Nuove contaminazioni tra morsi e rimorsi

da Paese Nuovo del 26 Agosto 2006
Nuove contaminazioni tra morsi e rimorsi
La “Notte della Taranta” di Melpignano e il rapporto tra turismo e cultura. Il ruolo della Fondazione
Mario Proto

Il federalismo turistico, introdotto dal Titolo V della Costituzione, recentemente revisionato, ha fatto flop. Ne sono convinti analisti competenti, operatori di marketing territoriale, ex amministratori di Enti locali di livello europeo, accomunati dalla convinzione che il Bel Paese soffra dell’assenza di una regia politica nella gestione delle risorse artistiche e dei beni culturali. Dal tempo in cui agiva il ministero del Turismo e dello Spettacolo ad oggi, l’Italia ha perduto in gran parte il fascino delle sue attrattive turistiche, saltando dal primo al quinto posto in graduatoria, dopo Spagna, Francia, Inghilterra, ecc.
La delega al turismo, nelle mani del Ministro dei Beni Culturali, non ha rappresentato gran che. I compiti nuovi sono stati affidati alle Regioni, che si sono fatte promotrici di manifestazioni e spettacoli del genere più disparato e, spesso, discutibile. Talvolta si è avuta l’impressione che il ceto politico locale cogliendo l’occasione offerta dalla nuova normativa, ne abbia approfittato per raccogliere facile consenso su una identità ormai perduta sul terreno del confronto politico e culturale. Le polemiche di questi giorni sull’uso discutibile di pubblico denaro, lo sta a testimoniare. Accade sempre così, in Italia, allorché subentri un processo di cambiamento senza precauzioni strutturali ed organizzative preliminari.
Si ricordi la riforma della RAI a metà degli anni settanta, una parentesi inedita nella realtà della comunicazione sempre più spinta verso forme ingovernabili di decentramento mediatico, tanto da far pensare, Francois Mitterand, ad un tipo nuovo di “caos all’italienne”.
Sul terreno del federalismo turistico le cose sono fortemente mutate, e sarebbe difficile riconoscere segnali familiari a chi abbia osservato il fenomeno negli anni passati.
L’impegno finanziario di molti Enti locali, in questa direzione e in particolare della Provincia, deve spingere ad una riflessione che però vede, al momento, poche voci in grado di esprimere una opinione pubblica attenta e consapevole della svolta in atto. Penso, in questo istante, alle discussioni provocate dal Festival “Notte della Taranta”, alle opinioni varie che da qualche mese interessano l’informazione locale e regionale.
A leggere attentamente quanto vi si dice un po’ a ruota libera o con pezzi molto brevi, fa pensare ad una delle prime fatiche intellettuali di Umberto Eco, alle prove con l’elaborazione di una semiotica della cultura quale si può leggere in “Apocalittici ed integrati”.
Da una parte i critici non disposti a concedere nulla come Roberto Cotroneo, che ha parlato di “happening oleografico” e d’iniziativa sostanzialmente mondana. C’è solo da far notare che lo scrittore, solitamente arguto e ben motivato nei dissensi, in questa circostanza ha dimenticato di essersi espresso, in positivo, sul Salento e la “Notte della Taranta” in due occasioni medianiche: la prima, in un’intervista ad un’emittente salentina nel corso dell’edizione 2005 della manifestazione, e in cui aveva elogiato quel prodotto culturale rapportandolo ai caratteri di genuinità poetica e folkloristica della gente che in massa vi partecipa; la seconda, con un servizio su “L’Espresso, dedicato proprio al Salento, per segnalare i nuovi orientamenti e gusti dei gruppi giovanili, aperti alle nuove correnti culturali, alla frequentazione di ambienti (come pub e dibattiti culturali), che hanno cambiato il volto della città. In quella circostanza Cotroneo parlerà di “nuovo rinascimento” del nostro territorio.
Quanto ai secondi, mi riferisco, in particolare alle posizioni, più o meno diffuse dell’informazione locale, forse perché colta di sorpresa da un tipo di avvenimento del tutto diverso rispetto alle dimensioni quotidiane della vita locale. La difesa ad oltranza di quanto accade sul terreno dello spettacolo, della cultura aperta agli scambi e non rarefatta in scelte di purezza accademica, degli organizzatori di eventi come futuri manager o aspiranti a ruoli di leadership politici, sia pure locale; tutto fa pensare ad un atteggiamento di sostanziale accettazione senza filtro, di un messaggio che va decodificato, senza essere demonizzato, proprio perché espressione di un potere politico in cerca di ampio e facile consenso. L’atteggiamento della stampa e in genere, dell’informazione locale, in presenza di uno sforzo finanziario di notevoli dimensioni, nel contesto di proposte di tipo organizzativo ed istituzionale, da discutere nei particolari, dovrebbe essere un’occasione di vigile interlocuzione con gli Enti locali, in un momento di fermenti e di messaggi da decifrare nelle loro reali finalità, e non solo pubbliche e politiche. Quanto alle ricadute sul territorio, alle quali accenna la bozza di Statuto regionale sulla Fondazione “Notte della Taranta” di tipo economico e turistico nemmeno l’ombra, se si esclude qualche prenotazione al ridosso del festival in posti di accoglienza economica della zona. E’ vero e va detto, che i musicisti della Taranta sono stati a Pechino, in Giordania, a Roma, in Germania, ma in molti casi, a spese della Provincia, spesso accompagnati da una delegazione di politici e funzionari a carico dell’Ente locale.
Recentemente il Direttore Generale ha pubblicamente espresso delle lagnanze sulla questione delle missioni, non sempre motivate nei tempi previsti, o non motivate affatto. Nel caso il fenomeno della disattenzione dei dipendenti dovesse ripetersi, l’ufficio sarebbe costretto ad operare delle trattenute direttamente sullo stipendio degli interessati. La Regione ha elaborato il testo di uno Statuto per regolamentare l’attività collegata con la “Notte della Taranta”, in cui si fa riferimento ai soggetti che dovranno farne parte, oltre che ad una attività di ricerca sul Tarantolismo e la musica popolare non ben chiarita nelle realtà sociali (associazioni culturali, gruppi di studiosi, Università), che dovrebbero rappresentarne il tessuto scientifico e culturale connettivo.
La denominazione “Fondazione Notte della Taranta” lascia molto a desiderare, è non è aliena dal provocare una sensazione di banalità. E’ come se si dicesse “Fondazione Calici sotto le stelle”, o altra etichetta dello stesso tipo, perché si fa riferimento ad un festival che non può contenere un obiettivo di analisi scientifica. Perché non “Fondazione Diego Carpitella”?
Il nome dell’illustre studioso di etnomusicologia scomparso alcuni anni fa e già membro dell’equipe di Ernesto De Martino nello studio del tarantolismo potrebbe rappresentare al meglio gli obiettivi di una istituzione aperta alle culture subalterne e musicali del territorio, sulla scia della grande riflessione etnologica di tradizione italiana ed europea. Che senso ha creare la sigla di un “Istituto Diego Carpitella”, che esisterebbe già dal 1998 senza avere sede, biblioteca, archivio multimediale, un direttivo e un comitato scientifico di alto livello accademico. Circolano piccole pubblicazioni sotto quella denominazione, ma sono di carattere poetico-fantasioso o fotografico documentaristico. Diego Carpitella nel 1960 era riuscito a registrare molti brani di musica popolare e contadina del Salento, insieme proprio con Ernesto de Martino, che solo recentemente sono stati pubblicati in una edizione arricchita da un CD. Avranno una collocazione nella Kermesse del 26 agosto? Quello della Etnomusicologia è un terreno molto articolato e complesso, che richiede competenze transfrontaliere (oceanistica, africanistica, amazonia, mediterraneo, mezzogiorno italiano ed europeo), e nel quale l’autodidatta locale può solo fornire piccoli e modesti contributi, ma al di fuori di una comparatistica di livello internazionale.
Da alcuni anni il festival di Melpignano pratica, a fini di spettacolo, la contaminazione con altre culture musicali, per dirla con un termine che sarebbe piaciuto a Carpitella. Ma sulla pratica della contaminazione bisogna intendersi non del tutto è contaminabile. La pizzica-pizzica può essere contaminata con musica popolare africana, cubana,haitiana, perché il ceppo comune è l’Africa, antica capostipite delle culture mediterranee. Non può esserlo con altre musiche, che hanno altro pubblico e altre destinazioni. Lucio Dalla ha un genere musicale tipico di una borghesia allettabile, con i suoni facili di motivetti canticchiabili in situazioni di relax emotivo; mentre Carmen Consoli canta un genere musicale colto, estraneo alla sensibilità delle nuove generazioni, meno legato alle contraddizioni della vita quotidiana. Esempio più intelligente è stato offerto l’anno passato dal cantante toscano Piero Pelù, che ha scelto un brano del repertorio contadino della sua terra, in sintonia con l’atmosfera del festival talentino. La musica parla alle emozioni, le risveglia, ma non produce idee, anche se le stimola.
Offrire cantanti che provengono dal pressing televisivo sul quale hanno fatto il loro successo, la loro fortuna e la loro ricchezza, significa indicare modelli sbagliati alla gioventù che non vi si riconosce, per la “contraddizion che nol consente”. La pizzica-pizzica è un dato forte, in termini musicali, dell’identità di questo territorio, ed è bene che i giovani vi si leghino come in una comunità di sentire emotivo. Ma si tratta, sempre, di una identità resa possibile dal messaggio musicale, forse virtuale, comunque tale da rimediare alla debolezza dell’identità politica e sociale di un territorio, che gli etnologi degli anni cinquanta avevano già individuato come spazio della sofferenza, della marginalità, della subalternità al potente di turno. E’ deleterio strumentalizzare quella voglia di comunità con spettacoli che rientrano in altre logiche e in altri obiettivi.
Cantare insieme con l’artista di colore non significa aver realizzato in concreto modelli di convivenza civile. Lo spettacolo interetnico rimane un fatto virtuale, perché nella realtà la gente di colore vive e patisce una sorta di estraneità etnica e culturale, soprattutto nel nostro territorio.
Nel Salento vivono diverse comunità di migranti, vari gruppi religiosi, anche di tipo orientale, ma non esiste una politica del confronto e della convivenza all’altezza delle nuove sfide della civiltà planetaria. L’informazione locale ne parla di casi giudiziari, pur non dimenticando la delinquenza comune. Ma le reazioni nell’opinione pubblica sono quelle immaginabili in una realtà sociale non ben vaccinata ai bacilli del razzismo strisciante. La musica può essere un ottimo messaggio di dialogo tra civiltà, purché il marketing legato allo spettacolo di massa non ne svisi il significato più profondo. Per mettere insieme milizia di giovani non è poi tanto difficile. Nei giorni scorsi il giovane manager di Telenorba è riuscito a raccogliere circa tremila ragazzi sulla spianata di Campomarino in quel di Manduria, offrendo uno spettacolo musicale misto (musica leggera, rap, rock), affidato a cantanti pugliesi invitati dell’emittente barese senza attingere alle risorse finanziarie della Provincia di Taranto.
Peraltro cominciano a diffondersi serie preoccupazioni di amministratori locali sulle conseguenze ecologiche degli assembramenti giovanili. Nel recente raduno di Cutrofiano a spettacolo finito il compito, per gli operatori ecologici è stato molto oneroso. Si è trovato di tutto sul terreno lasciato dai giovani accorsi al concerto (barattoli, bottiglie vuote, licenze corporali in assenza di bagni chimici, ecc.). Nell’ultimo spettacolo leccese di Gianna Nannini erano stati sorpresi spacciatori di droga.
Con la “Notte della Taranta” di Melpignano il fenomeno va rivisto alla luce di tutte le dimensioni, spettacolari e culturali, politiche e sociali. La ripresa del tarantismo, nelle forme musicali più disparate, nel festival di fine agosto non v considerata secondo parametri di rigoroso confronto etnologico ereditato dalla tradizione scientifica. Sarebbe assurdo. E’ in discussione una operazione che si muove tra spettacolo musicale e piccolo marketing del territorio, e si ricollega in maniera evidente, ad una ripresa locale dell’interesse per il tarantismo che risale agli anni ’80-’90. Fino a quella congiuntura il fenomeno non era oggetto d’attenzione il libro di De Martino “La Terra del rimorso”, sconosciuto ai più iniziava la sua lenta ed inesorabile ascesa nelle classifiche dei best-sellers venduti in loco. Alla base una decisa spinta a rileggere il morso della taranta in chiave teatrale, coreutica-musicale, poetico-mitologica, come riusciva a fare Giorgio di Lecce, allievo del drammaturgo Grotowski, laureato al Dams di Bologna, in grato lui solo di trapiantare in terra salentina le suggestioni mitologiche di un rito di possessione, tale da accomunare il Salento (etimologicamente terra che balla tra due mari), a territori affini per cultura e civiltà, quelle dei popoli emarginati dalla povertà e dall’arroganza del potere.
Giorgio di Lecce proseguiva nel suo viaggio ideale alla ricerca dei tarantati del Salento e vi ritrovava poeti (Bodini, Pagano), scrittori e raccoglitori del Canzoniere Grecanico (Rina Durante), senza dimenticare i tanti che, sin dall’epoca moderna, avevano abbracciato il mito euro mediterraneo della Taranta, perché parte di un comune destino di emarginazione e di subalternità politica e ideale! La danza della piccola taranta che crea “aveva intitolato agli inizi degli anni ’90, la sua soggettiva mappa mitologica di un territorio i cui abitanti hanno percepito, nel morso della taranta, lo stigma di una violenza esercitata sul loro corpo, ma tale da portare a forme di ravvedimento e di emancipazione.
Oggi, nel clima mutato degli scenari internazionali, la doppia dipendenza ripresenta in forme più dure e pericolose: i poteri globali modellano, sia pure con mediazioni le più disparate, condizioni di vita e mentalità collettive; insidiano dall’esterno il territorio, mentre le leadership territoriali plasmano a proprio beneficio un consenso passivo qua e la rinverdito da interventi di folklore urbano. Al tempo delle ricerche di De Martino l’obiettivo era quello di riflettere sul rigurgito di passato che riemergeva dal protagonismo effimero dei contadini, con l’esplosione dal tarantismo, nelle forme inconsapevoli di un cattivo passato non richiesto.
Oggi il passato riemerge ma nella raffigurazione edulcorata di un tempo della storia carico di valori, tradizioni, emozioni collettive; ma è richiesto, voluto, desiderato da una maggioranza silenziosa più o meno estranea alle ideologie oltre che alla pratica politica dei conflitti sociali.
In tutto ciò rigurgita un passato con i colori del bel tempo antico, reso suggestivo dalla favola della danza e dell’impazzimento estemporaneo della massa impotente ad agire per cambiare; ma pronta ad entrare nei flussi emotivi di nuovi riti di guarigione virtualmente in grado di allontanare il morso di una taranta globlale che si annida tra le pieghe di una civiltà che non lascia scampo a sentimenti di comunità e di solidarietà umana.
Scriveva Leonardo da Vinci che la taranta lascia in piedi il proponimento del pensiero al momento del morso.

FacebookTwitterGoogle+WhatsAppGoogle GmailCondividi

Lascia una risposta