Ma hanno ucciso l’uomo-ragno

di Maurizio Agamennone

da La Gazzetta del Mezzogiorno del 28 agosto 2010

 

topic_207Da tredici anni il Salento vede il ripetersi di un impetuoso «convenire a festa» verso l’area interna della Grecìa. Iniziato nel 1998, in un clima di acceso dibattito, come esperienza di valorizzazione delle musiche locali ma anche come aspirazione al confronto tra queste e le altre musiche del mondo, il festival «La notte della taranta» ha messo in febbrile movimento enormi energie e numerosi attori sociali: turisti e cultori della folkyness, musicisti, danzatori, amministratori, operatori culturali, imprenditori, commercianti e fornitori di servizi molteplici, espositori, osservatori e studiosi. Assai interessante è l’evoluzione che ha subìto la percezione della taranta, il «mitico» agente patogeno del tarantismo: da remoto segno di malattia e povertà, il ragno è oggi inteso quale simbolo di rinascita e bellezza. Una trasformazione formidabile, accolta nel sistema mediale: con l’espressione «la taranta» si tende a rappresentare l’integrazione tra musica e danza (pizzica), nonché tutto il complesso di attività e prodotti «magicamente» offerti dal Salento d’estate (il paesaggio, certe architetture, il cibo locale e la seduzione). Molti osservatori hanno individuato in questo processo un ottimo vettore di marketing territoriale. Si tratta di un modello cui molti cercano di ispirarsi: i musicisti ospitati si «gloriano» per essere stati presenti e gli esclusi scalpitano per farsi «chiamare»; tra gli amministratori locali l’eco è fortissima: tutti impegnati a «fare come in Salento», sottovalutano come certi motivi di forte connotazione locale non possano essere trasferiti facilmente altrove.

Quest’anno, il calendario «alto» sembra aver contribuito a dilatare la stagione turistica. Il processo è monitorato da una équipe diretta dall’economista Giuseppe Attanasi, che prossimamente presenterà il report da cui dovremmo conoscere i valori economici mobilitati. Del programma si può fare una storia: inizialmente, esso non aveva la secca connotazione melpignanese che ha assunto negli anni; la promessa di valorizzare studi e documentazione ha ceduto il passo allo spettacolo dal vivo, che ha assorbito cospicue risorse, alimentando un crepitante confronto critico. Sul piano della «offerta musicale», si registra qualche affanno: i «maestri concertatori » si sono succeduti con la propria impronta ma non sembra siano emerse esperienze di rilievo memorabile. Si ha l’impressione che il grande impegno profuso si esaurisca nell’evento, senza conseguenze durature nella formazione di nuove e solide prospettive di invenzione e scrittura musicale. Peraltro, i gruppi salentini «storici» continuano la propria attività in ampia autonomia creativa e programmatica. Si attende, perciò, di ascoltare la proposta di Ludovico Einaudi per valutare se il palco quest’anno possa contribuire a valorizzare le pratiche musicali contemporanee che guardano alle matrici culturali locali come fonte di ispirazione, stupore e bellezza.

 

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