustava la prima tarantola è il roggero, e ballava il mese di luglio 28, il ballo che gustava la 2ª tarantola è il canario, il qual ballo gli riusciva più doloroso, e ballando piangeva e mandava cridi et urli grandissimi se li strumenti non erano ben agiustati, non gustava di maneggiar la spada come la prima volta ma solo il color verde.

In questo prezioso passaggio, vengono nominati il “roggero”, che dovrebbe essere il “Ruggiero”, una forma di danza, probabilmente originaria del Regno di Napoli (ma forse con radici spagnole), attestata da fonti scritte nei secoli XVI e XVII, e il “canario”, altra danza con radici spagnole, che si dice derivasse da un ballo indigeno delle isole Canarie.

Ultimo aspetto che inscrive totalmente la “confessione” del nostra frate nell’ideologia del tarantismo è il fatto che i malesseri si ripresentino annualmente, anche a molta distanza dal “primo morso”: egli infatti dice di esserne perseguitato da undici anni e dispera di riuscire a liberarsene, ritenendo quindi indispensabile il ricorso a musiche e danza.

Questa straordinaria testimonianza inedita, tanto più significativa in quanto riguardante un’area, quella del barese, su cui la documentazione è molto meno ricca di quella relativa al nord e al sud della Puglia (2), stimola anche alcune ulteriori riflessioni. In primo luogo, ad essere coinvolto nel rito è un uomo, smentendo ancora una volta il luogo comune, molto diffuso, che il tarantismo sia solo una “cosa di donne” (questione che Frisino correttamente mette bene in evidenza). Inoltre, si tratta dell’ennesimo caso che si riferisce a un ecclesiastico, in particolare appartenente ai Cappuccini. Infatti, sui rapporti fra la famiglia francescana e il tarantismo esiste una copiosa letteratura sei-settecentesca riguardante casi di frati tarantati (fra cui spicca quello, recentemente venuto alla luce, riguardante un certo frate Anselmo a Macerata, nelle Marche (3)) nonché i poteri miracolosi degli abiti di esponenti dell’ordine contro il veleno delle tarantole (4), a segnalare una intensa relazione fra questi ordini e il rito, che potrebbe avere le radici in alcune più remote leggende relative ai poteri del santo fondatore, Francesco, nei confronti delle tarantole velenose (questione che forse meriterebbe di essere approfondita dagli specialisti). E il sorprendente prosieguo della “confessione” di Pacifico sembra confermare in maniera clamorosa questa sorta di “relazione privilegiata”, raccontando di come ad alleviare miracolosamente le sue sofferenze, con un semplice “comando”, fu addirittura il Ministro Generale dei cappuccini dell’epoca, Giovanni da Moncalieri (1579-1655), che riuscì a “liberarlo”, ma solo fino alla conclusione del suo mandato. Dopo di ché il povero frate, che a questo punto si trovava a Genova, fu costretto a ritornare ai suoni e ai balli:

Dopo che il detto Padre Giovanni di Moncalieri hà fornito il suo ufficio, ritrovandomi io in Genova quest’anno del 1643, à 12 di luglio, mese nel quale questo veleno suol fare i suoi movimenti, di nuovo m’hà assalito la forza della venenosa tarantola, e mi è convenuto ballare per due giorni, al suono di diversi instrumenti musici, essendovi concorse molte persone della città per vedere in atto novità simile, udita però raccontare e letta ne libri, fra quali vi era il signor [P]icardi medico principale quale hebbe molto gusto di vedere quello ch’havea letto.

Ma se forse le nostre tarantole avevano, per così dire, un occhio particolare per i frati cappuccini, non disdegnavano altri religiosi, come dimostra, sempre per restare a fonti poco conosciute ed emerse di recente, il caso, riferito sempre alla metà del ‘600, di Caterina Baccona e di altre monache del monastero (di clausura) della Annunziata di Lecce, che vengono addirittura autorizzate dai superiori a ballare fra le sacre mura con “suoni e canti” opportunamente convocati (5). Occorre infine segnalare come, in tutto questo profluvio di racconti, non risulta mai un atteggiamento dichiaramente oppositivo della Chiesa nei confronti del rito e dei balli (che venivano addirittura autorizzati nei conventi di clausura femminile!). E questo nonostante il fatto che in diversi casi la “possessione da tarantola” potesse essere confusa con la possessione demoniaca, contro cui la chiesa scatenava ben altre “terapie”. Tuttavia, come mette in luce Frisino, “la sovrapposizione tra tarantola-veleno e demonio-peccato si limitava a una funzione meramente retorica e metaforica”. Non comportava cioè effetti sul piano pratico, per cui, nonostante l’avversione per il ballo delle gerarchie ecclesiastiche, le “cure” secondo l’antico rituale continuavano a svolgersi tranquillamente.

L’intero volume, contenente il saggio di Fabio Frisino alle pp. 315-33, si può consultare in formato digitale qui: https://www.viella.it/libro/9791254695364

 

(1) Tratto dal manoscritto Biografie di religiosi cappuccini dal 1575 al 1692 del fondo storico provinciale dei Cappuccini di Genova, di cui citerò gli stralci riportati nel saggio di Frisino.

(2) Una “cartografia” delle fonti sul tarantismo pugliese, anche al di fuori dell’area del leccese, per varie ragioni più studiata, è contenuta nel mio Il tarantismo mediterraneo, Itinerarti 2021, in particolare alle pp. 21-74.

(3) Ne ho scritto qui: https://www.vincenzosantoro.it/2022/10/04/un-eclatante-caso-di-tarantismo-nelle-marche-macerata-meta-del-sec-xvii/ . Frisino segnala anche il caso, riportato da Athanasius Kircher, riguadante un cappuccino di Taranto, e un altro cenno simile (riferito al territorio di Barletta) dovuto a George Berkley.

(4) In particolare di questa  si trova traccia in: Paolo Silvio Boccone, Museo di Fisica e di Esperienze variato, e decorato di Osservazioni Naturali, Note Medicinali e Ragionamenti secondo i Princìpi de’ Moderni, Venezia 1697, Diego Tafuro da Lequile, Relatio Historica huius reformationis Sancti Nicolai 1647, nonché in una omelia del 1651 del frate francescano riformato Angelico da Martina, in cui, anche in riferimento alle intense polemiche scoppiate in quel periodo all’interno dell’Ordine, è contenuto un attacco ai Cappuccini, costretti a suo dire dal morso del ragno a “saltare con chitarre e ribecchine” mentre i figli “legittimi” di san Francesco “non avessero a patire morsicatura alcune di tarantola”. Una fonte molto interessante è dovuta celebre filosofo e teologo irlandese George Berkeley, che, nel corso di un suo viaggio in Puglia, fu ospite il 27 maggio del 1717 del convento dei Cappuccini di Casalnuovo – nome di Manduria (Ta) fino al 1789. Sul suo Diario di viaggio in Italia annota la credenza per cui i Francescani – ad esclusione proprio dei Cappuccini – sarebbero immuni al morso della tarantola, perché l’insetto era incorso nella maledizione di san Francesco, e che “l’abito francescano indossato per 24 ore guarisce il tarantato”.

(5) ne ho scritto qui: https://www.vincenzosantoro.it/2023/02/14/storie-di-monache-ribelli-e-di-balli-in-convento-contro-i-veleni-delle-tarantole/ . Nel saggio di Frisino si fa riferimento anche alla divertente vicenda, descritto dal medico mesagnese Epifanio Ferdinando (1569-1638) e successivamente ripresa da altri autori, relativa al vescovo di Polignano, il milanese Giovan Battista Quinzato, che «per sperimentare questa cosa, per scherzo si fece mordere da una tarantola in estate e chiamo a testimone Dio che, se non fosse stato placato con la musica e con altri antidoti, già sarebbe morto».

FacebookTwitterGoogle+WhatsAppGoogle GmailCondividi