La nuova sfida: più turismo di qualità, meno cemento
Qui il giorno, ogni giorno che il buon Dio manda in terra, comincia prima che nel resto d’Italia. All’alba questo è il primo lembo della Penisola illuminato dal sole che sorge.
Proteso sulle acque del basso Adriatico, Capo d’Otranto è la punta più orientale della Penisola, dista appena 35 miglia dalla costa albanese e, quando l’aria è più tersa, dal litorale si può avvistare all’orizzonte il profilo delle montagne oltre Valona. Da queste rocce, i rapaci che arrivano a riposarsi da Nord Africa spiccano l’ultimo volo nella migrazione verso i Balcani. E proprio da qui, dal cuore del Salento, la terra di Puglia a cavallo fra le provincie di Lecce, Brindisi e Taranto comincia il nostro viaggio nella “bella Italia”, l’Italia da salvare, un patrimonio di ricchezze naturali che costituiscono tuttora la nostra risorsa principale per valorizzare l’ambiente e sostenere l’industria del turismo.
Appena superata Otranto, l’incantevole Baia dell’Orte è delimitata dal faro di Palascia costruito nel 1864 e ormai in disuso, recentemente restaurato per ospitare un museo multimediale del mare, una stazione di biologia marina e la sede dei campi scuola organizzati da Legambiente. Istituito da una legge regionale alla fine dell’anno scorso, il Parco di Otranto e Leuca aspetta ancora di essere “messo a regime”, come dice la burocrazia, cioè in pratica di cominciare a funzionare con tanto di sede, strutture e personale. Tant’è che il sabato pomeriggio su queste strade infuriano le gare in motocicletta di improvvisati centauri.Ma ora l’obiettivo degli ambientalisti è quello di trasformare in riserva marina l’intero tratto di costa, il più ricco di grotte e cavità nell’Italia continentale, un autentico paradiso per i sub e gli appassionati di snorkeling: anche per impedire che a furia di martellare gli scogli per raccogliere datteri di mare, prima o poi vengano distrutte la flora e la fauna.
Il tacco dello Stivale è la penisola della Penisola. Dal faro di Palascìa all’isola di S. Andrea, la stradache collega Otranto e GAllipoli è lunga soltanto 45 chilometri. Da una sponda, si può ammirare l’alba sull’Adriatico; dall’altra, il tramonto sullo Jonio. «Il Salento – dice Elio Paiano, presidente del circolo cittadino di Legambiente, giornalista free-lance e cultore delle tradizioni locali – è più mare che terra. E perciò, il nostro ambiente va prima salvaguardato e poi valorizzato».
L’industria del turismo produce ora un reditto di 50-60 milioni di euro all’anno. Ma non è certamente con uno sfruttamento intensivo, con la cementificazione della costa, con i mega-villaggi o con le villette più o meno abusive, che si può pensare di incrementare ulteriormente questa risorsa. Qui lo sviluppo è affidato a un modello alternativo, rispettoso innanzitutto della natura e del paesaggio, ma capace anche di alimentare l’agricoltura biologica e si esaltare il patrimonio storico e culturale.
Nell’azienda “Torre S. Emiliano”, di proprietà della famiglia Negro, si producono “formaggi della Terra d’Otranto”, tanto artigianali che cambiano sapore in base alle erbe di cui si nutrono le pecore stagione per stagione. Trent’anni fa questa attività era caduta in desuetudine. Fino a quando il cpostipite decise di reclutare gruppi di pastori sardi che ora si alternano nel lavoro, in campagna e nel caseificio, allevando in proprio anche un pò di cinghiali importati dalla loro terra d’origine.
Verso la costa, su un’estensione di cento ettari che degrada fino al mare, l’azienda agro-turistica di Rocco Brescia produce olio e ortaggi biologici, cura il rimboschimento della pineta e ospita un campeggio naturalistico. Ma è il sottosuolo a nascondere il tesoro più prezioso: le Grotte dei Cervi, il sito neolitico più importante d’Europa, tre chilometri di caverne e cunicoli con una galleria di antichissimi pittogrammi, disegni figurativi e simbolici, che appartengono all’età della pietra. Finora, però, sono stati ammirati e ritratti soltanto dagli speleologi, senza trovare il modo neppure di riprodurli in una mostra permanente di foto o di ologrammi.
Un’altra industria fiorente, in grado di generare da sola un reddito equivalente a quello del turismo, è la coltivazione e la vendita delle “barbatelle”, le piante-madri dei vitigni. Chi voglia impiantare una vigna, di qualsiasi tipo e caratteristica, deve scegliere tra il Salento, la Toscana o la Sicilia. Anche qui, intanto, le imprese vinicole locali hanno progressivamente abbandonato una produzione di quantità per puntare sempre più sulla ricerca e sulla qualità, con bianchi e rossi doc destinati in buona parte all’esportazione.
Poco più avanti, si apre sulla costa l’insenatura di Porto Badisco, un fiordo in miniatura, detto “l’approdo di Enea”, dove Virgilio immaginò il primo sbarco dell’eroe troiano. Solo che ora la leggenda si è ridotta all’insegna di un ristorantino sul mare, oggetto di denunce, ricorsi e controricorsi, per ampliamenti in sospettodi abusivismo. Nel frattempo la deliziosa spiaggietta, abbandonata a se stessa, viene ripulita periodicamente dai volontari delle associazioni ambientaliste.
In un entroterra impreziosito da palazzi e chiese in stile barocco, tra Giurdignano e Giuggianello, il Salento custodisce anche un vasto campionario di architettura preistorica: un centinaio tra menhir e dolmen, cioè steli e altari di pietra, che risalgono al XII secolo avanti Cristo. Nel corso del tempo, questi simboli pagani sono stati, per così dire “cristianizzati” con l’incisione del segno della croce, l’accopiamento blasfemo a un crocifisso o l’aggiunta di una piccola cripta, fino a dedicarli a queso o a quel santo per riceverne la protezione. Ma non è raro vedere un menhir spuntare all’improvviso nella piazza di un paese o addirittura sulla veranda di una abitazione, quando proprio non campeggia all’interno delle case costruite intorno a queste antiche sculture come intorno a un totem o a una reliquia.
Nel centro della penisola della Penisola, sopravvive poi un’isola etnica e linguistica che si chiama Grecìa, con l’accento sull’ultima sillaba, testimonianza vivente di un flusso migratorio che nella storia ha attraversato questa terra come la “Porta d’Oriente”. É una comunità di dieci centri, con una popolazione complessiva di circa 50mila abitanti, che coltivano un’eredità storica e culturale, e perfino un dialetto, tramandati di generazione in generazione. Alcuni paesi hanno nomi di origine chiaramente orientale, come Calimera o Sternatìa. Altri come Melpignano, la piccola capitale della Grecìa, hanno in comune la stessa desinenza. É qui che ogni estate, a cavallo di Ferragosto, si celebra la suggestiva Notte della Taranta, un festival di musica e danza popolare che si richiama al mito esorcistico del ragno velenoso e attira migliaia di turisti da tutta Europa: non a caso, come racconta con una punta d’orgoglio il sindaco, Sergio Blasi, un bibliotecario eletto nelle liste dei DS, dal ’98 a oggi i posti-letto in paese sono saliti da quaranta a mille. Anche la Grecìa salentina, incastonata nel tacco dello Stivale, è un piccolo pezzo di questa Italia da salvare.
tratto da la Repubblica
di Giovanni Valentini
pubblicato il 06/06/2005