Riflessioni sulla Notte della Taranta 2004

di Vincenzo Santoro

23 agosto 2004notte-della-taranta-2003-melpignano-foto-Sparagna-Ferretti-610x376Anche quest’anno, la riuscita della NdT come evento promozionale (per il Salento, per la pizzica, ma anche per gli amministratori-organizzatori) non è in discussione. La sterminata folla che ha assistito al concerto, la grande copertura mediatica (servizi ripetuti sui quotidiani nazionali e sulle televisioni, comprese Rai e Mediaset), e la risonanza crescente a tutti i livelli fanno della NdT, senza ombra di di dubbio, l’evento centrale dell’estate salentina. Da questo punto di vista, le cose vanno sempre meglio.

Naturalmente, per coloro che attribuiscono ben altro valore che quello semplicemente commerciale alla nostra tradizione musicale, e che spesso

sono direttamente impegnati nel “movimento” (come musicisti, come ballerini, come operatori culturali, etc), non può bastare una valutazione semplicemente basata sulla quantità di presenze o sulla risonanza mediatica. Ci interessa valutare i risultati “artistici” della NdT, anche in relazione al dibattito sull’uso “contemporaneo” delle forme musicali della tradizione. Su questi aspetti cercherò di soffermarmi, analizzandoli nel merito. Naturalmente esprimerò opinioni assolutamente personali.

L’edizione 2004 della NdT ha presentato diversi elementi di novità rispetto agli anni scorsi. Innanzitutto, per la prima volta, la direzione artistica è stata affidata non ad una “star” (o presunta tale) totalmente aliena non solo dalle cose salentine, ma anche più in generale dall’ambiente della “musica popolare” (pensiamo a Joe Zawinul o a Stewart Copeland), ma a un personaggio come Ambrogio Sparagna, che ha un curriculum di tutto rispetto, come etnomusicologo allievo di Diego Carpitella, e come musicista impegnato da anni proprio nel campo della musica popolare. Da questo deriva il secondo elemento innovativo, anche sul piano simbolico, rispetto agli anni passati. Sparagna, fin dall’inizio, ha dichiarato di volersi muovere all’interno dell’alveo della musica popolare, di non perseguire nessun progetto sistematico di “contaminazione” con musiche “altre” (e in particolare con il pop-rock o l’etno-jazz). Certamente un cambiamento significativo rispetto alle edizioni precedenti, il cui il messaggio centrale (oserei dire l’ideologia portante) era che la nostra tradizione musicale, per essere “moderna” e non “archeologica”, doveva per forza pesantemente “ibridarsi” con altro (fino agli esiti un pochino demenziali dell’anno scorso, accentuati nel tour primaverile, in cui Copeland è stato spacciato come un campione della pizzica con tanto di maglietta di Chevanton…).

L’intenzione di valorizzare maggiormente il “locale” ha prodotto l’idea dell’”orchestra popolare”, composta da un gran numero di musicisti salentini (alcuni anche giovanissimi), che ha avuto il compito di rielaborare, utilizzando strumenti prevalentemente acustici, un cospicuo numero di canti tradizionali per il concertone finale. Anche nella scelta del repertorio Sparagna – forte anche della sua competenza etnomusicologica – ha portato una ventata di aria fresca. Finalmente il ricchissimo patrimonio della musica salentina è stato esplorato al di là dei soliti dieci pezzi che i gruppi di riproposta eseguono fino allo sfinimento, e al di là della specifica pizzica-pizzica, a cui è stato dato uno spazio tutto sommato limitato (tre pezzi). Infine, si è avuta l’accortezza di prevedere un tempo di preparazione dello spettacolo molto maggiore degli anni scorsi, dove invece i “grandi esperimenti” di contaminazione venivano elaborati in pochi giorni di prove (con i risultati che sappiamo).

L’arrivo di Ambrogio Sparagna quindi, anche al di là delle dichiarazioni “continuiste” degli organizzatori, ha segnato una significativa svolta “culturale” per la NdT, peraltro auspicata da molti, che non vedevano di buon occhio gli eccessivi ammiccamentialla world-music più commerciale delle ultime edizioni. Queste premesse davano ulteriori elementi di interesse al concertone del 21 agosto, che (a mio avviso, naturalmente) ha avuto un esito controverso: per certi aspetti è stato all’altezza delle aspettative, per altri non è risultato assolutamente convincente.

Sparagna ha scelto un approccio soft, molto attento alla fruibilità dei brani e alla utilizzazione di tutti gli apporti disponibili. Per quanto riguarda gli arrangiamenti, pur non rispettando quasi mai la struttura melodica degli originali, si è mosso su linee molto “tradizionali”, orecchiabili e immediate. In molti casi, si è limitato a “smontare“ i brani originali in strofe o insiemi di strofe, e a inserire degli intermezzi strumentali (mai particolarmente originali, a dire la verità). In prevalenza poi i pezzi hanno avuto un andamento in crescendo, o per il ritmo, o per l’intensità musicale. Questa impostazione ha fatto in modo che le esecuzioni avessero un notevole impatto sul pubblico (Sparagna, per lunga esperienza, è un sapiente conoscitore delle dinamiche dello spettacolo popolare dal vivo), ma anche che ci fosse, alla lunga, una certa ripetitività, forse inevitabile, vista la lunghezza dello spettacolo. Stranamente, molte volte gli intermezzi strumentali hanno assunto forse dei toni un po’ troppo “irlandesi”, alla Modena City Ramblers (per esempio in Diaviche, Cecilia, Aremu Rindineddha, La Zita, Orriamu Pisulina). Come nota stonata, purtroppo in continuità con le edizioni precedenti, la presenza di ben tre batterie, che tendevano a coprire tutte le altre percussioni più deboli e a uniformare il suono.

All’interno del concerto sono stati inseriti, anche qui con molta accortezza e discrezione, gli ospiti, salentini e non. Zimba, come al solito, è stato esplosivo, sia nei pezzi di apertura, sia nella coinvolgente Tarantella brindisina eseguita di Mimmo Epifani. Di Giacomo ha cantato un’interessante versione di Su rrivato a San Frangiscu, che abbiamo imparato dalla voce del grande Uccio Bandello. Risultato molto distante dall’originale, ma non disprezzabile. Franco Battiato (che ha suonato gratis, a conferma del grande appeal che esercita questa manifestazione) ha eseguito, con l’eleganza che lo contraddistingue, due pezzi, Quannu te llai la facce la matina e Damme nnu ricciu (che l’arrangiamento ha completamente stravolto, facendo perdere la straordinaria intensità dell’originale). Gianna Nannini poi si è prodotta in una gradevole e “sincera” versione di Fimmene fimmene. Infine molto interessante è stata l’esecuzione della pizzica di Angelo Cordella col nipote (che presentava chiari riferimenti ad alcune tarantelle dell’area lucana), conclusasi con un’interminabile serie di assoli dei molti tamburellisti dell’orchestra.

Naturalmente, in un concerto di quasi quattro ore (con 33 pezzi + bis) alcune cose hanno funzionato bene, altre meno, altre sono state decisamente pessime. Ad esempio, mi ha colpito particolarmente la versione de L’aria de lu trainieri, molto d’atmosfera, che univa degli arrangiamenti densi di echi mediterranei alla splendida parte vocale di Antonio Castrignanò. Su timbri meno convincenti la seconda voce di Emanuele Licci, che invece mi è parso più a proprio agio sui pezzi meno “tradizionali”. Mi sono sembrati poco riusciti in particolare quattro pezzi: Scusati amici cari (tratta dalle registrazioni Lomax-Carpitella del ’54), arrangiata in maniera discutibile e cantata malissimo, le versioni tipo musical de La cecilia e de Le tre sorelle (ma i cantanti hanno mai sentito il cd degli Ucci o le registrazioni della Simpatichina?) e la terribile versione fracassona e sguaiata de La Zita (brano a cui sono particolarmente legato, perché tratto dalle registrazioni di Giovanna Marini che abbiamo appena pubblicato…).

E qui veniamo a quello che io considero il problema fondamentale, che sono le voci. Come anche Sparagna ha avuto modo di ribadire più volte in questi giorni, quello che caratterizza in maniera determinante la nostra musica di tradizione è la vocalità. Un qualsiasi discorso musicale sulla tradizione salentina, che sia etnico, purista, contaminatore, folklorizzante, etc etc non dovrebbe prescindere dalla vocalità (e quindi dalla polivocalità). Ora, nonostante le dichiarazioni di principio (“quest’anno al centro ci saranno le voci…”) anche in questa edizione le parti vocali non sono state all’altezza del presunto “ritorno alla tradizione”. C’è chi ha cantato come a Sanremo, chi come pensa che cantino in Irlanda, chi con una voce che potrebbe andar bene per la musica nera americana ma assolutamente inadatta alla nostra tradizione, chi ha stonato proprio (diverse volte, alcune in maniera clamorosa). Solo in pochi casi si sono sentite delle cose veramente all’altezza (su tutte, mi sembra, la prodigiosa giovanissima Alessia Tondo e Antonio Castrignanò). Nella maggior parte dei casi le controvoci e i cori erano più da musica leggera (molto leggera) che da musica salentina. L’unico canto alla stisa provato era appena accettabile (però almeno non hanno stonato come l’anno scorso). E il lavoro di Sparagna, così incisivo sulle parti strumentali, qui non ha avuto esiti significativi.

Ci sarebbe da interrogarsi sul perché nel Salento abbiamo tanti buoni strumentisti (e una quantità incredibile di tamburellisti) ma continuiamo a avere molti problemi sulle voci (a differenza di quanto avviene in altre zone, come la Sardegna). Per esempio: come mai nessuno dei nostri “musicisti” professionisti riesce a cantare come Uccio Aloisi, contadino analfabeta povero in canna di 75 anni? Questioni genetiche? O è che noi siamo “diversi” e non “possiamo” cantare come loro? Ma già ho scritto troppo, magari rimandiamo a successivi approfondimenti questa discussione.

La NdT 2004 ha quindi rappresentato, con la direzione artistica di Ambrogio Sparagna, una significativa inversione di tendenza. Per la prima volta, si è voluto dimostrare che si può fare un grande spettacolo “moderno” anche muovendosi all’interno della “grammatica” della musica popolare, senza additivi “esterni”, senza fare esperimenti “transgenici” (per capire cosa intendo per “transgenico” ascoltatevi il cd della NdT 2003, e state bene attenti a quello che è successo veramente sul palco l’anno scorso e a quello che risulta dalla registrazione “dal vivo” dell’evento…). Da questo punto di vista lo spettacolo è stato un successo, che speriamo rassicuri gli organizzatori, così preoccupati dei rischi della deriva “purista” e “archeologica” della nostra musica di tradizione. Sul piano più strettamente musicale, l’esito è stato controverso. Certo, considerando quello che hanno combinato nelle edizioni passate (e specialmente nel nefasto esperimento con CosmaCopeland), ci potremmo ampiamente accontentare. Se invece consideriamo il concertone finale semplicemente come un progetto musicale, con particolare attenzione al rapporto con le fonti originali (ma in quanti siamo a conoscerle? Questo è un altro problema delicato…) possiamo dire che di strada da fare ne abbiamo ancora tanta tanta.

Concludo con due ultimi spunti critici e con una proposta (provocatoria). In primo luogo, il problema della “rappresentazione”. Perché continuiamo a raccontarci (e a raccontare in giro) che un grande concerto con una grandissima amplificazione è in diretta continuità con il tarantismo e che le persone che vanno a un concerto sono “tarantati” (dall’apertura del tg1 di ieri: “L’antico rito della possessione si ripete anche quest’anno a Melpignano…”)? A chi giova questa continua confusione, che peraltro è un’offesa a chi in passato il tarantismo – che era una cosa terribile – lo ha subito veramente?

In secondo luogo, un problema di politica culturale e di destinazione di risorse pubbliche. Va bene spendere diverse centinaia di migliaia di euro ogni anno (quest’anno pare siano 250.000, meno dell’anno scorso) per un grande evento, ma tutto il resto, le cose che magari non producono interviste sul tg1 ma che sono essenziali per la conservazione e la conoscenza critica del nostro patrimonio etnomusicale ? La ricerca, le pubblicazioni (che finora sono lasciate all’iniziativa di privati)? E l’archivio sonoro (per cui l’Istituto Carpitella è nato)? Da anni poniamo queste domande, non abbiamo ancora ricevuto risposte.

Infine la provocazione (che spero non venga confusa col campanilismo). Non siamo ormai abbastanza grandi per una direzione artistica salentina? Mi si dirà: “E chi potrebbe essere?” Risposta: i Sud Sound System!!! Sono stati i primi riusare con orgoglio nella contemporaneità il nostro dialetto, contaminano parecchio ma di solito molto bene, sono attentissimi alle tematiche sociali, amano alla follia la loro terra, fanno cose godibilissime dal vivo, e sicuramente un loro progetto avrebbe un grande consenso, riunificando le due grandi famiglie della cultura popolare salentina, quella della pizzica e quella del ragamuffin…

Perché pizzicata.it non lancia una campagna per la direzione artistica della NdT 2005 ai Sud Sound System?

Fuecu intra sta casa!!!!!!!

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