In una visita condotta il 10 febbraio al Museo di Casa Buonarroti a Firenze, ho avuto modo di esaminare le 35 medaglie fatte realizzare con la “terra sigillata” proveniente dalla Grotta di San Paolo a Rabat (Malta) da Francesco Buonarroti (1574 – 1631) e dedicate ai santi e ai beati dell’Ordine dei Cavalieri Ospedalieri di san Giovanni, conosciuto come Ordine di Malta.
A questi oggetti, a cui la tradizione attribuiva, per concessione del Santo, la proprietà di “disinnescare” i veleni, sono da porsi in relazione alle credenze e alle pratiche sviluppatesi intorno al culto popolare di San Paolo derivante dall'”episodio di Malta” degli Atti degli Apostoli, in cui il Santo miracolosamente rimane illeso dopo il morso di un serpente velenoso.
Secondo tale narrazione (Atti degli Apostoli XXVIII, 1-6) San Paolo e i suoi compagni, in viaggio da Oriente verso l’Italia, furono colpiti da una tempesta e naufragarono:
Una volta in salvo, venimmo a sapere che l’isola si chiamava Malta. Gli indigeni ci trattarono con rara umanità; ci accolsero tutti attorno a un gran fuoco, che avevano acceso perché era sopraggiunta la pioggia ed era freddo. Mentre Paolo raccoglieva un fascio di sarmenti e lo gettava sul fuoco, una vipera, risvegliata dal calore, lo morse a una mano. Al vedere la serpe pendergli dalla mano, gli indigeni dicevano tra loro: «Certamente costui è un assassino, se, anche scampato dal mare, la Giustizia non lo lascia vivere». Ma egli scosse la serpe nel fuoco e non ne patì alcun male. Quella gente si aspettava di vederlo gonfiare e cadere morto sul colpo, ma, dopo avere molto atteso senza vedere succedergli nulla di straordinario, cambiò parere e diceva che era un dio.
Come è noto nella seconda metà del ‘700 queste antiche credenze si “innesteranno” nel Salento meridionale (e per quanto ne sappiamo solo lì) con il rituale di cura del tarantismo.
Fra le medaglie ne spicca in particolare una, dove sono rappresentati gli animali su San Paolo esercitava il suo “dominio”: il serpente e lo scorpione, una sorta di piccolo “bestiario de venenis” (per usare la definizione del caso Sergio Torsello) che si ritrova – con in più il ragno, che nella medaglia in questione non pare esserci) in altri oggetti e immagini riferiti a tali tradizioni, come la pala d’altare della cappella di Galatina (Le), l’affresco della chiesetta di Santa Maria di Vereto a Patù (Le), ma anche la coppa, sempre in terra di Malta, conservata al Museo di Palazzo Poggi a Bologna.