Salento, riemerge l’antico canto popolare

Libro e cd su de Martino e Carpitella

Quando tra il 1959 e il 1960 alcune procedure di indagine e documentazione etnoantropologica in Italia erano ancora sconosciute, Ernesto de Martino e Diego Carpitella raccolsero, in due campagne di ricerca nel Salento, per conto del Centro nazionale di Studi di musica popolare, la più ampia e articolata documentazione sonora sulle musiche del tarantismo. È ben vero che in precedenza, nel 1954, lo stesso Carpitella e il suo collega statunitense Alan Lomax avevano effettuato ricche ricognizioni in tutto il Mezzogiorno e nella nostra regione; ma i frutti successivi, maturati all’ombra dello studioso napoletano, irrompevano sulla scena italiana in una temperie tutta nuova e molto più motivata e appassionante. Oggi questi materiali sonori, rimasti per quasi mezzo secolo in grandissima parte inediti, vengono pubblicati per la prima volta in due cd allegati a un volume a cura di Maurizio Agamennone. Il libro, Musiche tradizionali del Salento. Le registrazioni di Diego Carpitella ed Ernesto de Martino (1959, 1960) (Editore Squilibri, euro 23), contiene un saggio di Eugenio Imbriani, la trascrizione dei testi poetici cantati e le fotografie realizzate nel corso delle due spedizioni da Carpitella. Insomma, una pubblicazione da non perdere che, per la sua importanza, è stata sostenuta dal comune di Galatina, dalla Provincia di Lecce, e gode altresì dell’imprimatur di Santa Cecilia che ha fornito la materia prima. Le raccolte 48 e 53 di quelli che attualmente sono divenuti gli Archivi di Etnomusicologia dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, oltre a testimoniare espressioni musicali ormai scomparse dalla prassi esecutiva, forniscono uno specimen significativo del far musica nella cultura contadina, della ritualità del ciclo nascita/morte, del lavoro e della danza. Ciò che soprattutto spicca è la radicazione della terapia musicale del tarantismo: in tale fenomeno i due studiosi individuarono gli esecutori più rappresentativi fra i quali il violinista-barbiere Luigi Stifani e la tamburellista e cantante «Za Tora» Marzo, documentandone le tecniche come in seguito non è stato più possibile. Il repertorio 48 costituisce il corredo sonoro dell’indagine demartiniana del 1959 a Nardò, Muro Leccese e Galatina sfociata poi in La terra del rimorso; mentre il 53, esteso anche alle località di Giuggianello, Matino, Sanarica, Taviano e Ruffano, pur conservando tracce profonde di una persistente attenzione verso il fenomeno del tarantismo, ha un carattere antologico, rappresentando generi e modi performativi molto diversi, dai canti di lavoro al lamento funebre. Inoltre, con la loro qualità acustica molto alta, esito di adeguate registrazioni in presa diretta e di una corretta conservazione, le due raccolte segnarono anche una svolta decisiva nell’orientamento della ricerca etnomusicologica. Prima delle due campagne salentine, infatti, alcuni eventi e comportamenti risultavano descritti e documentati per lo più nei rapporti etnografici o nei racconti dei viaggiatori; per cui la loro validità era affidata esclusivamente alle intenzioni e alla credibilità degli stessi osservatori. Nel corso delle spedizioni guidate da Carpitella e de Martino, invece, eventi e comportamenti furono rilevati e fissati stabilmente in fonti esterne all’osservatore (il fotografo-etnografo) e all’ascoltatore (1’etnomusicologo); pertanto le fonti riproducevano fedelmente l’evento mantenendo inalterato, nel tempo e nell’iterazione della fruizione, la propria coerenza, congruenza e stabilità documentaria. I documenti sonori pubblicati nel volume costituiscono dunque una fonte imprescindibile per la storia culturale del Salento che tende oggi a presentarsi e a raccontarsi come una regione a spiccata vocazione musicale, con il recupero di elementi del passato in quanto segni identitari e la trasformazione degli autorevoli depositari in vere icone viventi all’interno di eventi di grande rilevanza mediatica ed enorme seguito di pubblico. Ma, come è noto, questi stessi elementi rischiano di perdere il loro vecchio profilo nonché l’originario significato. Questi rischi, ben noti ad Agamennone, che per alcuni anni è stato sapiente direttore artistico della celeberrima «Notte della Taranta» di Melpignano, sono oggi provvidenzialmente evidenziati agli operatori culturali – ma anche agli studiosi e al pubblico degli appassionati – da un’edizione impeccabile e davvero utile che inaugura una collana benemerita e di alto valore scientifico.

tratto da La Gazzetta del Mezzogiorno
di Gino L. Di Mitri
pubblicato il 19/04/2005

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