Addio a Uccio Aloisi, l’ultimo patriarca della musica popolare salentina

UccioAloisi
di Vincenzo Santoro

dal Corriere del Mezzogiorno del 23 ottobre 2010

Quannu si natu signuria?

Uno del dieci millenovecentoventotto, a quintru sta casa proprio, quista tene settantacinque anni, sta casa.

E ci hai fattu?

Alla mia vita? Lu fessa!! A mie me dici ci hai fattu? Tutte l’aggiu fatte! Alli puzzi, alle tajate, alle fogge de l’argilla, alle fondazioni, iu l’aggiu chine, iu tabaccu, iu… vignetu, iu cu bau… alli disoccupati, iu aggiu coddu letame de menzu la strada… Ma l’aggiu fatte tutte ma sempre de la fame aggiu mortu.

In questo modo si presenta, nella bella “autobiografia raccontata” dalla sua viva voce (I colori della terra. Canti e racconti di un musicista popolare, libro con 2 CD, edizioni Aramirè), Uccio Aloisi, meravigliosa voce popolare, grande virtuoso del tamburello, straordinario intrattenitore ed essenziale punto di collegamento fra la “tradizione orale” ancora in funzione e il movimento musicale salentino degli ultimi anni. La sua vocalità antica, caratterizzata da un virtuosismo estremo, in analogia ai modi delle tradizioni mediterranee, ha costituito un punto di riferimento essenziale per chiunque abbia voluto accostarsi alle vere “radici” della musica salentina. Le registrazioni “sul campo” effettuate durante le sue esibizioni (insieme al suo grande amico Uccio Bandello, altra sublime voce popolare), hanno costituito una parte fondamentale del repertorio dei giovani gruppi di riproposta della musica tradizionale. Ma Uccio era anche una persona meravigliosa e di grande generosità, che lasciava il segno in chiunque avesse il piacere di conoscerlo.

Proveniva da una famiglia contadina di Cutrofiano, paese agricolo situato nel centro della provincia di Lecce. Mastica la musica fin dalla culla, vivendo immerso in quella cultura orale salentina in cui il canto era una pratica consueta, e serviva ad alleviare la sofferenza e la fatica. A metà degli anni ‘70, nell’ambito del fermento del primo folk revival salentino, insieme a Uccio Bandello e ad altri amici, formano un vero e proprio gruppo musicale, che si fa chiamare appunto “Gli Ucci”. Con questa formazione partecipano al piccolo circuito musicale di quegli anni, sperimentando un adattamento del repertorio contadino alla dimensione dei concerti (con palco, microfoni e amplificazione), con arrangiamenti che uniscono la musica di tradizione orale ad influenze provenienti dal “liscio folk”, molto in voga in quegli anni (straordinaria testimonianza di questa esperienza rimane l’imperdibile CD Buonasera a quista casa. Pizziche, stornelli, canti salentini, edizioni Aramirè, Lecce 1999).

In seguito, anche nel corso degli anni ‘90, grazie alla ripresa di interesse per la musica salentina, il gruppo ha una discreta attività dal vivo, e compie anche diverse trasferte all’estero. Dopo la scomparsa nel 1998 di Bandello, Uccio comincia a suonare con un altro gruppo di musicisti, che si fa chiamare “Uccio Aloisi Gruppu”, e con loro si esibisce nelle principali piazze del Salento e d’Italia. Fuori dalla sua terra è particolarmente apprezzato nel circuito dei centri sociali, dove riscuote un grandissimo successo, riuscendo a galvanizzare un pubblico di giovani urbani, così distante da lui per esperienza di vita e per età, e dando in questo modo un contributo fondamentale alla diffusione del “verbo della pizzica”. Alla fine di questo percorso – a 74 anni! – giunge la pubblicazione del suo primo CD “serio”, Robba de smuju, edito nel 2003 dalle edizioni musicali del manifesto.

In queste imprese Uccio è sostenuto da una debordante presenza scenica (dotato di un naturale senso dello spettacolo, è capace di esibirsi tranquillamente davanti a centinaia di migliaia di persone, come è capitato in varie edizioni della Notte della Taranta e nel Concerto del Primo Maggio a piazza San Giovanni a Roma nel 2004), ma anche dalla capacità di esaltare nei concerti le componenti gioiose e “festaiole” della musica popolare salentina, mandando così in visibilio un pubblico che in lui riconosce una freschezza che forse manca a molti musicisti più giovani.

Negli ultimi anni della sua vita, circondato da un rispetto e da una venerazione che si riconosce solo ai grandi maestri, ha continuato ad avere un’intensa attività concertistica, e la sua parabola artistica ha rappresentato la più straordinaria dimostrazione della capacità di questa musica antica di parlare alla contemporaneità senza complessi e senza timori reverenziali.

Oggi il movimento della musica salentina piange il suo ultimo eroe, con la consapevolezza che, dopo di lui, nel bene e nel male, tutto sarà diverso.

 

Per approfondire:

l’imperdibile CD Buonasera a quista casa. Pizziche, stornelli, canti salentini, edizioni Aramirè, Lecce 1999, la straordinaria testimonianza del repertorio degli “Ucci”, con registrazioni dagli anni Settanta ai  Novanta;

Live in Villaggio Globale, autoproduzione 2000 (performance dal centro sociale romano, putroppo di non grande qualità);

 

Robba de Smuju, Materiali musicali del manifesto 2003

e infine la sua “autobiografia raccontata”: I colori della terra. Canti e racconti di un musicista popolare, a cura di Roberto Raheli, Vincenzo Santoro e Sergio Torsello, libro con 2 CD audio, edizioni Aramirè, Lecce 2004, da cui è tratta la citazione all’inizio dell’articolo

 

 

 

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