di Tomaso Montanari, da Il Fatto Quotidiano, 7 lug. 2014
Lecce è un biscotto. Tutto traforato, decorato, stampigliato.
E infatti Lecce è stata inzuppata nel latte, tanto tempo fa. Davvero, sul serio: gli scultori e gli architetti del Seicento avevano capito che per farla durare, la pietra morbida che tagliavano e scolpivano (il leccisu), bisognava impregnarla di latte. Così sarebbe diventata impermeabile, e col tempo si sarebbe indurita. Lo scrive un poeta, nel 1635: le pietre a Lecce sono così numerose che nessuno ci fa caso. E sono tenere, come un legno giovane – dice ancora: ma dopo che vengono tagliate «in loro passa virtute che le pregia e che l’indura: mirabili a vederle». Poi, col passare dei decenni e dei secoli, quella pietra prende il color del miele, biondo e solenne. Ecco: Lecce è una città di latte e di miele, come quelle di cui si parla nei Salmi.
E nel latte e nel miele vivono migliaia di figurine, animate e misteriose. Putti grassocci e goffi che si abbracciano per non cadere nel vuoto, circondati da cherubini e serafini affogati tra i festoni di verzura. E ancora aquile, draghi, leoni, unicorni, scimmie e pirati turchi: tutti a reggere le mensole su cui posano santi timidi, o quelle su cui si agitano altri santi più estroversi, quasi esibizionisti. E ovunque frutta: festoni, cesti, trionfi, monti di frutta di ogni tipo. Ci sono terrazze rette da sette o otto cavalli alati, e scritte di pietra srotolate da legioni di angioletti sbarazzini. Interi alberi di pietra, abitati da uccelli del paradiso, crescono sulle facciate delle chiese: e uno pensa che sia di zucchero filato, questa città meravigliosa e struggente. E poi ancora: dalle pareti sbucano donne che pregano a mani giunte, ma anche loro sono di pietra, e pensi che tra poco saranno reinghiottite in questo mare giallo e dolce. Infine, mentre il sole gira, capisci che questo traforo di pietra, questo magnifico scialle, serve solo a catturare la luce, ad ingannare le vampe d’estate: a dipingere tutta Lecce con un chiaroscuro che cambia lentamente, ma inesorabilmente. Come se un pittore divino fosse perennemente incerto sulle luci del suo immenso quadro.
Sant’Oronzo, che era una persona seria, contempla tutto questo dalla vetta di una solida colonna romana: e guarda con benevola perplessità quel gran biscotto scolpito, tuffato nel latte e ormai color di miele. E non smette mai di proteggerla, la sua Lecce: per farcela ritrovare ogni volta più commoventemente bella di prima. Per invitarci a tornare, per offrirci ancora il suo latte e il suo miele.