In memoria di Peppino Marotto

di Giovanna Marini

da il manifesto di domenica 30 dicembre 2007

thumbnail_320_240_26288_marotto«Peppino Marotto ucciso nel suo paese Orgosolo», così mi arriva la notizia. Peppino Marotto era un poeta, quando in un paese si uccidono i poeti vuol dire che quel paese è malato. L’Italia è sensibilmente malata dal 1975, quando fu ucciso Pasolini. Peppino era un poeta popolare, cantava le sue rime in ottava con il suo coro, non era un uomo qualsiasi, per me Peppino era un profeta, era un grande. La sua vita dedicata all’impegno politico, ancora ieri, ottantenne, saliva ogni giorno alla Camera del Lavoro di Orgosolo che possiamo proprio definire «la sua camera del Lavoro» e la teneva aperta, lì, tutto solo, per essere disponibile ai lavoratori che avessero qualche problema da esporgli, qualche denuncia da fare al proprio sindacato, qualche padrone prepotente e inadempiente. Peppino non si era mai tirato indietro di fronte alle lotte per la sua terra, per il lavoro, cantava la vita di Gramsci e al popolo insegnava i sentimenti. «Peppino non era il cantore di una Sardegna passata, ha sempre cantato per la Sardegna del futuro» così mi dice Ivan Della Mea anche lui distrutto dalla notizia che ci è appena giunta, e per questo mondo del futuro era abituato Peppino, come tanti altri, a lottare. Insegnava ai giovani attraverso la sua poesia come si devono amare i grandi, come si deve riconoscere il valore di chi combatte per una vita giusta, contro la sopraffazione dell’uomo sull’uomo. Peppino non è mai invecchiato nella sua testa, oggi seguiva i fatti politici del nostro paese e parlava dello stato del mondo con termini illuminati, fedeli al suo credo di vecchio comunista, che aveva subito riconosciuto l’importanza della nascita della democrazia in Italia, della costruzione del paese fatta a partire dalla Costituzione.
L’importanza del sacrosanto valore della Resistenza in cui abbiamo tutti creduto educati proprio da persone come Peppino e gli altri grandi combattenti che stanno scomparendo purtroppo uno ad uno nel nostro malato paese. Malato perché è malata la vita dappertutto, per come nel mondo hanno vinto gli interessi delle multinazionali e quindi per come ha vinto, dovunque, lo sfacciato egoismo del singolo contro l’interesse dell’umanità . Peppino Marotto ha sempre lottato, l’hanno mandato al confino durante il fascismo e in carcere durante il governo di Scelba, sempre perché proclamava il suo credo e la sua ferma volontà nell’impedire che nel paese accadesse quello che accade adesso. La disgregazione degli ideali naturali dell’uomo, il lento progredire del male cioè dell’irreale contro il bene cioè la realtà. Con Peppino ho passato momenti magnifici, e mi ha insegnato sempre tanto. Abbiamo viaggiato e cantato insieme in Europa, era un fratello maggiore per me e un grande Maestro.
Quando Peppino tornava verso casa, la sera, anche adesso, dopo una brutta bronchite che lo lasciava senza respiro, dalla sua Camera del Lavoro, lui ogni volta si fermava prima della salita verso casa dove un terrazzino, sorta di piccolo promontorio, permette di guardare tutta la valle su Ogliena, si fermava lì per ammirare la sua valle. Peppino aveva ottantadue anni, ottantadue anni di una vita militante, ricca di tanta sapienza e generosità, ma chi ha potuto anche solo pensare di uccidere un uomo simile? Ma dove stiamo vivendo? Ma che paese è l’Italia?
I giovani non conoscono Peppino Marotto, da ora in poi sarà nostro dovere, di noi vecchi, dovere morale di farlo conoscere.

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