Così la musica salentina sbarca a New York

Il gruppo Salentino Aramirè invitato nel celebre teatro della Carnegie Hall per presentare il suo repertorio
di Eliana Forcignanò

da il Paese Nuovo – venerdì 19 gennaio 2007

Gli Aramirè invitati nello storico teatro della Carnegie Hall di New York. Il gruppo che lavora sul patrimonio musical salentino- dai canti d’amore a quelli di lotta e di lavoro – ci rappresenta questa sera in america, proprio dove si sono già esibiti i Beatles, Frank Sinatra, Louis Armstrong.

Non tutti i gruppi che lavorano sulla tradizione musicale salentina hanno scelto di aderire a quel fenomeno di grande richiamo che è ormai noto ai più con il nome di “Notte della taranta”.
Ogni estate, da otto anni a questa parte, salgono sul palco allestito per l’occasione a Melpignano alcuni fra i gruppi di riproposta più in voga e qualche nome importante della musica pop italiana e straniera. Centinaia di giovani s’incontrano sotto quel palco per ballare la pizzica e trascorrere insieme la magica notte del ventisei agosto. Qualcuno afferma persino: “Vorrei che il mondo fosse come Melpignano”, ma chi rimane fuori, a volte, sceglie di farlo per protesta contro un evento che ritiene poco legato allo studio e al recupero della musica popolare e più affine a politiche di marketing turistico. Questo è il caso di Aramirè, il gruppo salentino erede del Canzoniere di Terra d’Otranto che, dal 1996, lavora sul repertorio musicale di tradizione. Gli Aramirè, per loro scelta, non partecipano alla Notte della Taranta, e ciò li rende certamente meno conosciuti di altri gruppi che ogni anno si recano a Melpignano, eppure la qualità c’è e si sente al punto da raggiungere anche gli Stati Uniti. La Carnegie Hall di New York, difatti ha invitato gli Aramirè a suonare per questa sera il loro repertorio: nello storico teatro in cui si sono esibiti Louis Armstrong, i Beatles e Frank Sinatra, ora, tocca a questa compagnia di musica salentina incantare gli ascoltatori.
Che cosa significa un invito del genere? Senza dubbio, abbiamo di fronte una musica di qualità che si fa conoscere e apprezzare anche all’estero. L’invito ha sorpreso i componenti del gruppo per primi che sono contenti, ma anche intimiditi da questa prestigiosa occasione. Tanti gli interrogativi: proporre un repertorio di musica salentina all’esigente pubblico di New York è una scommessa notevole. Sapranno gli americani comprendere il nostro patrimonio musicale? Soprattutto, come valorizzare i risvolti di questa esperienza nel Salento? Perché c’è il rischio che gli Aramirè, conosciuti sul piano internazionale, facciano fatica ad affermarsi nella loro terra d’origine. Nessuno è profeta in patria, come si suol dire, ma soprattutto chi sta fuori dagli schemi, chi rema contro corrente nel nostro Salento piccolo e un po’ provinciale si scontra con non pochi ostacoli.
Nella pubblicazione che accompagna l’ultimo disco degli Aramirè dal titolo “Mazzate pesanti”, Roberto Raheli, fra i componenti del gruppo, scrive: “Come nel campo degli interventi sul territorio, anche in ambito musicale manca un progetto di sviluppo che parta dalle caratteristiche della musica del Salento con l’obiettivo di farla crescere dall’interno. (…) La musica popolare scompare con le persone: l’obiettivo culturale prioritario dovrebbe essere quello di rendere possibile la trasmissione ai giovani delle sue caratteristiche più profonde. Solo così questa musica potrà essere rivitalizzata dall’interno e non fossilizzarsi sulla ripetizione sterile de Lu rusciu de lu mare in tutte le salse”. Sono parole dure che, però, esprimono anche un profondo amore per la tradizione e il desiderio di restituirle nuova linfa. “Scrivere nuove canzoni che possano essere salentine – continua Raheli – e che magari parlino di temi d’attualità richiede uno studio scomodo ed approfondito, ma soprattutto un livello di immersione che rischia di diventare totalizzante. Non molti musicisti sono disposti a sacrificare la sicurezza del già conosciuto, delle nozioni da conservatorio, per avventurarsi in territori – melodici, timbrici, ritmici e d’armonia – inesplorati”.
Gli Aramirè non lavorano soltanto sulla pizzica, bensì su tutto il patrimonio musicale di tradizione. La loro è un’opera di attento scavo che vede protagonisti i maggiori “alberi di canto” della nostra terra: da Stifani, agli Ucci, alla Simpatichina. Interpellando questa gente, ascoltandone i ritmi, il modo di cantare, apprendendo dalla loro bocca le circostanze in cui la civiltà rurale cantava la propria condizione di fatiche e stenti, si costruisce la musica degli Aramirè che rimettono mano ai testi antichi e li rielaborano senza però tradirne lo spirito originario. Canti d’amore, di lotta e di lavoro sono le tre direttrici lungo le quali si muove questo gruppo che, però, non si sottrae alla creazione di musiche originali su temi d’attualità.
Interessante, in tal senso, è il testo di “Mazzate pesanti” scritto da Roberto Raheli del quale pubblichiamo una parte che ci sembra piuttosto significativa. La canzone è in dialetto salentino, ma qui la trascriviamo in italiano: “Giù nel Salento abbiamo il sole e il mare bello/ e con il tamburello la gente balla e suona/ però questa “musica etnica”  è diventata come una cartolina/ di un Salento finto di notti e di tarante// Sono “etnico” ma incazzato perché il tamburello/ non deve diventare come un anello al naso (…).
Il tamburello come l’anello al naso: su questa espressione non sarebbe male aprire un dibattito per capire in quale direzione va la musica popolare e se vi è una possibilità che i diversi gruppi di riproposta si intendano su un progetto di lavoro comune volto al serio recupero della tradizione. Intanto non ci rimane che augurare buona fortuna agli Aramirè per la loro esibizione a New York e sperare che queste sortite all’estero diventino sempre più numerose per il nostro patrimonio di suoni e per chi lo rappresenta.

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