Taranta e abusivismo le due facce del Salento

di Marco Ciriello
dal Mattino del 4 aprile 2008

Santa Maria di Leuca. Silenzio di fiaba, finestre chiuse, spiagge deserte, ville bianche su mare ardesia. Nelle nubi in cielo non si leggono più a specchio gli arrivi della flotta turca come raccontava Ernesto de Martino, né le avvisaglie di sbarchi albanesi. Finita la paura, resta il vuoto dell’attesa. Dal faro bianco del santuario della Madonna di Finibusterrae l’orizzonte è nudo, e per scoprirlo si devono superare i lavori in corso per l’arrivo a Leuca di Benedetto XVI, il 14 giugno. Il Salento vive una stagione d’oro che forse è a un punto di svolta, minacciato da una strada progettata tre volte: la 275 Maglie-Leuca che una volta realizzata lo renderà uguale al litorale riminese, mettendo fine alla lentezza e alla difficoltà che si impiegano per raggiungerlo. In molti ragazzi come Michela Santoro (33 anni) e Agnese Manni (29 anni) tornano, dopo gli studi al nord, con fiducia nel futuro, citano Franco Cassano e il suo «pensiero meridiano» a ragione, fondano comitati, investono, lavorano sodo e provano a immaginare un sud diverso. Gli amministratori come Antonio Ferraro, sindaco di Castrignano del Capo di cui Santa Maria di Leuca è una frazione, lo stesso si rifanno a Cassano partendo dai pensatori greci, ma si fermano alla presa di coscienza che riguarda il sud, all’orgoglio, non vanno oltre. Il sindaco «vuole creare un turismo e un territorio capace di rispondere, captare una massa di turisti e non un turismo di massa» ma è favorevole alla 275 – «non posso impiegare un’ora di aereo da Monaco e poi tre di auto per arrivare a Leuca» – ma quando gli facciamo notare che forse in quelle tre ore c’è la ricerca della bellezza, che nel tempo lento c’è una caratteristica di autenticità, non arrivano risposte. Peccato che sul libro di Cassano («Il pensiero meridiano», Laterza) non si sia innestata una concretezza politica. L’impressione è che abbia vinto la rivoluzione gentile di Nichi Vendola ma che la Puglia rassomigli nei suoi amministratori di più al ragioniere Fitto, ai suoi numeri, piuttosto che ai sogni del governatore. Santa Maria di Leuca «ultimo lembo d’Italia», è la punta di due coste, il tacco che divide due mari: Jonio e Adriatico, il capo che chiude la provincia di Lecce, dietro il suo faro si lascia un territorio con una civiltà antica, persa tra giallo tufo e bianco di pietra che si fanno largo in mezzo a distese di ordinati ulivi. Salta agli occhi un doppio Salento, uno che naviga tra la festa della taranta, il recupero del mondo contadino e della sua magia e l’altro che si tiene l’abusivismo edilizio, non risponde al questionario della Camera di Commercio sul racket (su 8000 hanno risposto in 763) e crede che le strade siano progresso, concetti che fanno a botte. Se è vero che un confine è un «luogo dove due differenze si toccano» come scrive Cassano, qui si dovrebbe auspicare che la prima prevalga sulla seconda. È curioso che un posto a cavallo di due mari non si pensi come porto anche se in regione l’assessorato alla cultura si chiama assessorato al Mediterraneo; un territorio che ha una ferrovia con una vista eccezionale, non pensi di rilanciarla, invece di affidarsi ad una strada a 4 corsie che sventra molti paesi, parallela a quella esistente in alcuni tratti ma soprattutto che rovina il paesaggio, passando tra insediamenti rupestri, masserie murate e ville come quella acquistata da Ellen Mirren tra Tiggiano e Tricase (poi dovranno spiegarle che ha comprato una casa vista autostrada e non vista paradiso corredo silenzio). «La Puglia è molto interessante perché è l’ultima regione occidentale al limite col Mediterraneo e con l’Oriente, tra il mondo latino e il mondo greco. È un laboratorio, il sud e la sinistra devono sperare che non fallisca, come Campania, Calabria e Sicilia», ci dice il regista Edoardo Winspeare (Pizzicata, Sangue vivo, Il miracolo, prossimamente I galantuomini) fondatore con Carla Quaranta dell’associazione «Coppula Tisa» che si propone di acquistare case abusive per abbatterle. «È molto più facile costruire una casa illegale che abbatterla, questo sconforta. Ma se non capiamo che la bellezza è la nostra unica speranza, diventeremo la Brianza dei poveri che paga dazio alle fabbriche senza che l’emigrazione si arresti, sono ancora pochi quelli che tornano a vivere qui». Winspeare ha fatto molto per il Salento con i suoi film, con numerose feste per il rilancio della taranta, e nonostante riconosca la deriva popolaresca e la piega commerciale del tarantismo rivendica la «presa di coscienza, anche se la festa prima era autentica e inconsapevole, prima si vergognavano del dialetto, ora c’è una cultura popolare con dignità da Andalusia». Qui «La terra del rimorso» di Ernesto de Martino, si vende come un romanzo, e quasi tutti l’hanno letto, come racconta Michela Santoro, tornata ad Alessano per aprire una libreria, «perché non sopportavo di fare politica al nord: un posto che non aveva bisogno di me, perché non sopportavo il modo di lavorare, i tempi, lo sfruttamento, perché avrei avuto bisogno dei miei genitori per vivere anche se avessi accettato di continuare a stare dentro l’università». E con i genitori è tornata a lavorare Agnese Manni «contenta di stare tra i libri, del lavoro che faccio, anche se qui ogni sforzo è maggiore che altrove». Anche lei ha studiato e lavorato a nord, poi ha scelto di fare l’editore a sud, con la madre Anna Grazia D’Oria, il padre Piero Manni, entrambi ex insegnanti, editori da 24 anni a San Cesario di Lecce, ormai una piccola raffinata certezza dell’editoria italiana. E c’è chi come Luciano Lugli (57 anni) ha scoperto il Salento come il suo nord prima di altri, scegliendo di abitarci nel 1988, lasciando Carpi. Laureato in sociologia ma innamorato delle pietre «se non avessi problemi per mangiare me ne andrei in giro a mettere a posto muretti», creatore di facce picassesche, sculture con piante, teste pensanti, la sua scelta ha un amore: Daniela e una casa: una masseria bellissima “Macurano”. Ora dice di avere «stanchezza per la mostruosità» di non sentirsi solo «ma isolato, non c’è comunicazione a livello imprenditoriale, istituzioni pubbliche, c’è gente della mia età che ha difficoltà a parlare l’italiano perché in dialetto una parola riassume uno stato d’animo intraducibile». Alla fine vagando dalla costa all’interno, si sente l’agonia di questo posto che si consuma nell’attesa di una nuova svolta, la definitiva decisione su cosa diventare. Tornano in mente i versi di Salvatore Toma, poeta fioraio di Maglie, morto suicida: «Eppure qualcosa / ci deve essere / che si può fare / qualcosa di mai tentato./ Si ritrovano civiltà perdute / statue sui fondali/ brocche monili/ come posso ritrovare/ il mio passato/ se non è sottoterra/ e non è sepolto in mare?/ Il guaio è che è dentro di me / dove non mi posso tuffare».

 

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