di Antonio Santoro
In ben 12 anni di storia, il festival La Notte Della Taranta è riuscito ad affermarsi nel tempo come una delle operazioni di promozione territoriale più efficaci che la politica abbia mai saputo concepire in Italia. Catalizzando attorno a sè energie e risorse crescenti, ha stuzzicato sempre più l’attenzione dei media e l’interesse del pubblico, proponendosi a pieno titolo quale vero e proprio volano di sviluppo di un intero territorio.
Se tuttavia l’efficacia mediatica dell’evento ha prodotto risultati ragguardevoli, ciò che non ha saputo dimostrarsi all’altezza di cotanta fortuna pare sorprendentemente proprio la qualità della produzione musicale dei “concertoni”. Una costante approssimazione nel “rimaneggiamento” del repertorio popolare, la cronica mancanza di originalità negli arrangiamenti, se si escludono alcune interessanti ma sporadiche eccezioni, hanno caratterizzato quasi tutte le edizioni del prestigioso festival salentino. Il ricorso sistematico ad ospiti “di grido”, attinti al panorama del mainstream nazionale, ha solo talvolta colmato le lacune di uno spettacolo complessivamente gravato da una strutturata e patologica tendenza alla ripetitività.
Da questo punto di vista, il grande e pomposo concertone melpignanese che ha chiuso l’edizione 2009 del festival, ultimo atto della serie affidata al maestro concertatore Mauro Pagani, avrebbe certamente potuto tracciare un segnale più confortante di rinnovamento in vista dei prevedibili stravolgimenti del prossimo anno, anzichè risolversi in un clamoroso passo indietro rispetto ai buoni auspici della scorsa edizione. Intendiamoci, nessun orrore dal palco di Melpignano. Solo un generale e ostinato vuoto di idee, talvolta imbarazzante, che fa rimpiangere il tanto discusso Sparagna di qualche anno fa. La tecnica di riproposizione dei brani della tradizione è più o meno sempre la stessa. La linea melodica della maggior parte dei pezzi è lasciata immutata, mentre intorno vengono ricamati gli orpelli strumentali più svariati. Il tutto condito da una batteria a tratti martellante e da un uso disinvolto e poco attento delle voci che mortifica la raffinata varietà delle sfumature vocali tipica del repertorio popolare salentino. Anche la scelta degli ospiti appare indecifrabile. Spiccava quest’anno la presenza di Alessandra Amoroso, popolare vincitrice del noto concorso televisivo, la cui pertinenza rispetto agli obiettivi dichiarati dagli organizzatori del festival di “prendere la marginalità e farla diventare un valore” appare quanto meno discutibile.
Un’occasione mancata, insomma. Una chiusura del triennio di transizione affidato al maestro Pagani, nonchè della lunga era Blasi, che avrebbe potuto essere in grande stile e invece lascia l’amaro in bocca. Una serie di nodi rimangono da sciogliere, dal ruolo non ancora chiarito della neonata fondazione agli obiettivi della pianificazione culturale di cui si fa portavoce l’evento melpignanese, che non possono risolversi in una grande notte di festa una volta all’anno. Ancora oggi manca un archivio dei brani della tradizione salentina completo e facilmente accessibile. Non v’è traccia di una scuola di musica in grado di dare continuità alle esperienze proficuamente messe in rete nelle notti d’agosto. Non esiste alcun esperimento discografico capace di farsi strada fra le centinaia di pubblicazioni per lo più di bassa qualità che ormai costellano il panorama delle produzioni salentine e di varcare la frontiera del mainstream nazionale. In compenso, c’è la sfida vinta della promozione territoriale di cui va certamente dato atto ai protagonisti di questa incredibile avventura.
“E’ giunta l’ora di ripensare la Notte Della Taranta”, ha sentenziato qualcuno. Superata la stagione dei messianismi, chissà che l’anno prossimo non possa essere finalmente la volta buona.