“Quel giorno Wojtyla mi disse: tramandate i canti del folklore”

Intervista con il cantante Ambrogio Sparagna, che racconta per la prima volta un colloquio con l’allora pontefice: “Ci sentì suonare a Loreto nel 1996 e volle che gli spiegassi tutto su pizzica e tarantella”. Canzoni di origini antiche, al confine con l’idolatria? “Lui mi disse: è cultura popolare e non va dispersa”

di Orazio La Rocca

da www.roma.repubblica.it del 30 aprile 2011

papaballiCittà del Vaticano – “Tarantella, pizzica, canti e balli della tradizione contadina”. Giovanni Paolo II ne era fortemente attratto, come lui stesso confessò in una improvvisata udienza concessa ad Ambrogio Sparagna, il più popolare folksinger italiano, alla fine di un concerto di musiche popolari con cui si concluse il raduno internazionale giovanile a carattere europeo organizzato dalla Chiesa italiana a Loreto nel 1996. Sparagna non lo ha mai detto in pubblico. “E’ un ricordo bellissimo che ho sempre custodito con gelosia per una forma di rispetto e di riconoscenza verso un grande pontefice che ora giustamente ascende agli onori degli altari per essere venerato come beato”, spiega il cantante, che in occasione del primo maggio – la stessa giornata della grande festa in piazza San Pietro per la beatificazione di papa Wojtyla – terrà un concerto all’Auditorium parco della Musica di Roma.

Ambrogio Sparagna, perché in 15 anni da quella udienza improvvisata non ha mai rivelato a nessuno che il Papa venuto dall’est era anche un appassionato di musiche popolari e che nutriva un grande interesse per balli legati alla più profonda tradizione contadina italiana come la tarantella e la pizzica?

“Da parte mia è stata una scelta di rispetto verso Giovanni Paolo II. Rivelare quello che ci dicemmo in quell’incontro, che si svolse fuori dai canoni dell’ufficialità e senza preavvisi, sarebbe stato un gesto poco elegante, anche se penso che, considerando che Karol Wojtyla in gioventù era stato attore e brillante poeta, forse non si sarebbe scandalizzato per niente se l’opinione pubblica avesse saputo del suo interesse verso il folk ed i balli popolari”.

Ma come avvenne quell’incontro?

“Era il 1996. Col mio gruppo, formato tra l’altro da un centinaio di elementi tra musicisti e ballerini, ci esibimmo sul palco, col Papa presente, alla fine del raduno giovanile di Loreto. Noi presentammo quasi tutto il nostro repertorio di canti e balli popolari, che avevano il loro momento forte e coinvolgente con i balli di tarantelle e di pizziche tipiche della tradizione contadina meridionale. Giovanni Paolo II ci seguì con grande attenzione, applaudendo più volte le nostre esibizioni. Alla fine del concerto si mostrò molto compiaciuto. Quando lo andammo a salutare ci accolse con simpatia, quasi come un amico”.

A lei, poi, concesse anche una udienza privata.

“Non sono un esperto di protocolli pontifici e non saprei dire, a distanza di 15 anni, se il mio successivo incontro col pontefice fu una udienza nel senso classico del termine. La verità è che, mentre stavo scendendo dal palco insieme ai miei colleghi, fui raggiunto da un ecclesiastico che mi chiese di tornare indietro perché il Papa voleva parlare un po’ con me. Naturalmente, quasi mi precipitai presso il Santo Padre, che era circondato di altri ecclesiastici e dignitari. Quando mi vide, lasciò tutti e mi fece accomodare vicino a lui”.

E Wojtyla cosa le chiese?

“Con mia grande sorpresa, oltre ai complimenti per il concerto, mi fece una serie di domande sul nostro repertorio, sulla natura delle musiche popolari che aveva sentito e sui balli tradizionali italiani. Altra grande sorpresa, volle sapere tutto sulla tarantella e la pizzica, chiedendomi le origini di queste danze, il loro significato, perché fanno parte della tradizione meridionale del nostro Paese… Ad ogni mia spiegazione, lui annuiva compiaciuto e rispondeva ‘interessante, veramente interessante!’. Mostrò altrettanto interesse anche sul fatto che le tarantelle in genere sono legate a tradizioni e credenze antichissime, che a volte sfioravano anche forme di idolatria e di demonizzazioni”.

Come reagì quando seppe che molti balli tradizionali affondano le radici in forme di fedi non in linea con i canoni della Chiesa cattolica?

“E’ cultura popolare, mi rispose più volte, ‘una cultura che è bene che non vada dispersa perché ha formato intere generazioni di uomini e donne con le parole, la musica, i balli e l’arte’. Si complimentò col mio lavoro di musicista folk, mi incoraggiò ad andare avanti nella promozione della musica popolare contadina e mi benedisse. Io seppi dire solo ‘grazie Santità’. Lo dissi allora e lo ripeto oggi, grazie Santità, in occasione della sua beatificazione”.

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