di Marco Giovannelli
da www.unita.it del 21 agosto 2010
«C’è un cartello. Guarda bene». Il papà prende in giro il bambino che gli chiede in quale punto il mar Ionio diventa Adriatico. C’è un via vai di gente continuo che sceglie proprio quell’angolo per farsi fotografare. È solo una immensa distesa di acqua, ma la vista da Punta Meliso è emozionante.
«Impossibile non perdersi nell’orizzonte dei due mari che si incrociano all’estrema punta d’Italia e diventano Mediterraneo, su quel promontorio che è custode geloso della cultura del Salento». Il Comune di Castrignano del capo ha scelto il motto latino «De finibus terrae» per raccontare cosa sia quel tratto di mondo.
Nel piazzale di Santa Maria di Leuca si innalzano due monumenti simbolo di molte terre di mare. Uno religioso, su una colonna altissima, con Maria che vigila sui pellegrini e sui tanti turisti, credenti o meno. L’altro, laico, essenziale riferimento per i naviganti, spicca per la classica bellezza. Il faro da sempre indica la costa, prima che arrivassero i satelliti a fornire le coordinate per la gente di mare.
Mi perdo in quell’orizzonte. Si affollano tanti pensieri sulla vita. Sono per lo più belli e rifletto su queste due settimane in giro per le coste del nostro Paese. Da qui il viaggio seguirà l’Adriatico, un mare chiuso, stretto e lungo.
La Puglia è la regione che esprime meglio le contraddizioni dell’Italia di questo secolo. La sua terra non è cambiata da quando la descriveva Michele Serra venticinque anni fa. Paesaggi costellati di mare e di ulivi. Una pianta che qui sa di antico, di forte, di arte. I tronchi si contorcono tutti realizzando ognuno vere e proprie sculture. Si può stare ore a girovagare sotto le chiome di questi alberi, a volte alti diversi metri. La terra è curata tanto da presentarsi come un tappeto. In questa stagione il frutto inizia a prendere forma e colore. È un legno duro e resistente l’ulivo, ma ha anche tutta la duttilità che gli permette di esser lavorato e di essere simbolo della pace e della fratellanza.
La Puglia, in questi anni è anche profondamente cambiata. A governarla c’è un uomo che professa pubblicamente il suo esser diverso. Memorabile il primo piano di Nichi Vendola su un magazine dove affermava: «Io cattolico, comunista e gay». Non è solo una questione di schieramenti politici. «Io l’ho votato perché è una persona giusta, sensibile e autentica». Le parole di una delle tante donne che hanno scelto Vendola per due volte, a prescindere dal partito per cui si presentava.
Nel Salento un altro elemento di cambiamento è stata La notte della taranta. Un festival che per quindici giorni diventa attrazione da mezzo mondo. Non si trova un buco per dormire a distanza di cento chilometri, e io ho avuto la fortuna di incuriosire una signora che mi ha riaperto una stanza del suo ex bed & breakfast.
Ho cambiato parte dell’itinerario per andare a un concerto e non me ne sono pentito. Dopo aver letto alcune frasi sul sito ufficiale del festival sono rimasto nella Gracia salentina. «Un territorio che grazie al lavoro di intellettuali, politici, società, associazioni, imprese e giovani professionalità, ha saputo ricostruire e custodire la propria memoria storica, facendone un motore di sviluppo turistico ed economico che ne preserva i caratteri e le accezioni. Un bacino che offre luoghi e dimensioni poetiche, testimonianze artistiche che dai dolmen, ai menhir, alle specchie, alle neviere, ai trulli o pajari, ai muri a secco, alle cripte affrescate, alle chiese rupresti, ai siti archeologici, alle pozzelle, alle campagne ricche di ulivi secolari, alle case a corte, portali, mignani, castelli, chiese e palazzi barocchi, dei propri piccoli centri abitati, offre contenuti unici che ben si integrano con la generale offerta del turismo salentino». Il Salento è davvero tutto questo. E aggiungerei sensualità. Quella che si materializza sul palco con le ballerine che simulano il pizzico della taranta. Le donne qui sono belle, dallo sguardo fiero e profondo.