La Notte della taranta di Sparagna “Unisce l’Italia, da Sud a Nord”

Parla il maestro concertatore della serata finale della rassegna che si terrà a Melpignano il 27 agosto.
Un progetto che “traghetta la musica popolare nel futuro” a dispetto dei “tifosi di paese” e degli intellettuali ‘puristi’

La Notte della Taranta come momento d’incontro per la musica tradizionale dal Nord al Sud, rielaborazione della sapienza e della cultura popolare antica che si proietta nel futuro. E’ così che la vede e la presenta Ambrogio Sparagna, il maestro concertatore del lunghissimo concerto (dovrebbe durare circa cinque ore) che il 27 agosto concluderà a Melpignano l’ottava edizione della rassegna salentina.

Anche quest’anno la Notte della Taranta si preannuncia come un ‘evento’, ma sbaglierebbe chi si aspetta una sorta di grande rave all’insegna della pizzica. L’obiettivo di Sparagna è molto più ambizioso: partire dalle tradizioni del Salento, dai testi delle canzoni per trovare punti d’incontro con i canti del resto dell’Italia, celebrando così i 60 anni della Costituzione e recuperando il movimento Bella Ciao.

Il concertone verrà affidato ancora una volta all’orchestra popolare da lei costituita l’anno scorso?
“Quest’anno l’organico è stato ampliato, ci saranno oltre 70 elementi. Il dato caratterizzante è che sono tutti strumenti popolari, organetti, zampogne, una decina di tamburelli. Moltissima attenzione viene riservata alla voce, ci saranno una quindicina di cantanti salentini”.

E le musiche?
“Quest’anno mi sono reso conto che la Notte della Taranta è una grande occasione culturale per riflettere sulla memoria e sull’innovazione. Ho pensato che rispetto all’anno scorso potevamo alzare un po’ il tiro riferendoci a tutto il canto italiano, a dispetto di quello che si dice sulle forti differenze tra Nord e Sud. E invece ci sono tantissimi elementi significativi che uniscono la tradizione salentina al resto dell’Italia. Mi è sembrato un modo per celebrare i 60 anni della Costituzione, riallacciandomi anche a un movimento culturale importante nato oltre 40 anni fa per il recupero delle musiche tradizionali, Bella Ciao”.

Dalla pizzica a Bella Ciao? Come farete?
“Intanto ho invitato molti esponenti della cultura del Nord come Davide Van de Sfroos, che è comasco, i suonatori di Porta Caffaro, del bresciano, l’attrice Sonia Bergamasco, che canterà Donna Lumbarda. E, come principale esponente di Bella Ciao ci sarà Giovanna Marini. Partiamo dalle forme espressive tipiche del Salento riagganciandoci a tutto il territorio nazionale”.

Forse non sarà solo Bossi ad avere un po’ di difficoltà nell’individuare elementi in comune tra la musica salentina e quella lombarda…
“Intanto tutti i canti popolari italiani utilizzano l’endecasillabo, un verso di 11 sillabe che ha origine nella poesia colta, e che in particolare si trova nella Divina Commedia, che è il canto italiano e popolare per eccellenza. Io l’ho veramente apprezzata, pur avendola studiata all’università con Asor Rosa, solo dopo aver ascoltato l’esecuzione dei poeti popolari di Tuscania e di Tolfa. Per questo ho chiesto a Francesco De Gregori di eseguire versi della Divina Commedia sulle musiche della pizzica. Ma ci sono anche tanti canti salentini, che noi eseguiremo, che hanno versioni analoghe nel resto dell’Italia: per esempio un canto tipico del repertorio della malavita milanese, Porta Romana, la cui versione salentina è La Cesarina“.

Un programma affascinante, all’interno del quale però la musica popolare pugliese sembra quasi diventare marginale. In effetti ci sono una serie di intellettuali, musicisti e amatori di questo genere musicale che sostengono che si stava meglio prima della cosiddetta ‘riscoperta’ della pizzica, e che considerano La Notte della taranta un tradimento e non una valorizzazione della musica popolare.
Uccio Aloisi, durante un concerto “Quando ho cominciato a tenere concerti quasi non si trovavano più gli organetti, nessuno li costruiva e nessuno più li sapeva suonare. Adesso ci sono in tutta Italia 50.000 esecutori giovani. Questo tipo di critiche mi fa pensare al mito del buon selvaggio, che in passato ha affascinato gli antropologi. Senonché quando poi questi selvaggi impararono a leggere, scrivere e magari anche a suonare, gli stessi intellettuali furono i primi a ribellarsi. Poi ci sono quelli che hanno l’atteggiamento dei tifosi di una partita di calcio, che ragionano solo con il loro occhio, che è un occhio di paese, e con il loro orecchio, che è un orecchio di paese”.

I buoni selvaggi sono i musicisti che seguono la tradizione pura?
“Le commistioni ci sono sempre state. Nel profondo Sud della Calabria, come nel Cilento e nel Gargano esisteva uno strumento che si chiamava chitarra battente. Inizialmente era stato pensato per la musica di corte, ed è solo nel XVII secolo che è diventato uno strumento popolare. Tutte queste critiche non sono mai entrate nel merito del mio lavoro. Sono convinto che noi dobbiamo traghettare questo mondo negli anni a venire, non dobbiamo pensarlo come un lavoro sul passato, mantenendo un legame stretto tra antico e contemporaneo”.

Innovare quindi non significa tradire?
“Qui si vuole che la cultura popolare rimanga un modello arcaico, utile solo a se stesso. Ai miei tempi questa si chiamava coscienza di classe. Tra l’altro questi intellettuali che si scandalizzano non vengono da quell’ambiente. Io sono contento che non ci siano più i minatori e che nessuno sia più in grado di cantare con la voce strozzata, il che richiede uno sforzo fisico che nessuno più è in grado di affrontare. La Notte della Taranta è un progetto ambizioso di politica culturale, il cui obiettivo è far sì che la cultura popolare diventi egemonica. E il mio atteggiamento non è certo quello del colonizzatore, stiamo trattando i canti salentini come se fossero opere”.

In questo progetto qual è il ruolo dell’etnomusicologia, del materiale raccolto negli archivi? Lei stesso ha per anni collaborato con Diego Carpitella a questo tipo di lavoro. Quanto di questo si ritrova nella Notte della Taranta?
“Oggi è tutto profondamente cambiato. Quando ho cominciato a occuparmi di musica popolare, negli anni ’70, andavo in giro e registravo, e gli anziani conoscevano poco il registratore. Negli anni ’90 invece mi sono imbattuto in un bravo musicista di Terracina: non solo era molto a suo agio con questo strumento, ma mi ha chiesto di suonare per primo se volevo che lui eseguisse qualcosa per me. Mi ha costretto a suonare per un’ora, e quando l’ho rivisto, un mese dopo, era in grado di eseguire tutto quello che gli avevo suonato. Certo, il ruolo dell’etnomusicologia, degli archivi, rimane fondamentale. Il materiale raccolto tra gli anni ’50 e ’60 da Carpitella e Lomax rimane la base dei brani che verranno eseguiti nella Notte della Taranta. E il Salento è l’unica regione italiana dove esiste un lavoro di questo tipo, sotto l’aspetto quantitativo. Ma il patrimonio culturale va rielaborato, certo con amore, in modo armonioso, altrimenti lo ripeto: creiamo dei miti aristocratici”.

Perché è possibile adesso, proprio in questo momento storico, proporre con successo un lavoro di questo tipo? Ormai non si può più parlare di fenomeno di nicchia, la musica popolare non ha pochi appassionati, è seguita dal grande pubblico.
“E’ perché in Italia è tornata ad essere protagonista la periferia dei piccoli paesi. Tutti hanno sentito il bisogno di ritrovare un’identità, di dar senso al proprio vivere, diventa fondamentale quando tutto si sfalda. Non c’è solo il recupero della musica popolare, c’è anche la ricerca del cibo genuino, dei prodotti tipici. La Notte della Taranta è espressione di questo cambiamento, e testimonianza del fatto che i grandi eventi non nascono più nelle metropoli, ma anche nei piccoli luoghi”.

tratto da la Repubblica
di Rosaria Amato
pubblicato il 10/08/2005

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