di Roberto Cipriani
da La Critica Sociologica, n. 152, inverno 2004-05
Potenza di Internet! Senza la navigazione informatica in rete forse il regista Alessandro Piva (prefatore del volume e noto nel 1999 per un film cult, tutto in dialetto barese: La Capagira) non avrebbe mai saputo che Giovanni (detto Gianni) Rinaldi e Paola Sobrero avevano condotto negli anni ’70 e ’80 una approfondita indagine sul bracciantato dauno. La pubblicazione che ne riferiva è ormai introvabile e dunque va salutata con vivo piacere la riedizione dell’opera, ventitrè anni dopo la sua prima uscita. La nuova occasione ha fornito il destro a Rinaldi e Sobrero di ritrovarsi, pewr scrivere insieme su “La memoria che resta trent’anni dopo”, una sorta di introduzione alla nuova veste della loro opera: le riflessioni che ne emergono sanno anche di rimpianto per un periodo straordinario, vivacissimo, originale, di ricerca sul campo, di cui mi è capitato pure di essere testimone in alcuni momenti forti e persino coautore (con il volume dal titolo Il simbolo conteso. Simbolismo politico e religioso nelle culture di base meridionali, Ianua, Roma, 1979).
“La memoria che resta ripropone – con lo stesso titolo e con alcuni riassetti e revisioni – il volume edito nel 1981
dalla Amministrazione e dalla Biblioteca provinciale di Foggia, che raccoglieva saggi, testimonianze scritte e orali, immagini storiche e contemporanee della memoria bracciantile di Cerignola” (p. 13). Ma tale riproposta non è una mera riedizione. Segna pure il riconoscimento di un lavoro non accademico ma non per questo meno degno sul piano scientifico. Anzi per certi versi questo può essere un vanto per i due autori: “non siamo stati riconosciuti – né ambivamo ad esserlo – né storici né antropologi, né artigiani né artisti, né intellettuali né tecnici, ma… in tutti questi sensi abbiamo operato, imparando i ferri del mestiere e poi mescolando, contaminando, facendo interagiree competenze disciplinari e tecniche e incanalandole in una strategia di comunicazione tutta calata nel sociale” (p. 25).Il vero obiettivo è però qualcosa di più: “riproponiamo La memoria che resta come un racconto collettivo, pagine di una storia recente che sembra remota scritta da noi e da quei braccianti che non ci sono più e vivono nel fondo più raccolto e fiero della nostra memoria” (p. 23). Ma se i protagonisti braccianti non possono più testimoniare direttamente la loro difficile e drammatica esperienza restano le loro voci, le loro narrazioni, le loro canzoni, perfettamente riascoltabili nei due CD allegati al volume. E la barriera linguistica del dialetto (anche se italianizzato) è facilmente superata da chi non è di Cerignola, grazie all’accurata trasc rizione (sia in dialetto che in italiano) dei documenti sonori, nella loro opportuna contestualizzazione nelle pagine del volume (puntualmente indicate documento per documento negli indici dei due CD).
C’è dunque in Sobrero e Rinaldi un forte intento comunicativo e didascalico, che emerge ad ogni piè sospinto nel corso della lettura. Non si tratta tuttavia di una militanza socio-politica fortemente ideologizzata. Il taglio dell’opera rimane rigoroso, attento, scrupoloso. Questo non significa affatto che i due autori rinuncino alle loro idee. Semplicemente operano nella maniera più efficace: presentano i dati di fatto e li sottopongono all’analisi del lettore o dello spettatore (come capita nel caso del progetto teatrale Braccianti, lo spettacolo tratto da La memoria che resta).