L’ultima sigaretta. L’Italia dice addio alla Manifattura Tabacchi

Era rimasta una sola fabbrica. Chiuderà il 31 dicembre. E con lei scompare anche un pezzo della nostra storia

di Paolo Russo

da Repubblica del 19 dicembre 2010

url-2Lecce. “Trentuno dicembre 1890. U.S.”. Zeno Cosini avrebbe appuntato così, su suo calendario, l’ultimo dell’anno di oltre un secolo fa. Una data simbolica, l’ideale per una promessa solenne che l’alter ego di Italo Svevo non mantenne mai. Il giorno dell’ultima sigaretta (U.S.) fumata.

“Trentuno dicembre 1890. U.S.”. Centoventi anni dopo il giorno dell’ultima sigaretta, infine, è arrivato. Non è il vano giuramento dell’ultimo fumatore incallito ma una data altrettanto simbolica: nella notte di San Silvestro l’Italia produrrà la sua ultima sigaretta. Dal primo gennaio 2011, con la chiusura dello stabilimento di Lecce, verrà infatti dimessa l’ultima manifattura italiana del tabacco. Non è solo l’apice del velocissimo tracollo di un settore industriale considerato inaffondabile. Di duecento anni di storia ci restano decine di canti popolari e foto in bianco e nero. La pelle arsa dal sole dei raccoglitori di tabacco. Le foglie gialle stese ad essiccare che dipingevano l’autunno delle campagne.

E le foto delle antiche manifatture, un tempo pullulanti di donne dedite ad arrotolare sigarette con un rapido gesto delle mani, oggi pezzi di archeologia industriale. Ma quella della produzione del tabacco in Italia è anche una storia di di battaglie sindacali e conquideste sociali. «Nel dopoguerra un pezzo della società italiana era interamente costruito intorno alla cultura del tabacco –racconta il sociologo Franco Chiarello-. In particolare in alcune aree del Mezzogiorno, come il Salento, le manifatture tabacchi rappresentavano quello che la Fiat rappresentava per Torino. Con una peculiarità: fu con la lavorazione del tabacco che le donne ottennero un ruolo stabile e importante nel mercato del lavoro». Un diritto conquistato a suon di battaglie, le prime in Italia a vedere come principali o uniche protagoniste le operaie. «Se alcune manifatture costituivano un modello di welfare avanzatissimo, con le prime forme di asili nido aziendali e la pausa dedicata all’allattamento – ricorda ancora Chiarello – in altri opifici le tabacchine si misero a capo di manifestazioni di protesta che in alcuni casi sfociarono nel sangue». A Tricase, in provincia di Lecce, nel 1935 lo sciopero delle operaie della manifattura tabacchi costò la vita a cinque persone.

Le operaie con le mani sporche di tabacco furono anche le prime donne in Italia a conquistare uno scranno in parlamento. Celebre, nella cultura sindacale, è la figura di Adele Bei che da operaio di una manifattura tabacchi di Cantiano divenne l’unica rappresentante femminile dell’Assemblea costituente. Gli eredi di quelle tabacchine sono stati gli oltre cinquemila operai che fino al 2000 lavoravano nelle ventuno manifatture tabacchi di proprietà del Monopolio dello Stato. Già dagli anni Sessanta non erano più le mani delle donne ad arrotolare le bionde. L’industrializzazione aveva cancellato profumi e tradizioni ma aumentato la capacità produttiva. Fino a pochi anni fa l’Italia era considerata uno dei leader mondiali del mercato. L’apice è stato raggiunto nel 2002, quando fu superata la quota di cento miliardi di sigarette prodotte. Cinque miliardi di pacchetti, quasi uno per ogni abitante del pianeta. L’inizio della fine coincise proprio con quella data simbolo. Il governo italiano, dopo aver concentrato in sette manifatture la produzione delle ventuno aziende, mise sul mercato l’intero comparto. Privatizzazione. Una parola che in quel periodo andava di gran moda. Nel 2003 ad aggiudicarsi le fabbriche italiane del fumo fu la British American Tabacco. La potentissima multinazionale delle sigarette, produttrice di trecento marchi tra cui Lucky Strike e Pall Mall, mise sul piatto 2,3 milioni di euro. Il più grande investimento che una società estera abbia mai compiuto in Italia.

Le premesse per la crescita del settore c’erano tutte. E invece la Bat una dopo l’altra ha chiuso o dimesso tutte le fabbriche italiane. Sette manifatture tabacchi chiuse (o destinate ad altro) in sette anni. Gli stabilimenti di Lucca e Cava dei Tirreni sono stati ceduti alla società Menifatture sigaro toscano e oggi non producono più sigarette. Le manifatture di Bologna, Rovereto e Scafati sono state semplicemente chiuse e la stessa fine spetterà il 1 dicembre prossimo a Lecce. In meno di dieci anni l’unica fabbrica di sigarette sulle ventuno presenti in Italia nel 2002 è rimasta quella di Chiaravalle, Ancona, ceduta dalla Bat alla Manifattura italiana tabacchi, una piccola realtà titolare di marchi nostrani per fumatori nostalgici: Futura, Linda e 821. Ma insieme ai prodotti di nicchia sfornati dalla Yesmoke di Torino, oggi copre appena lo 0,3 per cento del mercato italiano. Se nel 2002 le sigarette prodotte in Italia furono 100 miliardi, nel 2011 saranno trecento milioni. Quattro volte meno di un pacchetto a testa per ogni italiano.

Inutile dirlo: ogni chiusura o riconversione di queste sette antiche manifatture accompagnata dalle proteste e dalle lacrime di dipendenti e istituzioni. E ovviamente il bagaglio di storie, testimonianze, ricordi e canti popolari non ha salvato queste realtà dalla logica del mercato.

«Chiudiamo perché c’è un eccesso di produzione nel mondo, chiudiamo perché produrre qui costa più che nel resto del mondo», hanno spiegato a Lecce i dirigenti della British America Tabacco. Ed è stato lo stesso discorso utilizzato in tutte le sette operazioni della piazza italiana. La globalizzazione è riuscita ad annientare un settore industriale che aveva resistito anche alla terribile concorrenza sleale del contrabbando anni Ottanta. «La Bat non ha licenziato nessuno. Tutti i vecchi operai sono stati ricollocati in altre aziende che hanno rilevato e riconvertito i poli industriali delle sigarette», precisano i manager del tabacco. A Lecce gli eredi delle tabacchine lavoreranno in un call center. A Bologna la manifattura tabacchi sarà riconvertita in cittadella della ricerca. Il posto di lavoro è salvo. La memoria, un po’ meno.

Per approfondimenti:

Sulla memoria delle lotte delle tabacchine e sulla “rivolta di Tricase del 15 maggio 1935″:

Il Salento levantino. Memoria e racconto del tabacco a Tricase e in Terra d’Otranto (ed. Aramirè 2005)

Un cd/libro contenente uno spettacolo sugli stessi temi, con i canti del tabacco e delle tabacchine: Memorie della terra. Canti e racconti di lavoro e di lotta nel Salento (ed. Squilibri 2010)

 

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