Devo confessare che sono abbastanza colpito (negativamente) da come si sta sviluppando il dibattito nella mia regione (ma il discorso potrebbe essere più generale) sulle modalità con cui intervenire riguardo la difficile situazione in cui si trovano le biblioteche provinciali, che rischiano addirittura di chiudere per effetto della “riforma” dei loro Enti di appartenenza. Una trasformazione profonda della natura stessa delle Province, portata avanti con grande determinazione dal Governo, che ha comportato in prima battuta pesanti tagli ai bilanci – in attesa del “trasferimento” di alcune “funzioni” – cominciati quest’anno e in aumento nei prossimi, portandoli in una profonda crisi finanziaria. Al di là del giusto sdegno perché si mettono in discussione alcuni fra i più importanti presidi culturali del nostro territorio e della dovuta solidarietà ai lavoratori pubblici e privati (delle ditte che hanno servizi in appalto) coinvolti, ci sono due questioni di ordine generale, che a mio avviso dovrebbero essere centrali, e che mi pare non vengano mai prese in considerazione:
La prima riguarda il senso stesso dell’esistenze di strutture come le biblioteche pubbliche. La Puglia ha un bassissimo tasso di lettura fra i suoi abitanti: solo un cittadino su quattro legge almeno un libro in un anno! In questo, è al penultimo posto in Italia (e ad esempio il dato è incredibilmente la metà di quello della Sardegna). La percentuale di lettori è anche da qualche anno in continua discesa. Ora, mi domando: c’è stata, almeno fra gli addetti ai lavori, una discussione adeguata alla gravità di questi dati, da poco resi disponibil dall’Istat (a parte l’importante articolo di Mario Desiati su Repubblica di Bari)? Tutto questo può dipendere forse anche dall’insufficienza e dall’inadeguatezza delle politiche messe in campo a livello territoriale e delle infrastrutture culturali esistenti, su cui comunque in passato (e anche di recente) sono state investite ingenti risorse pubbliche?
Non dobbiamo poi dimenticare che la presenza delle biblioteche provinciali nella nostra regione ha comportato (come in quasi tutto il Sud) che i capoluoghi di provincia (quindi le città dove sono concentrati la maggior parte degli abitanti) non si siano dotati nel tempo di una biblioteca civica che faccia il lavoro di base e di promozione della lettura, come succede invece nel resto del Paese, da Roma in su. Inoltre, per varie ragioni la situazione nei comuni minori, a parte alcune piccole eccezioni, è ancora peggiore. Possiamo dire dunque che la stragrande maggioranza dei cittadini pugliesi non può accedere a un tipo di servizio che in due terzi dell’Italia è più o meno considerato come essenziale. Alla luce di ciò, il ragionamento sulle biblioteche provinciali non dovrebbe essere inserito in uno, più complessivo, sull’intero sistema? E queste strutture, a maggior ragione nel momento in cui si chiede alle istituzioni locali di attivare risorse economiche rilevanti per “salvarle”, non dovrebbero essere disponibili a mettersi in discussione, anche profondamente, e a cambiare qualcosa del loro profilo? Oppure tutto quello che è stato fatto finora va bene a prescindere? In base a quali criteri di valutazione le biblioteche provinciali pugliesi sarebbero, come ho letto di recente, indistintamente “quattro eccellenze”? Ne siamo proprio certi? Quanti prestiti annuali fanno queste biblioteche? Quanti cittadini sono iscritti ai loro servizi, oppure le frequentano? In particolare, quanti bambini? Sono noti questi dati? Si è mai cercato di paragonarli con quelli di altre strutture di pari “peso” (anche a livello di costi) situate in altre regioni, per capire se sono “eccellenze” o no?
Se non ci si cimenta anche con questi nodi, tutto il gran parlare delle ultime settimane – lo dico veramente con grande sofferenza – rischia di apparire soltanto un ragionamento in teoria giusto e nobile, ma che nel concreto diventa conservativo e autoreferenziale. E anche discutibile, da diversi punti di vista. Ad esempio: si chiede da più parti l’intervento della Regione, che comunque non mi pare che abbia risorse per far fronte a questa situazione, quindi si tratta di un discorso accademico, per ora. Ma nel caso in cui si trovassero dei finanziamenti per il “sistema bibliotecario”, quale sarebbe la priorità, alla luce delle cose che dicevo prima? Quella di “salvare” le strutture esistenti, a prescindere, magari “regionalizzandole” (cioè suppongo immettendo il personale nei ruoli delle regione, con tutto ciò che ne deriva), oppure quella di istituire insieme ai comuni (e magari con i coinvolgimento del ricco tessuto associativo che è attivo su questi temi, e, se ci sono, anche dei “privati” eventualmente interessati) una rete di biblioteche “di base”, a partire dai capoluoghi, fortemente orientate alla “promozione della lettura” in particolare fra i “non lettori”, con servizi e competenze adatte a questo genere di lavoro, che è ben diverso da quello delle biblioteche di conservazione o “di erudizione” (o addirittura universitarie, con cui, secondo uno degli articoli pubblicati negli ultimi giorni, le biblioteche provinciali si dovrebbero “integrare”)? Non sono questioni di poco conto, mi pare. Spero che qualcuno, prima o poi, decida di affrontarle.