I suoni e i canti della Lucania antica

L’indagine fondativa della etnomusicologia italiana, che svela un ricchissimo mondo musicale di cui sono protagonisti i contadini, i pastori e le genti umili che vivevano “oltre Eboli”, per la prima volta restituita in edizione praticamente integrale. Imperdibile e imprescindibile.

di Vincenzo Santoro

da Anci Rivista, luglio-agosto 2013

strumenti-musica-fisarmonica-musiche-tradizionali-in-basilicataNell’autunno del 1952, due importanti studiosi delle culture tradizionali, Diego Carpitella ed Ernesto de Martino, girarono in lungo e in largo la Basilicata (o Lucania, come si diceva di preferenza all’epoca) alla ricerca di canti e musiche popolari, nell’ambito di una indagine antropologica di più ampio respiro sulla cultura delle “classi subalterne” della regione – considerata allora una delle realtà più arretrate del Paese – che poi avrebbe costituito la base per alcuni libri importantissimi di de Martino (in particolare Morte e pianto rituale nel mondo antico e Sud e magia).

Questa “spedizione” in Basilicata, realizzata con i mezzi tecnici messi a disposizione dalla RAI, è considerata l’atto di nascita dell’etnomusicologia italiana, perché per la prima volta si effettuarono “registrazioni sul campo” secondo criteri organicamente unitari. Le rilevazioni, condotte dal 30 settembre al 31 ottobre, interessarono i comuni di Matera, Grottole, Ferrandina, Pisticci, Colobraro, Valsinni, Stigliano, Tricarico, Marsico Vetere, Viggiano e Savoia di Lucania. Si tratta tra l’altro proprio dei luoghi descritti da Carlo Levi in Cristo si è fermato ad Eboli, opera che, com’è noto, ha fortemente condizionato il dibattito politico e culturale degli anni successivi alla seconda guerra mondiale.

Le registrazioni effettuate rivelano, a dispetto della situazione di disagio sociale ed economico in cui vivevano gran parte di queste comunità, un mondo musicale di grande qualità e ricchezza: notevolissime voci femminili, straordinari suonatori di organetto, canti alla zampogna e al “cupa cupa”, nei più vari repertori, dalle ninne nanne ai lamenti funebri, dai canti di lavoro ai canti di questua, dalle tarantelle ai canti infantili. Ma anche tarantelle eseguite con lo scacciapensieri, suonate con il flauto di legno o di canna, e musiche ricavate da strumenti improbabili, come le foglie d’edera messe fra le labbra e “soffiate”. Un mondo musicale che pervadeva in tutti i suoi momenti essenziali la vita di quei contadini e pastori che, pur vivendo in uno stato di povertà estrema, manifestavano una sorprendente capacità di gioia, festa, scherzo, ironia, creatività e poesia.

Colpisce, visto il contesto in cui si collocava la ricerca, la mancanza di canti aventi un senso “politico”, oppure in qualche modo collegati alle lotte contadine che in quegli anni avevano coinvolto in maniera significativa alcune di quelle comunità (ad esempio Tricarico, dove operò una figura quasi mitica, il giovane sindaco-poeta Rocco Scotellaro, che pure collaborò con de Martino e Carpitella), risultato probabilmente di una precisa scelta selettiva – anche se non dichiarata – degli studiosi.

Queste importantissime testimonianze di una cultura assai ricca e complessa sono oggi restituite in edizione pressoché integrale alla fruizione degli esperti e degli appassionati, ma anche e soprattutto delle comunità che all’epoca furono coinvolte dalla ricerca, da una pubblicazione specializzata, Musiche tradizionali in Basilicata. Le registrazioni di Diego Carpitella ed Ernesto de Martino (1952), libro con allegati ben tre cd audio, curata dall’etnomusicologo Giorgio Adamo e appena edito da Squilibri. Un grande prodotto editoriale multimediale, che per ognuno dei canti contiene la trascrizione e una dettagliata analisi testuale e musicale, e completato da alcune preziose foto d’epoca. Unico limite, peraltro non secondario in un’opera del genere, ci pare la mancanza di un intervento atto a contestualizzare le “spedizioni lucane” di de Martino e Carpitella nell’ambito del grande dibattito su quella che veniva denominata la “questione meridionale”, che come è noto nell’immediato dopoguerra impegnò alcune tra le migliori intelligenze del Paese, e a cui gli interventi e le opere dell’etnologo napoletano diedero un contributo fondamentale.

 

 

 

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