“Manifesto di pace” e don Bello rivive

Ancora un altro governo scivola in avanti senza la consueta “lettera aperta” di don Tonino Bello. Un nuovo ciclo sui banchi del Parlamento con i deputati “intrisi ancora del lungo bagno di folla” e “profumati di popolo”, emozionati “come bambini al loro primo giorno di scuola”. Diceva: “Si aprono le Camere; ma proprio mentre cigolano le porte di un’altra camera che si chiude, la camera a gas del carcere della California. Si aprono le Camere; ma si chiude il cerchio di un nuovo embargo, con cui viene cinturato nell’isolamento un altro popola arabo. Si aprono le Camere; ma non si aprono feritoie di speranza, che legittimo l’attesa di un nuovo ordine internazionale, autentico, non pretestuoso, capace finalmente di assicurare giustizia e pace ai popoli della Palestina e del Libano”. Era il 22 aprile 1992, ma potrebbe essere oggi. E don Tonino Bello inoltrava questo messaggio, che cela comunque l’attesa di un mutamento, dalle colonne del quotidiano “il Manifesto”.

“Manifesto di pace” è il libro pubblicato da Piero Manni (62 pagine, 16mila lire) che contiene articoli scritti dal 22 agosto 1990 al 15 dicembre 1992 e che rappresentano, come scrive Vincenzo Santoro nella prefazione, il radicale pacifismo, la solidarietà universale, lo schierarsi a fianco degli ultimi della terra, ma si badi bene, in una dimensione “militante”. E per questa collaborazione profonda, il “quotidiano laico e schierato, storica voce scomoda della sinistra”, il giornale eretico della sinistra italiana, aggiunge Andrea Bianchi, che lavorava all’interno come notista politico (adesso è capo ufficio stampa dell’Agenzia spaziale), era diventato agli occhi di un edicolante di Molfetta “il giornale del Vescovo”. Una voce necessaria, quella di don Tonino Bello, in un pianeta che va verso la “desertificazione”, la felice espressione è di Tom Benetollo, presidente Arci, etica, culturale e sociale. Si aprono le Camere, scriveva qual “profeta della pace”, ma quanto a spiragli di luce, non pare se ne aprano tanti.

di Ignazio Minerva
da Repubblica di Bari, 13/06/2001

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