Umilissimo antidoto ad alcuni mali della modernità…

Intervista a Vincenzo Santoro
di Fabio Fila
da www.livepoint.it
6 agosto 2001

Una caratteristica più propriamente italiana che rende questo paese unico, è la grande presenza di diversi sub strati culturali, localizzati nelle varie aree regionali contraddistinte da una tipica influenza dialettale. Generalmente, per ognuna di queste zone, si può individuare un particolare stile musicale derivante dalla tradizione popolare autoctona che nella storia della singola sotto-cultura si afferma come paradigma portante e, ancora, come canale preferenziale per tramandare o esportare gli usi e i costumi di una popolazione.
Un fenomeno particolarmente interessante di musica derivante dalla tradizione popolare prende il nome di “pizzica salentina”, che si colloca all’interno del fenomeno del tarantismo. La tradizione vuole che quando si sia morsi dal mitico ragno “tarantola”, si cada in uno stato catatonico per cui si richiede una cura fatta di musica, danza e colori, grazie alla quale scacciare il veleno e riappropriarsi del proprio corpo. Secondo gli studi di De Martino, noto antropologo italiano che ha descritto a pieno il fenomeno, non esiste un ragno invisibile che morde la gente, ma ‘soltanto’ uno stato di disagio sociale da porre in evidenza; nel tempo, gli ammalati sono stati pressoché donne che hanno individuato in questa usanza l’unico modo per sfogare le angosce della propria esistenza, cadendo in preda a forti esaurimenti nervosi provocati dal disinteresse imperante nei confronti dell’universo femminile. Così, riuscivano a catalizzare l’attenzione sui loro problemi, tant’è che il paese si stringeva intorno alla malcapitata di turno, svolgendo il rito che prevedeva la già citata musica, capace di risvegliare la ‘tarantata’ e farla ballare onde cacciare il male.
Ancora oggi, questo genere musicale ‘pizzica’ vive in molti ensemble dislocati ancora e soprattutto nelle zone meridionali d’Italia, assumendo varianti regionali e relative lievi variazioni di genere. Un gruppo molto ben radicato nel territorio è quello degli Aramirè. Ciò che segue è uno stralcio dell’intervista realizzata a Vincenzo Santoro, ”responsabile relazioni esterne” del gruppo, che gentilmente ci ha ‘istruito’ su un genere musicale, purtroppo, sconosciuto ai più.


Prendiamo il giro largo. Il meridione è ricco di tradizioni musicali. Potresti fornirci una panoramica generale, quella in cui si innesta anche la ‘pizzica salentina’?

Si. Il sud d’Italia è ricchissimo di musica tradizionale, che è sopravvissuta nonostante il totale disinteresse dei discografici e del mainstream musicale. Un’interessante panoramica di queste forme musicali si può trovare anche sul sito dell’associazione “Taranta” di Firenze (www.taranta.it). In questi ultimi anni c’è stato un forte ritorno di interesse verso alcune di queste musiche. Il caso più eclatante è sicuramente il Salento, ma dinamiche simili ci sono anche nella zona del Gargano (che mantiene una straordinaria tradizione di tarantella poetica eseguita con la chitarra battente), a Montemarano, provincia di Avellino (dove rimane viva una tradizione di tarantelle legate al carnevale), nel (con le tammurriate) e nella napoletanozona calabrese. La Sardegna poi, come sempre caso a parte, presenta una varietà ricchissima di forme musicali a volte molto arcaiche (il canto a tenore, le launeddas, ecc.), ancora praticate diffusamente.
Per inciso, con Salento si intendono le province di Lecce, Brindisi e la parte meridionale della provincia di Taranto (escluso il capoluogo).

Benissimo. Entriamo, ora, nello specifico del nostro discorso e descriviamo la ‘pizzica salentina’.
La pizzica salentina è una forma di tarantella, probabilmente la più arcaica (esistono anche varie forme di tarantella modernizzata: particolarmente nefasta quella tutta frizzi, lazzi e mandolini elaborata a Napoli nell’ottocento a uso e consumo dei turisti). Per secoli -il primo documento che parla esplicitamente di questo fenomeno è della seconda metà del ‘300, ma esistono evidenti analogie con rituali precristiani, e soprattutto con i riti dionisiaci dell’area greca-, è stata usata per curare gli effetti del morso della “taranta”, il mitico ragno che si credeva morsicasse gli uomini e soprattutto le donne facendole cadere in uno stato di prostrazione melanconica, a cui si poteva rimediare solo con la terapia musicale. Per chi volesse saperne di più sul tarantismo pugliese consiglio vivamente la lettura del meraviglioso libro di Ernesto de Martino “La terra del rimorso”, edizioni il Saggiatore 1961.

Puoi descriverci i tratti salienti della terapia?
Si, nel tarantismo si ‘guariva’ seguendo un complesso rituale terapeutico, i cui cardini erano la terapia musicale a casa del “tarantato” (in cui però avevano anche molta importanza altri singolari elementi, come ad esempio i colori dei nastrini attaccati al tamburello che eseguiva la terapia), e il pellegrinaggio finale alla cappella di San Paolo a Galatina (una cittadina del leccese). San Paolo, nella tradizione popolare, era il santo che dava la grazia finale. Emblematici a questo proposito alcuni versi di una pizzica: “Santu Paulu mio delle tarante, pizzichi le caruse a ‘mmenzu ll’anche; Santu Paulu miu de Galatina, famme la grazia a mie e fammela ‘mprima” (San Paolo delle tarante, pizzichi le ragazze fra le gambe; San Paolo mio di Galatina, fammi la grazia e fammela presto).

Hai parlato di tamburello. Quali erano gli altri strumenti necessari?
Naturalmente nel corso dei secoli si sono usati strumenti diversi per la terapia del tarantismo. Uno strumento sempre presente è però il tamburello, che col ritmo serviva a guidare la graduale uscita dalla trance. Comunque la formazione-tipo dell’ultimo gruppo di musicisti che ha eseguito la terapie era: tamburello, violino, chitarra, organetto diatonico.

E oggi? Queste tradizioni popolari sono rimaste intatte oppure è rimasto il solo aspetto artistico?
Il tarantismo -che, non dimentichiamolo, significava dolore e sofferenza- è cessato con la fine della cultura contadina che lo aveva generato, fine decretata dai grandi sconvolgimenti economici e sociali degli ultimi quarant’anni. Oggi ci rimane la musica, e forse anche la voglia di ballare e divertirci in una dimensione comunitaria, protettiva, come sapeva essere quella cultura, a differenza di quanto avviene oggi, in cui, anche nella dimensione del divertimento, siamo spinti sempre di più verso l’isolamento e la solitudine, come per esempio avviene in discoteca, in cui il volume della musica è tale da impedire qualsiasi comunicazione. Con un azzardo, che spero mi perdonerete, possiamo dire che la pizzica, come è stata per secoli un antidoto per i mali dell’anima, può essere oggi un umilissimo antidoto ad alcuni mali della modernità.”

Un ultima curiosità di carattere generale. La musica salentina è ancora un fenomeno di nicchia, per cui il suo raggio d’azione termina nelle aree tradizionali in cui è nata oppure inizia ad essere ‘esportata’?
In questi ultimi anni la musica salentina, e in particolare la pizzica, l’arcaica tarantella che veniva suonata per curare gli effetti del morso della mitica “taranta”, è uscita dall’ambito dell’area geografica in cui è nata ed è stata praticata per secoli, trovando pubblico, estimatori e anche “ripropositori” nel resto d’Italia e, in qualche misura, all’estero (in particolare grazie ai film di Edoardo Winspeare, Pizzicata e Sangue Vivo). Non si contano più i concerti di gruppi salentini, e addirittura a Roma su Radio Onda Rossa va in onda settimanalmente un programma sulla musica del sud e in particolare sulla pizzica, “Tarantula Rubra.

Gli Aramirè sono uno degli ensemble che, oggi, perseguono il cammino artistico tracciato dalla tradizione del tarantismo, nel particolare della musica denominata ‘pizzica salentina’. Parliamo un po’ di loro…
Il gruppo si chiama Aramirè – compagnia di musica salentina ed è composta da Mauro Toma (voce e chitarra), Luigi Chiriatti (voce e tamburello), Alessandro Girasoli (voce e fisarmonica), Anna Cinzia Villani (voce, tamburello e organetto), Roberto Raheli (voce chitarra, violino e flauto), Antonio Castrignanò (voce e tamburelli), Carlo De Pascali (tamburelli) e Raffaele (chitarra e voce). L’ensemble nasce nel 1996 dalla trasformazione del “Canzoniere di Terra d’Otranto”, uno dei primi di riproposta della musica tradizionale del Salento. Finora i dischi pubblicati sono stati due “Opillopillopì Opillopillopà”, auto-prodotto ed edito nel ’96 e “Sud Est”, il primo disco ‘serio’ del gruppo, pubblicato quest’anno, dopo tanti anni di attività dal vivo, dalla Arroyo Records.
Vorrei fare una piccola precisazione: il gruppo musicale è l’espressione parziale di un progetto più ampio, che si pone come obiettivo la valorizzazione della cultura di tradizione orale del Salento. Infatti accanto al gruppo esistono le Edizioni Aramirè (www.aramire.it), che hanno in catalogo, nella collana “Documenti Originali” tre cd di registrazioni ‘sul campo’ di anziani cantori, e “Io al santo ci credo. Diario di un musico delle tarantate”, il diario dell’ultimo musicista terapeuta del tarantismo, morto nel giugno del 2000.

Quale genere di musica proponete, con quale scopo?
Aramirè propone musica del Salento, con la sua specificità. Si suona, appunto, per affermare una cultura, e non solo per divertimento o semplicemente per soldi. Spesso i concerti sono inseriti in contesti in cui si proiettano video, si presentano libri, o si insegnano i rudimenti del ballo della pizzica.

Parliamo un po’ del rito del concerto. Mi sembra di capire che, nei vostri concerti ritorna, ad un livello culturale meno impegnativo, la voglia di ‘purgare le sofferenze’. Spiegaci, dunque, come si svolgono le vostre performance e dove preferibilmente vi esibite.
Il concerto standard comprende un repertorio di canti della tradizione salentina, che non è ovviamente solo fatta di pizziche. Il tutto va avanti per circa due ore. La cosa interessante è che quasi sempre la gente non riesce a stare ferma, perché certi ritmi sono veramente trascinanti, e comincia a ballare. Alla fine del concerto ballano tutti. Tutti è la parola esatta, perché non si prevede un pubblico speciale. Ognuno viene catturato da questa musica, è una sua particolarità.
Per quanto riguarda i luoghi, preferiamo esibirci in posti belli e con una buona acustica, però va bene qualsiasi luogo, come per ogni normale gruppo musicale. Un parte del repertorio si può eseguire bene in acustico, e va benissimo in luoghi tipo le piccole chiese.

Se dovessi convincere qualcuno a venire ad un concerto degli Aramirè, cosa gli diresti?
Si viene ad un concerto degli Aramirè per divertirsi e ballare una musica antichissima ma anche moderna, per la sua capacità di coinvolgere naturalmente tutti. Inoltre si ha la possibilità di venire a conoscenza di un mondo, una cultura altrimenti nascosta, sconosciuta.
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