Il futuro del movimento della pizzica

Intervista a Donato Margarito, consigliere di Rifondazione Comunista alla Provincia di Lecce sul convegno Puglia terra di musica. Politiche di tutela e valorizzazione dei patrimoni tradizionali, tenutosi ad Alessano (Le) il 2 febbraio 2007
di Francesca Amoroso

Perché questo convegno ad Alessano sulle politiche di valorizzazione e tutela delle culture popolari?
C’era un’esigenza molto diffusa di confronto tra il movimento della pizzica e del neo-tarantismo e le politiche pubbliche delle istituzioni e dei governi locali. Gli ultimi tempi sono stati segnati, a mio avviso, da una forte divaricazione tra i due livelli. Quello istituzionale si è chiuso in se stesso, preferendo assumere la funzione di un nuovo mecenate che seleziona e sceglie la cosiddetta qualità culturale dei progetti proposti con criteri, però, ispirati alle politiche turistiche, al marketing territoriale, alla vicinanza partitica e all’industria del divertimento. L’altro, invece, quello del movimento, è stato spesso ignorato, costretto a fare del proprio mondo appartato, se non emarginato, il luogo di una creatività, perfezionatasi negli anni, che per tanti aspetti ci stupisce. Io sono del parere che, su questo livello, non ci sia stata soltanto divulgazione, anche con mezzi mediatici, di cose ovvie e scontate, ma anche prodotti di qualità, un vero e proprio talento artistico. Sono del parere che i due livelli debbano interagire, dialogare, intendersi. Il convegno di Alessano serviva a questo.

Però non sono mancate polemiche, questo forse è il segno che intendersi è ancora molto difficile. Cosa pensa a proposito?
Penso che ci sia stato ad Alessano un confronto vero e, quando la polemica viene per illuminare le posizioni, questa sia davvero salutare. Non intendo, ovviamente, la polemica spicciola, quella che proviene da un municipalismo deleterio e settario, fatto di rancori personali e da pettegolezzi, ma quella che è sostenuta da argomenti e approfondisce le questioni, anche quando ciò avviene in contrasto con delle opinioni più prettamente politiche sul tema. A me, ad esempio, è piaciuto molto l’intervento di Raheli, nonostante sia stato molto critico e sfiduciato rispetto ai governi locali, ma quello scetticismo, secondo me, aiuta di più delle posizioni unanimistiche, assunte da quelli che si accodano opportunisticamente. Ho trovato eccellente anche l’intervento di Rinaldi che ci ha esortato a sostenere un approccio alle culture popolari non museificante o diseducativo sul piano culturale e sociale. Nelle sue acute parole, ho percepito quanto sia importante la distinzione tra folklore ed etnografia poiché la prima ci dà un ricordo sia pure sorretto da documentazione di ciò che è stato per le comunità pre-moderne, mentre la seconda ci fa osservare ciò che è stato con domande partecipative, attualizzanti. Ed è stata interessante anche la relazione di Santoro che ha informato sui lavori della mattinata, nella quale un gran numero di operatori provenienti da tutta la Puglia e da fuori, ha mostrato i risultati della propria attività e ricostruito la problematica intorno alla questione. Molto stimolanti sono state anche le proposte operative avanzate da Sergio Torsello, alcune persino suggestive. Insomma il convegno è stato, a mio avviso, molto propositivo perché qui c’erano i diretti interessati.

Mi scusi se la interrompo, ma i diretti interessati, come lei li chiama, chi sono? L’Assessore Regionale Godelli, ad esempio, non era molto certa della loro esistenza come “movimento”.

E’ indubbio che in Puglia ci sia uno stile musicale che costituisce, da qualche anno ormai, una tendenza. Per dire la verità è una tendenza che si è allargata oltre i confini regionali. E’, lo dico grossolanamente, lo stile della pizzica, della tarantella, del neo-tarantismo e, quindi, della riproposizione di sonorità e vocalità, provenienti da una certa tradizione orale, ben localizzata. Questa tendenza è già diventata un gusto dal momento che muove masse, attira ricercatori, converte nuovi adepti e autodidatti, coinvolge università, case editrici e riviste, interessa i media e gli enti locali. Al nord sono sempre più numerose le scuole in cui si insegna il ballo della pizzica e l’uso del tamburello. Per non parlare di una vasta produzione multimediale che, già oggi, riscontra un mercato promettente. Questa tendenza, diventata gusto diffuso, è molto visibile in Puglia, in particolare nel Salento. Peccato che l’Assessore Godelli non riesce a vederla.

Ma come si può chiamare questa tendenza, se è possibile mettersi d’accordo almeno su una sua denominazione?
L’importante, a mio avviso, è prendere atto della sue evidenze che sono la sua connotazione sociale e la sua caratteristica estetica. Il resto è secondario. Per tanti motivi, io credo che esista una koiné musicale, legata alle tradizioni della pizzica. Forse l’espressione “il movimento della pizzica” può non piacere. Io ad Alessano ho parlato di “stati generali della pizzica” e anche questa definizione può essere infelice, più d’occasione, insomma. Ma il problema vero non è il nome che noi diamo alle cose, bensì la sostanza delle cose stesse.

Ritorniamo di nuovo al convegno. Lei ha parlato di una discussione propositiva. Vuole spiegare meglio questo parere?
La validità delle proposte è stata di duplice natura, una generale e l’altra riguarda più nel dettaglio il tema del convegno. Sulla prima bisogna dire che non sono state poche le prese di posizioni concettuali, degne di vera condivisione. In primo luogo, è stata condannata una certa tendenza all’egemonismo, legata e promossa, in particolare, da “La Notte della Taranta” e rivendicata, invece, una linea di pluralismo culturale, cui dovrebbero ispirarsi le politiche culturali degli enti pubblici. Pertanto, né il grico, né il tarantismo, né il neo-tarantismo possono essere considerati il codice primario ed esclusivo delle culture popolari salentine. Con questa espressione, invece, si deve intendere uno spettro più ampio che includa, almeno, il teatro sacro e profano, la devozione religiosa, il patrimonio dialettale, la civiltà contadina, i beni simbolici, materiali e archeologici della tradizione. Opportuno, in tal senso, è stato anche il richiamo dell’Assessore Godelli alle diversità geografiche delle culture popolari, di cui chi governa non può non tener conto. In secondo luogo, mi pare che ci sia stata una sostanziale convergenza nel riconoscere quanto sia importante la connessione tra programmi di multimedialità e programmi di didattica, nelle politiche di tutela, valorizzazione e divulgazione delle tradizioni popolari. Naturalmente gli e gli altri concepiti ed eseguiti senza improvvisazioni e superficialità. In terzo luogo vorrei fare un cenno al problema dell’identità. Si tratta di un tema che spesso viene sfiorato, ma non approfondito, forse perché si dà per scontato che la riscoperta del popolare sia di per sé costitutiva o fondativa di un’identità salentina specifica. Ad Alessano, alcuni sostenevano come necessaria questa riscoperta per proteggere la salentinità dagli effetti omologanti e distruttivi della mondializzazione. Altri non sono ricorsi a questa connessione così impegnativa, collocando la riscoperta del popolare nell’ambito di un’esperienza fruitiva personale che convince e appassiona. Poi ce ne sono altri che non condividono né la tensione morale dei primi, né l’edonismo dei secondi. Questo fronte rigetta la categoria della salentinità (e giustamente, a mio avviso) e manifesta forti preoccupazioni per un fenomeno di ritorno nostalgico al popolare che persegue chiari obiettivi identitari. Peccato, però, che quest’ultima questione, sia nel convegno di Alessano che in altri appuntamenti, sia stata molto marginale.

E per quanto riguarda le questioni operative, cosa può dire in merito?
La relazione di Vincenzo Santoro è stata molto delucidativa in tal senso. Posso solo limitarmi ad un elenco schematico: incentivi alla ricerca sul campo, istituzione di case della cultura popolare, programmi di didattica, archivi multimediali, centro di documentazione, biblioteche tematiche, organizzazione sovracomunale degli eventi, studi di registrazione che siano tecnologicamente attrezzati, qualificazione ulteriore delle professionalità, costituzione di ecomusei, ecc… Naturalmente la realizzazione di programmi così dettagliati e complessi non può avvenire solo attraverso gli sforzi degli addetti ai lavori. Occorre il sostegno di un intervento pubblico che destini le risorse mediante il criterio, prima richiamato, del pluralismo. E su questo versante, non di poco conto, io continuo a nutrire forti perplessità.

Allora l’appuntamento di Alessano non ha conseguito il risultato sperato? Forse le parti, movimento e istituzioni, non sono riuscite a trovare significative convergenze? Quali sono i punti deboli nel movimento e nei governi?
Confermo il mio parere. Il convegno è stato utile perché ha evidenziato delle verità. Possono non piacere, oppure deludere le nostre attese, ma comunque risultano utili proprio per quello che ci dicono, che ci svelano. Intanto, dalla parte del movimento, sono evidenti la frammentazione e un certo spontaneismo. Anche il rapporto con la politica di governo mi sembra molto ‘traumatico’, forse giustificato dalle delusioni via via subite che inducono più allo scontro che al dialogo. Sarebbe molto utile, però, per il movimento stesso fare blocco organizzato e negoziare, da posizione di forza, accordi di programma, aventi finalità collettive e pluralistiche. Se non ci sarà questa forza ‘politica’ del movimento diffuso, difficilmente le istituzioni pubbliche potranno emendare i loro programmi. Né si può pensare che la buona volontà di un individuo o di uno sparuto gruppo di persone possa cambiare il corso degli eventi. Naturalmente non mi aspetto che bravi artisti diventino, dall’oggi al domani, bravi politici, però che comincino a pensare che il problema, che stiamo affrontando, è politico come pure la possibile soluzione, questo sì lo auspico. Sarebbe l’atto iniziale per costituire quella forza, di cui parlavo. Tuttavia bisogna riconoscere che più che questo, dal convegno di Alessano, si aspettavano risposte chiare dai governi.

Ecco, siamo arrivati al nocciolo della questione. I governi che risposte hanno dato alle sollecitazioni e alle proposte del movimento, nel convegno di Alessano?
Ad Alessano erano presenti il Comune, con il Sindaco Luigi Nicolardi e l’assessore alla Cultura Mauro Alba, la provincia di Lecce con il presidente, sen. Giovanni Pellegrino e la Regione Puglia con l’Assessore Silvia Godelli. Il comune di Alessano, forse per doveri di ospitalità, ha assunto una posizione molto sfumata, direi buonista, come se non fossero affatto consapevoli del contrasto, oggettivamente esistente, tra movimento e istituzioni. Essere sensibili al revival popolare in atto non significa, però, stare dentro il contrasto, nello spirito del suo superamento. Io auspico che, in futuro, il comune di Alessano sia più netto nelle posizioni, in materia.
Per quanto riguarda la Provincia, il discorso è diverso perché, a palazzo dei Celestini, il ‘contro’ Pellegrino se l’è trovato ‘dentro’ l’istituzione. Il contrasto, su citato, è stato portato, con vari ordini del giorno, nell’ambito dell’istituzione provinciale, promuovendo dibattito e chiamando l’assemblea a votare, ad assumere impegni. Non credo che ci sia stata un’altra istituzione o luogo, in cui il contrasto sia stato discusso, nella prospettiva di un problema. Intendo dire nella prospettiva che chiedeva garanzie per il pluralismo degli interventi e rottura dell’egemonismo targato “La Notte della Taranta”. Chi non ha capito questo scontro, questa tensione, sia pure nella fattispecie istituzionale, è fuori dalla logica delle cose politiche. Se non l’ha capito il movimento, è più grave ancora poiché chi combatteva quella battaglia lo faceva proprio per il movimento. Il presidente della provincia, invece, l’ha capito, l’ha capito così bene che Pellegrino ha dovuto negoziare un accordo che ha, in gran parte, scombinato i piani della Regione Puglia, già definiti.
A tal proposito voglio precisare che, in Provincia, la tensione si è espressa in due momenti. Il primo è stato quello della modifica dello Statuto per la costituzione della Fondazione “La Notte della Taranta”. Dico subito che, su questo livello, c’è stata la piena indisponibilità della Regione Puglia a tornare sui suoi passi, emendando un testo, (già licenziato dalla Giunta Regionale), secondo le indicazioni fornite dalla Provincia di Lecce con due odg, approvati all’unanimità dal Consiglio provinciale. A questo punto si sarebbe potuto dichiarare forfait e finirla lì. Invece, per non deludere le attese del movimento, si è cercato su un altro piano l’accordo, almeno a livello di Consiglio provinciale, rinunciando alla modifica dello Statuto per la Fondazione “La Notte della Taranta”, approvando, però, un pacchetto di condizioni e obiettivi da considerarsi come un mandato vincolante che la Provincia di Lecce indirizza ai futuri organismi di direzione e gestione della Fondazione, senza la cui osservanza la Provincia preannuncia, sin d’ora, il suo disimpegno, anche finanziario.
In sostanza la Provincia di Lecce partecipa alla costituzione della Fondazione, ma con un pacchetto ben definito di condizioni e obiettivi. Quali sono? Esattamente, almeno sulla carta, quelle condizioni e quegli obiettivi, proposti dal movimento. Di certo, in questo momento, nessuno può sapere se gli impegni condivisi, rispetto agli atti deliberati, saranno mantenuti fino in fondo. Staremo a vedere. Il tempo è galantuomo. Per queste ragioni mi stupisce l’intervento, a tratti, blando del presidente Pellegrino, il quale può vantare il merito di aver tentato di aprire una breccia nell’egemonismo grico-melpignanese. Forse, il partenalismo del suo intervento: niente polemiche, mettiamoci d’accordo, possiamo coesistere tutti, dipende dalla convinzione che il contrasto stia per essere superato, che la Fondazione si atterrà al mandato su esposto. Su questo, però, dovremmo essere tutti prudenti, attendere i fatti e poi valutare. Interessante, comunque, la disponibilità del presidente Pellegrino nel far utilizzare il palazzo Comi di Lucugnano, già ristrutturato, per qualche funzione, attinente alle richieste del movimento. Occorre naturalmente, su questo, fare una verifica e vedere si i locali del palazzo sono idonei o meno per le attività di tutela, valorizzazione e divulgazione delle tradizioni popolari musicali.

Sembra di capire che i problemi più grossi vengano, allora, dalla Regione. Eppure l’intervento dell’Assessore Godelli è stato molto apprezzato, addirittura convincente.
Si, si, ho sentito, a conclusione dei lavori del convegno, che l’uditorio era molto soddisfatto dell’intervento dell’Assessore Godelli. Io, però, non posso dire la stessa cosa, ritenendo, invece, quelle parole elusive, se non addirittura fuori tema. C’erano delle domande ben precise, alle quali la rappresentante del governo regionale avrebbe dovuto rispondere e, a mio avviso, non l’ha fatto. Non si capisce perché. Chi, come me, ha seguito questo problema, per più di un anno, si attendeva qualche proposta concreta e qualche impegno per l’attivazione di un dialogo produttivo tra movimento e istituzioni. Invece, in tal senso, non è stato lanciato nemmeno un cenno. Il problema di fondo è questo. La provincia di Lecce accetta di partecipare alla costituzione della Fondazione, ma fin d’ora trasmette agli organismi dirigenti della stessa un mandato di condizioni e obiettivi che ritiene vincolante. Ora il mandato, su richiamato, non è una generica assicurazione, ma un insieme di atti deliberativi, approvati dal Consiglio provinciale e già trasmessi alla Regione. Cosa c’è in questo mandato? Quali contenuti sono proposti? Ci sono obiettivi e programmi molto diversi rispetto a quelli ben noti del programma, legato a “La Notte della Taranta”. Si tratta di ricerca sul campo, di centro di documentazione, dell’archivio multimediale e sonoro, di una biblioteca tematica, del necessario sostegno finanziario a queste iniziative e della partecipazione del movimento nel comitato scientifico della Fondazione. E’ evidente che le proposte della provincia di Lecce sono una politica culturale ‘correttiva’ rispetto ad un’intesa, già predisposta di tipo, come dire, grico-melpignanese-regionale.
Ora, adesso, si attende dal governo regionale una risposta nel merito, non parole elusive e generiche, come quelle sentite l’altra sera, tenendo conto che nel frattempo c’è stata una novità molto importante. Infatti le municipalità della Grecia salentina e l’Istituto Carpitella hanno, congiuntamente, approvato, attraverso i loro rispettivi organismi istituzionali, sia il testo della Fondazione, proposto dalla Regione Puglia che il mandato vincolante di condizioni e obiettivi, proposto dalla provincia di Lecce e correttivo rispetto all’egemonismo ‘neotarantista’, già segnalato. Al momento, però, non abbiamo alcuna risposta dal governo regionale. Non sappiamo se è sulla linea di un recepimento delle istanze correttive oppure se intende rigettarle. A questo quesito avrebbe dovuto rispondere con molta chiarezza l’Assessore Godelli. Ma, purtroppo, non l’ha fatto.

Mi pare che siano state rivolte due altre domande all’Assessore Godelli, alle quali non ha risposto.
Vedo che hai una buona memoria. Le due domande sono state formulate proprio per stanare la Regione Puglia, per capire le sue reali intenzioni, per stabilire qualche punto di convergenza. Con la prima domanda si è chiesto in che modo intende fare proprie le proposte della provincia di Lecce. E’ stato detto anche che l’assunzione della linea correttiva e integrativa può avvenire nelle forme amministrative che riterrà più opportune, onde evitare posizioni di eccessiva rigidità. Come ho detto prima, a questa domanda, che era la più importante, non è stata data alcuna risposta.
Con la seconda domanda è stata chiesta la convocazione, a Bari, degli stati generali del movimento della pizzica, su iniziativa della Regione Puglia, per discutere ed eventualmente, concordare le linee di fondo e i principi generali di un intervento legislativo che consenta, alla Regione Puglia, di dotarsi di un ordinamento organico nella complessa materia delle tradizioni popolari pugliesi. Nella risposta l’Assessore Godelli ha liquidato snobisticamente la questione, ritenendolo, un simile strumento, inessenziale e preferendo, invece, la via meramente amministrativa (e arbitraria) del bando pubblico che invita i soggetti interessati a proporsi con progetti, credibili e di qualità, è stato detto, che saranno, in seguito, valutati e selezionati dagli Uffici. Io credo che questo opinabile dirigismo burocratico non possa essere spacciato, in alcun modo, per politica culturale di un ente pubblico. Un politica di questo tipo, a mio avviso, ha bisogno di regole certe, a validità universale e non di atti amministrativi dell’Esecutivo che non hanno, non possono avere, il respiro ampio della norma di legge. Come vede, non credo che ci siano ragioni per esseri allegri e contenti.

Ma, allora, se le cose stanno così, il convegno non è servito a niente?
Questa valutazione complessiva sarebbe molto sbagliata. Sono emerse parecchie cose vere, anche amaramente vere. Questo è positivo. Certo, dalla parte dei governi e della politica, le posizioni non sono molto incoraggianti. Però bisogna considerare che siamo nel bel mezzo di un guado, che il definitivo ancora non c’è, che la pressione esterna ha indotto i governi a pensare. Quindi è possibile, a mio avviso, stare dentro il contrasto e cercare di spingerlo, nei limiti del possibile, dalla parte di un’integrazione delle politiche culturali pubbliche che tenga conto, a pieno titolo, delle esigenze del movimento. Certo, se noi alziamo le mani, l’ovvio prenderà il sopravvento e l’ovvio è dato dall’alleanza grico-melpignanese-regionale. Se, invece, il movimento terrà alta la vista, saprà farsi sentire e vedere con insistenza, proporrà la sua collaudata qualità, saprà essere una forza ‘politica’, concentrata e coordinata, allora i governi saranno costretti a negoziare, a includere altre istanze. Per costruire questa prospettiva, però, non servono la frammentazione, il vittimismo, il rinchiudimento settario in se stessi, lo scetticismo estremo su tutto e tutti, il pettegolezzo localistico e personalistico, il gusto qualunquista dell’anti-politica, la rinuncia a priori a trattare, a dialogare con chi sta sull’altro fronte. Se riusciamo ad aprire una dialettica con i governi che veda, da un lato, gli Esecutivi e, dall’altro, la forza del movimento che dialoga, si confronta, media, contrasta, propone, rischia, si coalizza, allora si possono raggiungere risultati, anche in breve.
In questo auspicabile contesto, ma mi rendo conto, altamente ipotetico, un ruolo molto importante può essere espletato dall’amministrazione comunale di Alessano. Il paese è, ormai, diventato un centro di appuntamenti periodici per riflettere sul tema, fa parte da tempo dell’Istituto Carpitella, ha sempre dimostrato sensibilità e spirito dinamico nelle politiche culturali, ha una tradizione organizzativa ben consolidata di eventi culturali di qualità e, quindi, può assumere posizione, con autorevolezza, nel merito del contrasto, prima segnalato. Se il comune di Alessano riuscisse, in futuro, a caratterizzarsi con nerbo sulla linea correttiva della provincia di Lecce, diventerebbe automaticamente il punto di riferimento istituzionale del movimento nell’ambito di quella dialettica, prima indicata. E noi abbiamo tanto bisogno, nel basso Salento, di un comune-pilota, che sia autorevole e dinamico, per la costituzione dell’area vasta e la relativa programmazione degli interventi, non soltanto, è ovvio, nell’ambito delle politiche culturali. La mia impressione è che la posizione filo-Notte-della-Taranta possa rivelarsi, per il comune di Alessano, un modo meccanico per subire l’egemonia grico-melpignanese-regionale.

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