Tarantismo tra passato e futuro

Intervista a Giovanni Pizza

di Sergio Torsello

dal Nuovo Quotidiano di Puglia del 7 settembre 2011

dmrtn”Per l’antropologia italiana La terra del rimorso fu il libro più bello mai scritto, ’bello per forma e contenuto’, come recitava l’incipit della recensione che il grande storico Arnaldo Momigliano le dedicò. Una monografia etnografica tipicamente italiana, quindi per certi versi periferica rispetto al main stream antropologico mondiale coevo, ma proprio per questo tuttora originale.” , allievo di A. M. Di Nola e Tullio Seppilli, oggi docente di antropologia medica a Perugia, autore di importanti studi sul tarantismo e sulle politiche della memoria culturale nel Salento contemporaneo, non ha dubbi: “A cinquant’anni dalla prima apparizione la monografia demartiniana ha prodotto molto più che letture e riletture. Lo vediamo nelle pratiche sociali e culturali salentine che ruotano attorno alla Notte della taranta, fenomeni che vanno ben oltre la lettura di un testo. Questo accade soltanto ai “classici”, cioè a quelle opere la cui vita sociale è costante, permanente nel tempo, propulsiva. Il compito di rileggere i classici è quasi un dovere della memoria. Solo rileggendoli si demoliscono stereotipi e si aprono spazi inesplorati.”

Il tarantismo oggi non esiste più, ma da quindici anni si assiste ad un recupero della sua memoria e della sua simbologia. Come giudichi questo fenomeno

?

Quando nel 1993 guidai una ricerca sul simbolismo della taranta, notai che la memoria del fenomeno era già entrata nella macchina patrimoniale. Macchina che da allora cominciai ad esplorare con ripetuti soggiorni sul campo. In astratto la patrimonializzazione è in sé un processo virtuoso:la volontà di conservare dei beni per rilanciarne il senso alle generazioni future. Il fatto è che essa attiva conflitti complessi che sono rivelatori della qualità della convivenza sociale. Nel caso della patrimonializzazione del tarantismo, credo che uno dei vantaggi sia stata la scelta di non occultare i conflitti, ma di giocarli nell’arena pubblica. A mio avviso questo è un patrimonio nel patrimonio e non si può non valutarlo come uno dei volani di una nuova stagione politico – culturale.

“Neotarantismo”, “neopizzica”: il revival salentino ha prodotto una serie di fortunati neologismi che spesso hanno alimentato una visione densa di esotismo.

L’esotismo è da sempre una chiave interessante per leggere il tarantismo. In fondo lo sguardo dei viaggiatori, dei folkloristi, dei medici vedeva nella tarantata un corpo esotico e così la riproduceva nelle forme retoriche delle narrazioni del grand tour, nella poetica folklorica, nello scarno linguaggio medico. Sarebbe però un errore attribuire anche a de Martino la costruzione di questo esotismo. Il senso politico de La terra del rimorso è ancora vivo. Ripensare la questione meridionale in un’ottica internazionalista, o se si vuole “globale”. Guardare alle disuguaglianze collocandosi nel punto più vicino all’esperienza quotidiana delle persone. Quei “cittadini dello stato italiano” che nel Salento del 1959 erano sia i tarantati che gli antropologi. Quel libro non ha nulla a che vedere con l’esotismo, anzi ne costituisce tuttora l’antidoto.

 

La terra del rimorso è un testo attraversato da tensione etica e passione civile. Oggi questi aspetti sembrano sempre più marginali.

Non credo che il civismo, l’etica, la mobilitazione politica siano oggi marginali. Il contributo di de Martino all’etica civile fu intellettuale: la sua critica al meridionalismo economicistico è l’altra faccia di quella rivolta al meridionalismo esotico. Nel caso dei movimenti culturali sorti intorno al revival tarantistico, non possiamo non cogliere quanto essi siano attraversati da un senso civico, trasversale alle forze politiche organizzate. Le attuali pratiche politiche pugliesi costituiscono forme nuove di azione civile e impegno politico. A patto che restino sempre aperte e disponibili ad accettare la discussione critica su se stesse.

Negli ultimi dieci anni si è assistito ad una straordinaria proliferazione saggistica sul tarantismo. Cosa c’è di nuovo da dire?

Secondo Calvino i classici sono opere che non hanno mai finito di dire quel che hanno da dire. Opere aperte, dunque, sia a molteplici fruizioni che alle più diverse rivisitazioni. In questo senso tutto è ancora da fare, tanto sul piano scientifico, quanto su quello storico, antropologico e politico. Oggi che l’attacco all’università pubblica, alla cultura, sembra essere uno sconsiderato programma di governo, possiamo cogliere da qui l’urgenza di rilanciare la ricerca scientifica d’eccellenza, rendendola popolare senza semplificarla, considerandola un bene comune. Lavorare nel laboratorio salentino oggi vuol dire partecipare con gli strumenti del nostro mestiere intellettuale a una nuova stagione democratica. La terra del rimorso può ancora indicarci la strada per uscire dal “cono d’ombra” del cattivo presente.

I libri/ De Martino e i documenti della sua ricerca

I materiali etnografici della spedizione del 1959 sono stati raccolti nel volume a cura di Amalia Signorelli e Valerio Panza, Etnografia del tarantismo pugliese (Argo, 2011, pp. 466). Preziosi documenti d’archivio (verbali di riunioni dell’equipe, schede di lettura, interviste a tarantati, appunti inediti) che illuminano il “laboratorio” demartiniano e il suo rigoroso metodo di indagine sul campo. Per de Martino il rigore era un “dovere – scrive Signorelli – in quanto garanzia di qualità scientifica, ma anche etica e politica del lavoro che si stava facendo”. Frutto di una spedizione etnografica in Salento (dal 20 Giugno al 10 Luglio 1959), La terra del rimorso uscì nell’Agosto del 1961 per Il Saggiatore. Incentrato sull’analisi del tarantismo come “istituto culturale”, il libro è stato ristampato sempre per Il Saggiatore nel 2008 in una nuova edizione a cura di Clara Gallini. (Sergio Torsello)

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