Un viaggio dalla Brianza al Salento, passando per Sesto Fiorentino alla ricerca di antiche culture e di nuovo impegno comune per lavori socialmente utili.
Dal settembre scorso deambulo per l’Italia e incontro persone, compagni spesso e amici e sodali, per dire loro delle difficoltà dell’Istituto Ernesto de Martino, sede operativa di Sesto Fiorentino, ridotto, da due tagli successivi al contributo comunale -figli legittimi e bastardi (oximoron) della finanziaria tremontiana – a una sopravvivenza parente assai prossima della stasi esiziale. Nella contingenza, esso è costretto a rinunce politicamente e culturalmente gravi come quella che riguarda «InCanto», una rassegna sulle forme autonome dell’espressività giunta alla sua dodicesima edizione che non si farà; la rassegna, insieme alla riscoperta / riproposta da parte dell’Istituto summenzionato della tradizione del Primo Maggio, ha contribuito a costruire il nostro radicamento sul territorio sia locale sia regionale, sia nazionale. Infine, l’ossimoro proposto vuole stigmatizzare quella concezione del tutto sovrastrutturale della cultura che, in perfetta consonanza con i tagli, discende e informa tutti i livelli: da quello governativo a quello regionale a quello locale: non è neanche uno slalom, è una discesa libera. In tutto questo c’è un paradosso: accusato sovente di scarsa visibilità, l’Istituto è in realtà conosciuto e considerato più di quanto chi ci lavora, io stesso, e buona parte dei soci di lunga lena sappiano; insomma: in nessun posto e a nessuno ho dovuto spiegare che cosa fosse l’Istituto; questo che è e resta un bel segno, è anche una bella responsabilità.
Poi Ospiti della famiglia Chiriatti di Calimera (Lecce), nell’agosto ultimo scorso, mia moglie e io s’è fatta vacanza nel Salento. Nulla so del mal d’Africa né della saudade brasiliana, ma so di questa nostalgia che da allora mi porto appresso e del bisogno sogno di Salento che ne consegue: e vai che vai bene, ma mica tanto. Me lo sono visto il Salento e non so più a quanti concerti della Notte della taranta ho assistito: quasi tutti credo, tranne il finale, a Melpignano, giusto quello che ha per titolo «La notte della taranta».
Bon, come dicono in Brianza e dintorni, in quella feria più volte ho incontrato Sergio Blasi sindaco di Melpignano, paese della Gricìa salentina, 2.200 residenti circa, giunta di centro-sinistra. Di molto s’è parlato, di molto e di furia, troppo indaffarato lui; cionondimeno qualcosa m’è riuscito di dirgli sulla situazione dell’Istituto. Ci siamo lasciati promettendoci un incontro a venire. Che è avvenuto: sabato 11 marzo, nel suo ufficio a Melpignano.
Ha 43 anni il sindaco. Si muove svelto, agile nonostante una quasi totale perdita della vista. Vive questa sua alterità come la più normale delle normalità e il suo dire e il suo fare non consente imbarazzo né compianto. Parla con grande chiarezza e apprezzabile concisione.
Ad alcune mie domande sia nel merito della Notte della taranta, sia nel merito di una costituenda Fondazione della Notte della taranta che lui fortissimamente vuole, questo mi dice: «la caduta del muro di Berlino, il crollo dell’Urss, hanno segnato la fine di un mondo diviso in due. Non do giudizi politici, dico di un momento storico che ha cambiato il mondo, che mi ha cambiato, che in qualche misura mi ha liberato e voglio dirti perché».
Pausa, e la pausa mi sta bene perché ho qualche dubbio nel merito. «Il mondo diviso in due – dice – aveva congelato situazioni di potere. Qui da noi, in Puglia, nel Salento dove siamo, democrazia cristiana, padronato, forze reazionarie, cosche sacrate e coronate erano intoccabili e inamovibili e il modello di sviluppo, qualsiasi modello di sviluppo, si strutturava e cresceva sulla conservazione a oltranza dello status quo e, dunque, sullo sfruttamento più brutale e sulla corruttela più selvaggia. Ernesto de Martino ha chiamato il Salento la terra del rimorso. Io ti dico della terra del silenzio sia per il Salento che per la Puglia tutta. Ti dico di una terra silenziata, bloccata e costretta sul margine, fatta catatonica e sorda ormai ai richiami di un mare portatore di voci mediterranee, chiusa in un passato di poteri forti eletto a presente e orfana di qualsisia futuro democratico. Oggi…».
Vorrebbe pausare ma proprio non gli riesce: succede quando la convinzione dà passione.
«… Oggi noi abbiamo voce e la usiamo e usiamo il nostro passato, tutto il nostro passato, criticamente, per farlo contemporaneo e compresente e grimaldello per aprire le porte del futuro. Oggi noi ci riprendiamo il nostro posto nel Mediterraneo, una nostra funzione e non ci spaventa… anzi… l’idea di mettere insieme la Notte della taranta con tutte le grandi culture e civiltà che hanno attraversato nei secoli, nei millenni questa terra… dico dei micenei e dei messapi e degli illiri e dei greci e dei bizantini e degli arabi e dico di Federico II di Svevia». Nel suo dire c’è la figurazione, leggibile, di una mediazione e di un compromesso necessari perché forieri di proiezioni a venire, di futuri: cose a fare. La voce sua ha la forza di una convinzione faticata e da faticare. Di mio penso che l’accostamento Notte della taranta – Federico II sia quantomeno ardito e davvero non mi sarebbe difficile sollevare dubbi, avanzare critiche, epperò m’impongo di aspettare, di ascoltare, perché voglio capire. «Sono al secondo mandato come sindaco» dice Sergio Blasi. «Cinque anni fa, appena eletto, ero ben cosciente di uno dei problemi dei tanti anziani di Melpignano… i giovani se ne andavano, che ci stavano a fare? ma ora tornano… il problema grave assai dei loro passi incerti su marciapiedi sconnessi. Decidemmo allora di rifarli, i marciapiedi: duecento metri ci sono costati 150.000 euro. Qualche conto veloce: il rifacimento totale avrebbe prosciugato tutte le risorse del comune. Ma qui c’è un’infanzia che abbisogna di asili nido e di scuole materne e ci sono bambine e bambini in età scolare e ci sono ragazze e ragazzi ai quali dobbiamo e vogliamo garantire l’accesso scolastico e io ho pensato a scuole ben costruite e bene attrezzate e ho pensato anche che tutti avessero diritto ai libri e ai materiali didattici perché questo è giusto perché senza cultura non si costruisce partecipazione e senza partecipazione non c’è democrazia credibile e allora abbiamo fatto una grande assemblea pubblica, una agorà, e lì ho detto agli anziani dei marciapiedi ma ho detto anche delle loro e dei loro nipoti e della scuola eccetera e ho finito dicendo: “Sentite, soldi per i marciapiedi e per le scuole non ce ne sono. Questa è la mia proposta: il Comune vi dà quanto serve per i materiali, il marciapiede ve lo sistemate, aiutatevi tra di voi. In questo modo con 38.000 euro sono stati rifatti 3.500 metri di marciapiedi e il Comune ha messo mano alla costruzione di scuole spaziose, luminose, sane e anche belle… perché no? perché sì, belle e libri per tutti”».
Questa, penso io, è la voce che rompe il silenzio e che non vuole essere silenziata e sono voci come questa che hanno portato Nichi Vendola alla presidenza di questa regione.
«Quanto alla Notte della taranta» mi dice «bene, io so perfettamente che poco o nulla ha a che fare con la nostra cultura di tradizione e so anche che pizzica e taranta sono un pretesto eletto a moda. Certo che lo so. Ma la Notte della taranta è il grimaldello che ha forzato l’accesso alle nostre terre promuovendo, nei fatti, turismo e ne abbiamo bisogno, ma, anche, scambi di culture a livelli diversi e contaminazioni e socialità… centinaia di migliaia di giovani che vengono da dove vengono e che socializzano tra loro e con i locali… questo probabilmente è soltanto il massimo del minimo di un inizio di reciproche conoscenze… il massimo del minimo, come no? ma il massimo del minimo è sempre meglio del minimo del minimo che spesso è gemello del niente. Penso infine che si debba tornare nel Mediterraneo, come Salento e come Puglia, per dare il nostro contributo affinché questo mare che spesso è stato ed è il mare delle guerre possa diventare il mare degli scambi tra uguali e della pace. Per questo la Fondazione che abbisognerà di saperi locali e nazionali e internazionali e di intelligenze generose e capaci di proposte forti che ci aiutino a pensare alla cultura in modo strutturale, come una priorità irrinunciabile: in questo senso la ricerca di Gianni Bosio qui da noi, nel 1968, per come me ne avete parlato tu e Luigi Chiriatti, è sicuramente un contributo importante». Ci siamo lasciati dicendoci che quella ricerca di Bosio dovrebbe, deve essere pubblicata. Ci siamo detti anche che fare questo vuol dire dare nuova linfa all’Istituto Ernesto de Martino.
La tratta ferroviaria Lecce-Milano è lunga, lunga assai: a farla pensando all’Istituto Ernesto de Martino con cuore e mente più leggeri viene meglio.
tratto da il Manifesto
di Ivan Della Mea
pubblicato il 26/03/2006