Mauro Marino «legge» l’evento del Salento «ritrovato»
Voci al servizio, nessuna eccedenza, sobrietà di presenze e forte tensione alla missione data: far festa alla Notte. Tutto «in alto» nell’arrangiamento, sottile e fine nella valorizzazione delle attitudini vocali ed esecutive. Per questo grazie Ambrogio, maestro-giullare d’una compagnia «densa», dove il senso intimo della cultura matrice trova respiro contemporaneo. La lingua, il nostro canto, che sorge e risorge, come morso e rimorso, sconta il tempo e la sua gloria nel confronto con la grande tradizione della canzone popolare mediterranea ed europea. Questa è l’esperienza della Notte della Taranta. Occasione, spunto di crescita e di consapevolezza. Non sono ammesse critiche e riduzioni di fronte a questo volume di suono e di coralità, alla danza che ruota sul palco a braccia larghe, che accoglie energia, la svolge e la dona in amore. «Nel mezzo del cammin di nostra vita», questa «selva oscura» ha necessità di riconsiderare ciò che è perso, ciò che è rimosso nell’epoca lunga dell’egoismo economico. Epoca in disfacimento, in affanno valoriale, in caduta, che solo nel nutrimento delle culture può trovare risorgenza, motivi ideali, dinamiche relazionali capaci di liberare quegli intimi nessi che coniugano critica sociale e speranza. Che cos’è un canto, una danza, se non la poetica che muove dal corpo per darsi motore di cambiamento? Chi sottrae deve spiegare quale energia è in grado di attivare in favore della crescita territoriale, in qualità e in spettro capace di muovere l’esperienza in divenire, di offrire qualità di confronto e di maieutica viva. Questo è nel rapporto tra il concertatore e l’ensemble. Questo tra la «loro» musica e il pubblico. Melodie e ritmi in assonanze che sollecitano e smuovono la voglia dell’osare, del mischiarsi, del meticciarsi. Il desiderio della conservazione del «purismo» deve, nel confronto con la contemporaneità, saper modificare traiettorie e finalità, centrare la comunicazione per farla efficace, essenziale e significativa. Questo era il compito creativo di un cantore antico, lo stesso di un giovane musicista che diviene oggi interprete di tradizione e coniuga sensibilità musicali differenti per portare sé al mondo. Non sono ammesse critiche a chi con il lavoro costruisce la maturità di una scena, che non è solo della pizzica e della canzone tradizionale. Nella stessa sera a Siena, i Negramaro presentano un progetto dedicato a quella città, in un festival che ha come direttore artistico Mauro Pagani; la tournèe nazionale dei Sud Sound System è interrotta per la loro presenza sul palco di Melpignano; mentre per due anni consecutivi la canzone d’autore salentina è stata premiata al Tenco (Alessio Lega e Sud Sound System). E’ la musica il traino, la musa che più ispira questo scoglio che sappiamo Terra d’Otranto. In gamma larga di voci che si costruiscono insieme e in autonomia, nel lavoro sottile del cercare, del crescere contatti, nel provarsi quotidiano. Dove il «femminile» passa il testimone dal dolore tarantato all’orgoglio che canta e muove, nell’accordo di voci che sanno per intero ciò che è stato, ciò che è da pagare al riscatto di quella malinconia portata a terra nello sbattimento del ballo. Spieghi, chi sottrae, come fare a scazzecarne ottantamila, senza i mantici d’organetto e i tom della batteria che inseguono il sibilo dei sonagli. Solo così la figghia te lu re può scampare al suo destino di morte per alzarsi dal suo incedere di lamento, per farsi grido nella voce ritrovata al Salento di Pino Ingrosso. Una canzone che sorge nel riscatto del cuore, nell’incinta del divenire, del farsi della novità d’una «amara terra» che sempre ha coltivato poesia e qualità di sentire. Un femminile voce e coro, la pizzica della leggerezza, dell’incanto mai formalizzato, libero nel confronto con le tensioni di altri modi «tamurriati», trattenuti e sempre estremamente figurati. Qui sta il senso della qualità culturale del Salento, la sua cifra, la sua particolarità. Leggerezza dell’affidarsi e del darsi, del a chi ci vuole male? io gli voglio bene (Pino Zimba), del beddru è l’amore e ci lu sape fare del tarantolato Don Rico, che con difendila, la terra è toa, amala e difendila riporta nella «campagna salentina» il battere d’un cuore capace di lotte. Il maschile del «rispetto» e «delli massicci» oggi è il Sud che ha fatto Sistema con il Sound, in difesa del territorio, nelle parole che cantano trovando la forza di atti capaci di farsi carico del futuro nel suo pieno di bellezza e di possibilità.
tratto da la Gazzetta del Mezzogiorno
pubblicato il 29/08/2005