Identità danzanti e sviluppo delle comunità locali del Salento

di Oscar Gaspari

da Anci rivista, ottobre 2003

recensione del Il ritmo meridiano. La pizzica e le identità danzanti del Salento, Ediizone Aramirè 2002
La “pizzica”, tarantella arcaica che nel mondo rurale della penisola salentina guidava l’esorcismo per guarire le persone morse dalla tarantola, è oggi alla base di un movimento che coinvolge migliaia di persone, giovani in particolare, che ritornano agli strumenti e ai ritmi della tradizione. Non una semplice moda dunque, ma un movimento iniziato intorno al 1990 nei centri sociali dove gruppi di musicisti, come i Sud Sound System, hanno rielaborato elementi della tradizione culturale del Salento avvalendosi di un rapporto mai completamente reciso con la tradizione legata al primo folk-revival degli anni ‘70. Un movimento rafforzato da un secondo folk-revival promosso sempre negli anni ‘90 da nuovi gruppi musicali, dai lungometraggi di Edoardo Winspeare, e che si è affermato in feste popolari e in “eventi spettacolari promossi con ingenti investimenti di risorse da alcune amministrazioni comunali che negli anni, col crescere della ‘febbre della pizzica’, hanno avuto via via sempre maggiore successo”.

L’interesse del volume curato da Vincenzo Santoro e Sergio Torsello risiede nella complessità dell’approccio al movimento che viene approfondito in vari saggi di studiosi di diverse discipline ed in alcune interviste. Tra queste ultime risulta particolarmente interessante l’intervista ad uno dei protagonisti della “pizzicomania”, Sergio Blasi, sindaco di Melpignano, la cui presenza sottolinea ancora una volta il ruolo fondamentale dei comuni nella realtà italiana. A lui Santoro e Torsello chiedono se la riscoperta della pizzica possa portare ad un Salento “da vendere” o piuttosto “da vivere”, risponde Blasi: “Secondo me identità per vivere e per vendere. Salvaguardare la nostra identità vuol dire opporsi alla logica dei villaggi (turistici) che cementificano e distruggono il territorio (…) occorre invece coniugare l’esigenza di vivere in un ambiente curato e salvaguardato nella sua integrità storico-culturale con lo sviluppo economico del nostro territorio, che proprio dalle risorse culturali può avere un potente traino”.

La domanda al sindaco di Melpignano è ricavata dall’intervento di Luigi Piccioni, storico del movimento ambientalista italiano, che nel suo saggio, Salento un patrimonio per vivere, vede nel movimento della pizzica una straordinaria occasione: la riscoperta della musica e della cultura salentina, infatti, non può non collegarsi a quella del territorio a cui esse appartengono. Scrive Piccioni: “al di là della musica, è proprio dal campo del patrimonio naturale e storico-monumentale che possiamo trarre un bell’esempio della divaricazione tra una scelta di ‘vendere’ il Salento che è allo stesso tempo uno sfigurarlo per sempre e un tentativo di ‘vivere’ il Salento che è anche la migliore premessa per venderlo a lungo e bene”.

Tra gli altri articoli risalta quello critico di Giuseppe M. Gala,“La pizzica ce l’ho nel sangue”. Riflessioni a margine sul ballo tradizionale e sulla nuova pizzicomania del Salento. Il suo è il punto di vista di un etno-coreologo che analizza la “pizzicomania” alla luce della ricerca storico-scientifica della propria disciplina e conclude con una proccupazione personale che non può però lasciare indifferenti anche altre categorie di lettori: “preoccupazione principale per l’etnocoreologo è invece quello che resterà nei territori d’appartenenza dei vecchi balli, sopravvissuti talvolta per secoli in forma poco variata (…) L’impatto che il turismo sempre più di massa provocherà nel futuro, a causa della ricerca e dell’offerta differenziata del ‘diverso’ e del ‘pittoresco’, porrà a politici e operatori culturali non pochi nodi da sciogliere”.

Meno polemico, ma simile riguardo alle preoccupazioni rispetto al rapporto tra tradizione e movimento, è il commento che si può ricavare dalle parole dell’etnologa Clara Gallini, allieva di Ernesto de Martino, l’antropologo che nel 1961 scrisse un volume che è oggi una sorta di “bibbia” della “pizzicomania”: La terra del rimorso. Gallini, nell’intervista raccolta da Santoro e Torsello, ricordando il citato libro di de Martino accenna ad una vicenda analoga che riguarda il libro sui Dogon del Mali, Dio d’acqua, dell’etnologo francese Marcel Griaule, e dice: “Oggi non solo non c’è turista che non si porti in valigia questo testo (…) ma gli stessi Dogon conformano le loro pratiche rituali ai modi in cui esse appaiono descritte nel libro”.

Il sociologo Franco Cassano in Danzare contro la solitudine, da parte sua, sottolinea il rapporto tra movimento ed attualità socio-politica, e scrive “la pizzica non è un neocampanilismo regionale, ma una sorta di messaggio generale (…) Appartenere non è una regressione, ma il bisogno di recuperare la nostra differenza non per chiudersi, ma per avere una propria voce nel grande incrocio di suoni e messaggi della comunicazione planetaria”.

E’ forse però nell’articolo di Alessandro Portelli, La memoria della pizzica, dove viene meglio inquadrato il complesso fenomeno della riscoperta della pizzica nel Salento. Portelli, docente di letteratura americana, uno dei maggiori esperti in storia orale a livello internazionale, compie un interessante confronto tra la manipolazione dei serpenti nel Sud americano e il tarantismo del Sud italiano, e scrive: “nel primo si cerca la transe (adorcismo), nel secondo si cerca di uscirne. In tutti e due i casi è funzionale il ritmo e il principio di ripetizione che lo anima”. Portelli sottolinea poi la sostanziale diversità tra il tarantismo originale e quello odierno in nome di una indispensabile onestà scientifica, ma non pone questioni di autenticità: “la taranta è viva e non è morta, ma nessuno può presumere di sapere com’è fatta e dove s’è andata a mettere (…) non possiamo dare senso alla musica senza cercare di darle una funzione nel tempo e nel luogo in cui avviene e con la gente che ci vive”.

 

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