Costruttori di chimere

di Vincenzo Santoro

 

da Il Paese Nuovo del 14 febbraio 2012

 

babeleGabriele Mina, insegnante e ricercatore in antropologia, savonese – e in forte connessione sentimentale col Salento, se non altro per aver a lungo studiato il “tarantismo mediterraneo” – sta conducendo da alcuni anni una vera e propria mappatura di una particolarissima geografia italiana, composta dalle “architetture fantastiche” e dagli “universi irregolari”, stravaganti creazioni realizzate da artisti autodidatti e marginali, che operano totalmente al di fuori dei canali dell’arte ufficiale e che spesso vivono isolati e sono considerati dalle comunità come dei personaggi “insoliti”. Questi “misconosciuti eroi della pietra e del mattone” hanno creato, quasi sempre nei dintorni delle loro case di proprietà e senza un progetto scritto, “forme chimeriche”, giardini popolati di strutture e personaggi fantasiosi e bizzarri, case e castelli stravaganti, curiosi mosaici, singolari sculture, utilizzando una estrema varietà di tecniche e di materiali, spesso di recupero (ciottoli, mattoni, pietre, legno, ferro, cemento ecc). Nella gran parte dei casi si tratta di opere “infinite”, in perenne arricchimento, a cui i loro creatori hanno dedicato molti anni della propria vita: una baracca trasformata in una casa dei sogni tra mosaici ed elefanti di cemento, un orto popolato di girandole colorate ottenute da vecchie biciclette, uno smisurato presepe realizzato con materiali di scarto, una donna di quindici metri fatta di colla e rete da pollaio, un villino di due piani in grado di scorrere lungo un binario, ruotare a 360 gradi e di sollevarsi fino a venti metri…

Da tale preziosa ricerca, che ha condotto Mina negli angoli più remoti del nostro Paese, ne è derivato un fantasmagorico catalogo (documentato dal ricchissimo sito www.costruttoridibabele.net, in continuo aggiornamento) di queste “architetture e microcosmi dell’immaginario”, che a Mina ricordano “le perpetue variazioni borgesiane” della Biblioteca di Babele (ma che forse possono anche in qualche modo riferirsi al visionario immaginario barocco delle “mirabilia” di padre Athanasius Kircher, la cui “Torre di Babele” fa non a caso da sfondo alla homepage del sito di Mina). Da cui il titolo dello straordinario – in tutti i sensi – volume che raccoglie i risultati di questo lavoro, Costruttori di Babele. Sulle tracce di architetture fantastiche e universi irregolari in Italia (Milano, Elèuthera 2011). Il libro, arricchito peraltro da centinaia di fotografie in bianco e nero e a colori, è stato realizzato da Mina con la collaborazione di diversi ricercatori, che hanno curato delle sezioni contenenti degli approfondimenti su specifici autori o su aree geografiche, integrate da alcune interessanti interviste (nella corposa sezione “Le parole di Babele”).

Tra le esperienze rappresentate, ne spiccano alcune salentine: la rutilante casa-museo “Vincent City” di Vincent Maria Brunetti a Guagnano, il giardino di pietra realizzato a Specchia da Marius Branca, e il “Santuario della pazienza” di San Cesario, costruito di Ezechiele Leandro (1905-1981) in circa quindici anni di lavoro, caratterizzato da circa duemila figure realizzate con materiali di scarto, che versa ora, come denuncia Antonio Benegiamo, nipote di Leandro, in pessime condizione, e rischia di andare perduto per sempre.

D’altra parte, le realizzazioni documentate nel libro di Mina, nella maggioranza dei casi, per la loro natura effimera e irregolare, appaiono, dopo la scomparsa del loro autore, ineluttabilmente destinate al lento dissolvimento. A meno che, come auspica Mina, le comunità che le ospitano, “una volta ritrovati i legami”, non decidano di “adottarle”, trovando le formule più adatte per salvaguardarle e renderle fruibili. In tal senso, un esempio certamente positivo è rappresentato dall’incredibile “raccolta dello stupore” di Ettore Guatelli a Ozzano Taro, in provincia di Parma, composta da circa sessantamila oggetti della “civiltà contadina”, allestiti in una antica cascina con un’estetica assolutamente originale e sorprendente, che la particolare sensibilità delle istituzioni locali ha trasformato in un Museo gestito da una attiva Fondazione culturale.

Anche se, come fa amaramente osservare l’autore, “nel Paese dove crolla Pompei appare arduo sorreggere Babele”.

 

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