I canti di Lazzaro nel Salento

I canti di Lazzaro nel Salento

Vincenzo Santoro

I Passiuna tu ChristuĢ - 01

Ripropongo qui, con leggerissime modifiche, un articolo originariamente pubblicato in Il rito musicale del Lazzaro nelle comunità arbëreshe di Siciliaa cura di Girolamo Garofalo e Giuseppe Giordano, con CD + DVD, Edizioni Museo Pasqualino, Palermo 2021, pp. 231-230. Il volume, risultato del lavoro collettivo di diversi studiosi, è dedicato al rito del “Lazzaro” in cinque centri siciliani siculo-albanesi. Per un raffronto sul piano etnografico e musicale, oltre al testo che segue, include anche un contributo di Nicola Scaldaferri sulla sua diffusione in Calabria.

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La tradizione di canti in diverse misure e modalità riferibili al “Canto della Resurrezione di Lazzaro” (la “kalimera” di Lazzaro secondo la denominazione in uso presso le comunità arbëreshe di Calabria)[1] trova nel Salento, territorio di forte persistenza della cultura grecanica, due particolari declinazioni: una relativa ai paesi ancora ellenofoni e l’altra riferibile a paesi, comunque geograficamente e culturalmente prossimi ai primi, in cui si usano, invece,  varietà locali di dialetto romanzo.

Come sottolinea Sergio Torsello, si tratta di canti rituali legati ai cicli calendariali che coinvolgevano «ampi strati del mondo contadino, in una sorta di “liturgia subalterna”, una rappresentazione del Vangelo dei poveri nella quale ampio spazio era dato non solo al testo cantato (quasi sempre anonimo e ispirato a passi del Vangelo e talvolta dei Vangeli apocrifi) ma anche una forte componente mimica e gestuale»[2].

cOPERTINA_-510x757Lu Santu Lazzaru, è un canto di questua in dialetto salentino romanzo, che veniva eseguito nel periodo precedente alla Pasqua, e in particolare il sabato prima della Domenica delle Palme, giorno in cui, secondo il calendario liturgico bizantino viene rievocato il miracolo della resurrezione di Lazzaro. Quest’uso è ancora presente nei paesi di una vasta area della parte ionica e dell’entroterra della provincia di Lecce, a nord e a sud di Gallipoli.

Nei giorni deputati, gruppi di musicisti andavano in giro per borghi e masserie, cantando “a domicilio” la vicenda della resurrezione di Lazzaro, con l’accompagnamento di piccoli gruppi strumentali variamente assortiti (generalmente: chitarre, organetti o fisarmoniche e tamburelli). A ogni famiglia coinvolta veniva così annunciato il miracoloso evento, rendendo l’incontro un’occasione di condivisione e di festa. Al temine, i musicisti chiedevano una semplice “ricompensa”, che poteva consistere in uova o in alimenti di origine agricola.

bonaseraaquistacasaLe varianti testuali di questi canti sono sostanzialmente riconducibili a due versioni piuttosto simili. Anche dal punto di vista musicale le diverse intonazioni locali presentano una duplice tipologia: una in tonalità minore e l’altra in maggiore. Di entrambe le varianti musicali esistono interessanti registrazioni “storiche”. Della versione in maggiore, che era caratterizzata da esecuzioni vocali virtuosistiche e fiorite, possiamo citare quella, ripresa nel 1978, che apre il CD Bonasera a quista casa. Pizziche, stornelli, canti salentini (Edizioni Aramirè 1999), eseguita dagli straordinari cantatori Uccio Bandello, Uccio Aloisi e Leonardo Vergaro (gli “Ucci”). Una assai suggestiva versione in minore, registrata da Alan Lomax e Diego Carpitella nel 1954, è stata recentemente pubblicata da Maurizio Agamennone (2017)[3].

Ecco alcune strofe della versione degli Ucci:

Lu Santu Lazzaru

Bonasera ma a quista casa

ma tutti quanti ma l’abitanti.

Venne Cristu ma cu li santi

ni decia aiutu e salvazione.

Osci osci se fa missione

ca mo’ ci Lazzaru è surscitatu.

Lazzarenu tu essi fore

ma ci de Cristu tu sei chiamatu.

Ce scunfortu ma ce dulore

ma ci ippe Marta e Maddalena.

E per nu votu de sou fratellu

l’ippe a soffrire ma tanta pena.

Cu soe lacrime l’ippe bagnare

coi soi capelli l’ippe ‘sciuttare.

Mo’ sciamu a casa ma de Simone

ca a dhai sciu Cristu per fare la cena.

Dhai cumparve la Maddalena

culli soi ‘nguenti e li soi preziosi.

Trenta denari cangiara Cristu

cu sacerdoti cu farisei.

Alla sciuta purtara Cristu

alla turnata cu pene e guai.

Non è osci e puru crai

cu te la cantu la tua Passione.

[San Lazzaro // Buonasera a questa casa/ a tutti quanti gli abitanti. // Viene Cristo con i Santi / per darci aiuto e salvezza. // Oggi si fa missione / oggi che Lazzaro è resuscitato. // Lazzaro esci fuori / ora che da Cristo sei chiamato. // Che sconforto e che dolore / ebbero Marta e Maddalena. // Per una promessa fatta a suo fratello / ebbe a soffrire tante pene. // Con le lacrime i piedi bagnava / con i suoi capelli li asciugava. // Andiamo a casa di Simone / lì andò Cristo per fare la cena. // Lì comparve la Maddalena / con i suoi unguenti e i suoi preziosi. // Per trenta denari scambiarono Cristo / con sacerdoti e farisei. // All’andata portarono Cristo / al ritorno pene e guai. // Non basta oggi né domani / per raccontare la tua Passione.]

 

Una descrizione vivace e ricca di divertenti aneddoti delle serate del Santu Lazzaru è offerta da Uccio Aloisi, grande “eroe” della musica popolare salentina, in alcuni brani di una lunga intervista del 2003:

Come ci organizzavamo per andare a fare Lu Santu Lazzaru? Stavano in mezzo alla piazza e decidevano così, senza una ragione, magari io dormivo già – ero al primo sonno – e venivano a chiamarmi, bussavano alla porta e o bussavano o la sfondavano.

Si faceva di sera, potevi partire verso le dieci e magari tornavi alla una, le due, le tre del mattino. Tu stavi dormendo e venivano: “Alzati! Dobbiamo andare a cantare Lu Santu Lazzaru”.

“E come mi alzo? Che se mo’ mi sono coricato?”

“Alzati!”

O ti alzavi o ti buttavano giù dal letto, ti dovevi alzare per forza… e così andavamo a cantare Lu Santu Lazzaru.[4]

La tradizione del Santu Lazzaru continua in parte ad essere praticata anche oggi, magari in modalità meno informali e senza svolgere la questua, elemento che in qualche maniera costituiva un tratto caratterizzante, e per certi aspetti anche fondamentale, del rito.

L’altro canto tradizionale del periodo pasquale è detto in grico la Passiuna tù tu Christù[5].

La Passiuna è una delle tradizioni più affascinanti della Grecìa salentina. Anche in questo caso si tratta di una rappresentazione cantata – in lingua grica – di alcuni episodi della Passione di Cristo, che, analogamente a versioni delle aree italo-albanesi, comincia proprio con l’espressione augurale («calimera», «buongiorno»):

Ce calimèra na sas ipòvo

na sas cuntescio ce at ppassiùna

ja possa pàtesce ce o Cristòmma

ce ikuseteta me devoziuna.

[Io vi do il buongiorno / per raccontarvi la passione / per quanto ha sofferto il Cristo / ascoltate con devozione.]

 

Fino a non molti anni fa, nella settimana precedente la Domenica delle Palme, e in particolare il sabato, gruppi di contadini, con un grosso ramo d’ulivo (la palma) adornato di nastri colorati, immaginette sacre e arance (nella tradizione simbolo di fecondità), andavano cantando per i paesi e per le masserie questa narrazione popolare della Passione di Cristo. Di tanto in tanto, il gruppo dei cantori e degli appassionati si fermava a un crocicchio e lì, mentre un anziano teneva il ramo d’ulivo in piedi, due esecutori si alternavano nel canto, supportati dalla fisarmonica o dall’organetto, assai spesso sottolineando con ampi gesti la tensione narrativa del canto. Alla fine, raccolte le offerte (in genere, come per il Santu Lazzaru, uova, formaggio o prodotti agricoli), il gruppo si rimetteva in cammino, verso un altro luogo dove si ripeteva la “sacra rappresentazione”.

I Passiuna tu ChristuĢ - 04

Queste importanti espressioni della cultura popolare, intorno agli anni Sessanta del secolo scorso, sono state progressivamente abbandonate fino ad apparire irrimediabilmente condannate all’oblio. Recentemente però (in qualche misura anche nel quadro del più complessivo fenomeno di “recupero” delle tradizioni musicali folkloriche salentine: in primo luogo, per il grande pubblico, soprattutto la “pizzica” e la “taranta”) l’impegno di qualche appassionato[6] ha fortunatamente permesso di rivitalizzare questa tradizione[7]. Anche la Passione grica è dunque tornata ad essere praticata, sebbene con modalità differenti dal passato (a esempio spesso viene eseguita come un piccolo spettacolo musicale, con palco e amplificazione, oppure in chiesa). A Zollino, a esempio, a partire dal 1981, l’associazione Bottega del Teatro opera per conservare e tramandare la Passione, riproponendola sul sagrato della Chiesa Madre la Domenica delle Palme e la mattina del Sabato Santo, subito dopo la processione[8].

In questo modo negli ultimi anni anche alcuni giovani stanno riscoprendo l’antico canto, seguendo gli insegnamenti degli esecutori anziani, alcuni dei quali ancora in attività, come il vispo ultraottantenne Antimino Pellegrino, che così si rivolge ai suoi “allievi”, in una sorta di passaggio di testimone:

Da bambino portavo la palma, e con i fratelli miei, insieme ad Antonio Maniglio e a Nino Giannone cantavamo la Passione, e io li accompagnavo durante il canto. Così, sentendola oggi, sentendola domani, l’ho imparata. E da allora sino a oggi ho sempre cantato la Passione. Ho detto ai ragazzi che la fanno ora che quando la cantano devono conoscerne il significato, devono sapere che stanno cantando, perché la Passione si canta col cuore[9].

Un’ulteriore iniziativa che in tale prospettiva merita particolare segnalazione è il festival Canti di Passione organizzato – a partire dal 2004, con qualche interruzione – dall’Istituto “Diego Carpitella” e dalla Fondazione “La Notte della Taranta”, in cui oltre a diversi gruppi salentini – che a volte hanno proposto versioni musicalmente più o meno “innovative”, secondo la moda del momento – si sono aggiunti gruppi provenienti da altre aree d’Italia e di Paesi esteri dove resistono analoghe tradizioni etnomusicali.

Una bellissima versione, nella variante di Martano, della Passione “integrale” – per quanto possa esserlo un testo tramandato oralmente, dove l’azione dei cantori inserisce continue aggiunte e variazioni – risalente agli anni Settanta, la si può ascoltare nel cd I Passiuna tu Christù, pubblicato dalle Edizioni Aramirè di Lecce[10].

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Nella sua introduzione, Roberto Raheli sottolinea che in questo canto

è possibile cogliere un respiro profondo, nella maestosità del dispiegarsi del racconto, una forza nella crudezza dei particolari. Il processo a Cristo, la condanna, il trasporto della croce, la crocifissione stessa, la pena della Madonna alla ricerca del figlio, la pena dell’agonia, i due ladroni, la morte, sono narrati in modo tanto vivido da essere assolutamente angoscianti, non solo, ma umanizzano a tal punto le figure divine del Cristo e della Madonna, da farle apparire decisamente umane e quindi veramente vicine.

La Passione in genere era eseguita da uomini. È attestata, tuttavia, anche una rara testimonianza, registrata da Giovanna Marini a Sternatia nel 1972, in cui a cantare è una donna, Mariuccia Chiriacò[11].

Ecco le prime strofe di una delle versioni del canto raccolta a Zollino:

I Passiuna tu Christù

Ce calimèra na sas ipòvo

na sas cuntescio ce at ppassiùna

ja possa pàtesce ce o Cristòmma

ce ikuseteta me devoziuna.

Ambièsce lèonta o Padretèrno

na mas sarvesci ce scichì-mma

ce na mi ppame ci ston infèrno

ti ammeretèamo oli icìvi.

Ce Patriàrki en antardèane

paracalònta ce to Tteòmma

ce na shi nama sa libere scio

asce ‘tto ttopo to scotinòvo.

Ison nan àngelo ma de cantu

pu mas salùtesce Ave Maria

prama ìsane tu Spirtu Ssantu

pu ìs ancarrnetti c’es ti ccilìa.

I Maddònna stin oraziùna

pu icuntèmpleche ci tto petàciti

ce cini ìche cie furtùna

is ti ccilìati na ncarnettivi.

Ce arte arcizo poi na sas pòvo

ma passos sena ma na pensèsci

ja possa pàtesce ce o Christòmma

ma tin scichèdda na mas sarvesci.

[La Passione di Cristo. Io vi do il buongiorno / per raccontarvi la passione / per quanto ha sofferto il Cristo / ascoltate con devozione. // Mandò dicendo il Padre Eterno / di salvare l’anima / altrimenti andiamo all’inferno / dovremmo andare tutti lì. // Non tardino i Patriarchi / pregando Iddio / che abbia a liberarci / da quel luogo oscuro. // Era un Angelo di canto / che ha salutato Maria / era opera dello Spirito Santo / che si incarnò nel suo ventre. // La Madonna con la Preghiera / contemplava il suo bambino / ebbe la bella sorte / che s’incarnasse nel suo ventre. // Ora incomincio a narrarvi / e ognuno ben pensi / quanto ha sofferto / per salvare la nostra anima. ]

[1] Oltre a vari contributi presenti in questo volume, rimando all’articolo di Eleuterio F. Fortino, Il sabato precedente la Domenica delle Palme nella tradizione degli Albanesi bizantini in Italia, pubblicato sull’Osservatore Romano del 26 marzo 2010.

[2] Dalla Introduzione di Torsello al libretto di un cd che propone una antologia di registrazioni storiche di questi repertori: Canti di Passione. Ce custi o gaddho na cantalisi, libro con cd audio, a cura di Luigi Chiriatti, Gianni De Santis, Sergio Torsello, Edizioni Kurumuny 2007.

[3] Cfr. Maurizio Agamennone, Musica e tradizione orale nel Salento. Le registrazioni di Alan Lomax e Diego Carpitella (agosto 1954), libro con 3 cd, edizioni Squilibri 2017, brano 19 del secondo cd.

[4] Uccio Aloisi, I Colori della terra. Canti e racconti di un musicista popolare, libro con due cd, a cura di Roberto Raheli, Vincenzo Santoro e Sergio Torsello, edizioni Aramirè 2004, p. 120. L’intervista è resa in un dialetto arcaico e a tratti oscuro, qui si riporta il brano tradotto in un italiano quanto più possibile vicino all’originale.

[5] Come è noto, esiste un’area del Salento dove si conserva un’antica lingua, il “grico”, retaggio dei lunghi rapporti che questa terra ha intrattenuto con l’altra sponda dell’Adriatico. La “Grecìa Salentina” ha vissuto nel dopoguerra un processo di deperimento della sua identità culturale, e anche l’antico idioma è stato progressivamente abbandonato, sostituito dall’italiano o dal dialetto romanzo del luogo. Negli ultimi anni, invece, questo territorio ha vissuto un ritorno di forte interesse per le proprie tradizioni e la propria lingua che, adeguatamente valorizzate, hanno costituito anche un fattore importante di attrazione turistica.

[6]  Un racconto della vicenda della “rimessa in funzione” della Passione di Zollino, in cui ebbe un ruolo fondamentale l’attivista culturale Giovanni Pellegrino, è testimoniata nel documentario I Passiuna tu Kristù – di Zollino – Canto tradizionale della Grecìa Salentina, prodotto dalla Bottega del Teatro di Zollino nel 2005, da un’idea di Diana Costa e Veronica Vernaleone, regia di Enea Garrapa, coordinamento e sceneggiatura di Diana Costa. Con i cantori Antimo Pellegrino, Tommaso Lifonso, Michelangelo Castellano e Donato Tundo, con le testimonianze di Luigino Costa e Giovanni Pellegrino. Il documento è disponibile online a questo indirizzo: https://www.youtube.com/watch?v=D7CP6g0itvI. In rete è anche disponibile una straordinaria videoregistrazione integrale di una Passione “riproposta” a Zollino il 12 aprile 1987: https://www.youtube.com/watch?v=zB8PAfVnScU.

[7] Per un approfondimento della questione segnalo il mio Il ritorno della taranta. Storia della rinascita della musica popolare salentina, edizioni Squilibri 2009.

[8]  Nel 2002 è stata anche effettuata dagli animatori della Bottega del Teatro la registrazione “integrale” della Passione di Zollino, con le voci degli anziani cantori Antimino Pellegrino e Tommaso Lifonzo (scomparso nel 2007). Il testo risulta pubblicato in appendice al saggio di Diana Costa, I Passiuna tu Christù – Rito e teatro di una cantica popolare della Grecìa Salentina, in “Antropologia e Teatro”, N. 2/2011, a cui si rimanda per approfondimenti.

[9]  Dal bel documentario I Passiuna tu Christù, di Fabrizio Lecce e Tommaso Faggiano, Meditfilm 2011.

[10]  Si tratta di 73 strofe, corrispondenti a 22,35 minuti di registrazione. Cantano Salvatore Russo e Pantaleo Stomeo e suona la fisarmonica Raffaele De Sanctis. Il cd fu pubblicato nel 2000.

[11]  Cfr. Il Salento di Giovanna Marini, cd doppio, a cura di Roberto Raheli e Vincenzo Santoro, edizioni Aramirè 2004, brano 25 del primo cd. Altri esempi interessanti di registrazioni storiche, oltre a quelle già segnalate, si trovano in: Canto d’amore. Voci, suoni, ritmi della Grecìa salentina, a cura di Luigi Chiriatti e Roberto Raheli, edizioni Aramirè 2000, traccia 2 (I Passiuna tu Christù, registrata a Soleto nel 1977-78); Brizio Montinaro, Musiche e canti popolari del Salento, cd doppio, edizioni Aramirè 2002, nel primo cd, traccia 2 (A’ Lazzaro – I Passiuna tu Christù, registrata a Zollino nel 1970) e traccia 4 (Lu santu Lazzaru, registrata nel luglio 1977 ad Aradeo); Giuseppe Migali, Zimba. Voci, suoni ritmi di Aradeo, edizioni Kurumuny 2004, traccia 9 (Santu Lazzaru) e 23 (Lazzareno), entrambe registrate ad Aradeo nella metà degli anni ‘70; Uccio Bondello, La voce della tradizione, edizioni Kurumuny 2010, traccia 16 (Santu Lazzaru, registrata a Cutrofiano nel 1977-78); Uccio Aloisi, Il canto della terra, edizioni Kurumuny 2011, traccia 4 (Santu Lazzaru, registrata a Cutrofiano nel 1977); Corimondo. La Strina – Suoni e canti di Corigliano d’Otranto, edizioni Kurumuny 2012, traccia 16 (Lazzareno, registrata a Corigliano d’Otranto nel 1977-78). Infine, alcune importanti registrazioni di Passione realizzate a partire dall’inizio degli anni ’80 dal ricercatore amatoriale Salvatore Panizza a Corigliano d’Otranto sono disponibili presso l’Archivio Sonoro Pugliese di Bari (http://www.archiviosonoro.org/archivio-sonoro/archivio-sonoro-puglia/fondo-panizza/i-canti-della-passione.html )

Didascalie delle immagini:

Fig. 1. Zollino (Lecce), Domenica delle Palme del 2010. Il cantore Antimino Pellegrino durante la rappresentazione della Passiuna tu Christù (foto di Tommaso Faggiano)

Fig. 2. Zollino (Lecce), Domenica delle Palme del 2010. Il gruppo dei Cantori di Zollino durante la rappresentazione della Passiuna tu Christù (foto di Fabrizio Lecce).

Fig. 3. La copertina del cd il CD Bonasera a quista casa. Pizziche, stornelli, canti salentini (Edizioni Aramirè 1999)

Fig. 4. La Passione di Cristo. Trascrizione musicale di Alessandro Girasoli nel libretto del CD I Passiuna tu Christú. Canti di questua pasquale della Grecìa salentina, Edizioni Aramirè, Lecce, 2000, pp. 72-73.

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Ps (marzo 2023): Un aggiornamento di un certo interesse sulla questione è contenuto nel saggio di Giuseppe Sanfratello, “Il canto di Lazzaro nella penisola balcanica: alcune tradizioni musicali a confronto” in “Studi sull’Oriente Cristiano”, 26- 2 2022, che fornisce una ricostruzione vivida e puntuale della diffusione di questi canti – fra tradizioni “vive” e “ricostruzioni” – in vari luoghi dei Balcani fino alla Grecia e a Corfù (ma che misteriosamente nelle comparazioni si limita agli esempi italo-albanesi e non considera per nulla quello che avviene a poche miglia di mare, nella Penisola Salentina, peraltro in parte con l’uso di una lingua affine al greco).

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