di Vincenzo Santoro da Anci Rivista, luglio 2010
Sin da tempi molto antichi, la notte tra il 15 ed il 16 Agosto, a, un centro del basso Salento, si svolge, in onore del Santo protettore del Paese, San Rocco, una delle feste più suggestive ed emozionanti del Sud d’Italia.
Il largo antistante alla Chiesa diveniva un punto di incontro per i pellegrini, che vi si recavano da tutta la Puglia e anche dalle regioni vicine, per assistere alle celebrazioni religiose in onore del Santo – noto anche per i suoi “poteri” di guaritore – ma anche per i commercianti della fiera prevista all’alba del giorno successivo. Essendo questa una fiera di bestiame molto importante, era meta ambita anche per i commercianti nomadi, specializzati, per tradizione, nell’allevamento equino.
Dopo ore di viaggio, i pellegrini arrivavano nel grande spiazzo davanti al santuario, e cercavano di entrare nella chiesetta per rendere omaggio al santo. L’atmosfera piena di pathos che si creava in questa occasione è ben descritta dallo studioso Brizio Montinaro, che
per anni ha frequentato il santuario: “C’era una folla impressionante. Riuscire a penetrare nella chiesa era un’operazione molto difficile e faticosa, anche perché bisognava stare attenti a non pestare quelli che entravano ginocchioni o strisciavano il pavimento con la lingua. Tutti si dirigevano contemporaneamente verso la statua del santo posata su un fercolo modestamente barocco. Ricordo bene il caldo infernale che c’era all’interno, le spinte, le tantissime candele che bruciavano l’ossigeno. Si moriva dal caldo, non si respirava. Chi sveniva da una parte, chi sveniva dall’altra.”
In seguito, la statua del santo veniva portata in processione per le strade del paese: “La massa informe si apriva in due ali disordinate che si avviavano nella strada che dal santuario porta a Torrepaduli. Camminavano un po’ alla rinfusa biascicando qualche preghiera o accennando a un canto liturgico. Marce eseguite da una banda scalcinata. E intanto il Santo avanzava trionfante bloccato a ogni decina di metri da emigranti devoti che appendevano dollari, marchi o franchi su nastri colorati o li depositavano in cesti di vimini oppure fermato da un gruppo di giovani, che forniti di tamburelli, gli offrivano una suonata.”
Dopo il rientro della statua nella chiesetta, gruppi di pellegrini, di curiosi e di musicisti formavano le “ronde”, e, all’interno di questi cerchi rituali, sul ritmo infuocato della “pizziche pizziche”, suonate con tamburelli e organetti a bocca e a mano, si inscenava la “scherma”, una sorta di duello rusticano, eseguito solo da uomini, in cui le dita della mano destra simulavano la forma dei coltelli. Questa “danze” andavano avanti per tutta la notte, fino a quando, all’alba, la festa terminava con l’inizio delle fiera del bestiame.
Dopo un periodo in cui la festa di Torrepaduli aveva progressivamente perso la sua funzione nell’ambito della cultura contadina locale, arrivando ad uno stato di profonda crisi, negli ultimi anni, soprattutto sull’onda del grande ritorno interesse per le musiche e le danze tradizionali, si è assistito ad un suo tumultuoso rilancio – non privo di contraddizioni – tanto da diventare un formidabile attrattore turistico.
Per gestire questa eredità pesante e allargare gli orizzonti della festa ma senza snaturarne il significato, è stata recentemente costituita dagli enti locali territoriali una Fondazione culturale.