di Don Pasta
tratto da Repubblica di Bari del 12 dicembre 2008
«Che bello. E’ arrivato l’inverno anche in Salento. Sarebbe meno credibile il mio spettacolo, che è tutto basato sul freddo e sui maglioni pesanti». Inizia così la sua intervista Vinicio Capossela, felice, quasi incredulo, di suonare al Politeama Greco per il Da solo tour (stasera alle 21,30 la replica). Da circa un mese è iniziato il tour che lo porterà a suonare in tutti i più importanti teatri d’Italia. «Sembra quasi che Tito Schipa passeggi ancora beato nel foyer», dice. Il cambio di attitudine da Ovunque proteggi a Da solo è stato radicale. Che cibo e che vino abbineresti a questi due dischi? «Ovunque proteggi è un disco indigesto. Perché ci sono dentro zoccoli, corna, campanacci. E’ un disco sulla carne grondante sangue. Fatto in una macelleria. Carne fatta alla maniera pagana. Profanazione della sacralità. E’ un disco sul nostro essere di carne. Arrostita con quello che c’è». «Ma è un disco anche di solo osso da brandire – spiega Capossela – Ovviamente, da bere, direi un Nero di Troia. Ci ho anche fatto una canzone su Troia che brucia. “Da solo” è invece un disco assolutamente invernale. Inutile dire che non c´è niente di meglio di un brodo ben caldo di questa stagione. E´ un piatto perfetto quando si è stati troppo in giro. Questo è un disco sacrificale. Mi sono esposto al sacrificio e il brodo è l´unica cosa che può metterti a posto. Lo accompagnerei con un Barbaresco, un rosso corposo e caldo».
Però Capossela è della terra del Lambrusco. E´ un vino notoriamente bistrattato, rinomato per essere vino industriale, ma ora iniziano a farsi cose interessanti. E poi pare sia proprio l´ideale per un brodo ben grasso come si usa nella valle del Po.
«È vero, il Lambrusco è un vino che mi appartiene. E´ lo champagne del contadino. Il problema è che ormai è conosciuto a tutti come un vino industriale disgustoso venduto in cartone. Ma il Lambrusco appartiene alla sfera contadina dove sono cresciuto, nella campagna di Reggio Emilia. Il sobborgo di campagna dove Oliviero, vecchio partigiano si occupava del vino. La vite del Lambrusco è molto alta, non come qui da voi. E così la gradazione alcolica è bassa, ma fa cose straordinarie, perché viene fuori un vino gasato, esplosivo. Lo so, non si può fare un grande Lambrusco, ma è un vino che sarà sempre un vino sincero, contadino. E poi, adesso che ci penso, io resto figlio di Vito che invece aveva tendenza a mescolarli i vini. Se era troppo acido li univa con quelli meno forti, facendo combinazioni apparentemente improbabili. Un giorno gli chiesi se non facesse male mischiare così i vini. Figurati, mi ha detto che faceva benissimo».
Il legame di Capossela alla cultura contadina si sente spesso nelle sue storie e nei suoi suoni. In Ovunque proteggi i riferimenti erano pressoché integralmente basati sui paganesimi della cultura rurale. Poco tempo fa è morto Matteo Salvatore cui hai reso omaggio al festival di Carpino la scorsa estate. Cosa vi lega?
«Sono stupito dal fatto che sia forse più conosciuto all´estero e non qua e che non ci sia un archivio musicale in suo onore. Penso che dovrebbe essere una priorità e probabilmente mi investirò personalmente a tal proposito. Matteo Salvatore aveva intanto il pregio unico di saper scrivere. Sapeva parlare di amore senza privazione di retorica. Era inoltre estremamente piccante e divertente, come nel testo sul Pescivendolo. Ma soprattutto, era assolutamente pragmatico e senza indulgenza quando parlava della miseria contadina. Proprio come i veri contadini. Non è gente che si perde in fronzoli. Ma affrontava tutto con ironia per raccontare il dolore, come nella ballata della gatta traditrice che mangia la salsiccia proprio mentre la vedova piange la morte del suo uomo. Era il nostro Robert Johnson, ma il problema è che la nostra musica folk è stata folklorizzata, mentre le cose che vengono dalla terra sono cose sacrali».
Questa estate hai suonato alla Notte della Taranta. Come hai trovato lo stato di salute della musica tradizionale in Salento?
«Sono rimasto sorpreso dalla qualità delle voci femminili. E´ pieno di giovani innamorati della tradizione ma che hanno voglia di non fermarsi li. C´è una etichetta a Otranto che mi sembra stia facendo un lavoro molto bello».
Tante cose ti legano sin dall´inizio della tua carriera al Salento. Molti ti hanno visto almeno una volta suonare in modo molto informale all´On the road al Capo di Leuca, che ora purtroppo non c´è più.
«Io l´ho detto ad Antonio De Marco, mio grande amico, che per risollevare le sorti dell´On the road potremmo aprire una pizzeria con il Mighty Wurlitzer, che può avere la doppia funzione dell´organetto e dello sfornapizza. Si, il mio sogno è di aprire un Pizza House laggiù al capo».