Il mio disco nel nome di Di Vittorio

di Claudio Gabaldi
dal Corriere del Mezzogiorno dell’8 febbraio 2006

Il musicista foggiano al lavoro su “Calasole” s’ispira all’epopea bracciantile del Tavoliere

I campi di cotone della Virginia come le distese di grano del Tavoliere: entrambi culle di un’arte nata dalla fatica più ingrata. Dai primi è nato il blues, e quindi il jazz; dai secondi sono nati i ritornelli plebei, dolenti e, molto più raramente, ribelli. Ritornelli che, in parte, hanno fatto da colonna sonora agli scontri di classe nelle campagne pugliesi, quando i “descamisados,” di Cerignola e dintorni sfilavano dietro l’effigie di Giuseppe Di Vittorio. A quei canti, a quelle storie, a quel capopopolo si ispira oggi il musicista foggiano Umberto Sangiovanni; che, guarda caso, compone prevalentemente in stile jazz. Autore ed esecutore, insieme alla Daunia Orchestra, del cd La controra, uscito qualche anno fa, Sangiovanni adesso si accinge ad entrare nuovamente in sala d’incisione per registrare Calasole, una raccolta di musiche dedicate al microcosmo dei braccianti. A sostenere l’iniziativa, che nasce sotto l’egida di RaiTrade, anche la “Casa Di Vittorio” di Cerignola: un insieme di progetti culturali in memoria del sindacalista che di Cerignola era originario. “L’idea mi è venuta – dice Sangiovanni al Corriere del Mezzogiorno – leggendo i testi raccolti da Giovanni Rinaldi e Paola Sobrero nel libro La memoria che resta. Si tratta di canti di lavoro, ma non solo di lavoro, che contadini e braccianti intonavano all’epoca in cui era vivo Di Vittorio. Io li ho rimusicati aggiungendo anche brani strumentali”.

Qual è la provenienza di quei canti?
Cerignola e San Severo. Ma non si tratta di provenienza certa. Ci sono sicuramente commistioni, perché i braccianti, alla ricerca di un ingaggio, si spostavano continuamente. E così come i braccianti li rimaneggiavano, adattandoli anche alle diverse circostanze di vita, io cerco di adattarli alla mia musica.

E che cosa ne vien fuori?
Qualcosa che definirei popular-jazz. Io sto lavorando su un suono etno jazz; ma decisamente più vicino al jazz che all’etno. Del resto, il mio quartetto è composto da un contrabbasso (Marco Siniscalco) un sax soprano e un clarinetto (Simone Salza), una batteria (Massimo D’Agostino) e un pianoforte, suonato da me. Tutto molto acustico.

Chi canta?
La stessa cantante che mi ha accompagnato in La controra: Rossella Ruini. E’ fiorentina, ma ha imparato ad esprimersi in foggiano.

I testi cosa dicono?
E’ inutile cercarvi una struttura elaborata. Comunicano più che altro emozioni. Se vogliamo, possiamo definirli ermetici: con tre o quattro parole aprono lo spaccato su un mondo. ‘U sol adda calà, ad esempio, è una frase che ha già un suo suono poetico. In sottofondo, però, domina l’amarezza. Anche quando si parla d’amore, la nota dolente non manca mai.

Per esempio?
C’è Maddalena, una canzone in cui il fidanzato chiede alla donna di non andare a lavorare, perché, in cambio di 350 lire al giorno, si consuma, sfiorisce. Amore, tenerezza ma con la fatica sempre sullo sfondo: è una delle contraddizioni della nostra terra. Un’altra è proprio nel titolo dell’album: Calasole. Un momento sognante, quello del tramonto: ma il sole cala su campi di sofferenza. E’ una suggestione magica e terribile allo stesso tempo”.

E’ tutto così tenero, sfumato e struggente?
No, c’è anche un brano durissimo. Nasce dai versi di Michele Sacco, poeta-bracciante di Cerignola: Dint’a ‘sti camp, semp’assiccat a gula maja…. E’ il lamento di un bracciante che non può avvicinarsi alla bottiglia dell’acqua, perchè glielo impedisce il sovrastante, il guardiano armato di frusta”.

Non è la stessa scena cantata da Matteo Salvatore in Lu sovrastande, appunto?
Sì. E pensare che tutto questo accadeva davvero, ai primi del Novecento, fa rabbridivire.

Ma Di Vittorio che cosa c’entra?
Di Vittorio amava la musica. Lo ricordano gli stessi braccianti, nelle loro testimonianze. Dicono che li invitava a fare le serenate alle fidanzate, a cantare. Considerava la musica un respiro di vita per quella gente; e voleva che li aiutasse ad elevarsi. Poi Di Vittorio fu anche protagonista di sonetti che ne cantavano le gesta.

E nel cd come entra?
C’è un brano strumentale, Peppì, dedicato a Di Vittorio. Ma, al di là del brano, Di Vittorio è stato il punto di partenza e quello di arrivo per questo lavoro: perchè questi canti fanno capire quali fossero le condizioni di vita nelle campagne; e l’esperienza Di Vittorio ci ha aiutato a capire come quelle condizioni sono cambiate.

Quanti brani conterrà il Cd?
Dodici. E al momento ne ho composti undici. Non tutti di origine bracciantile. Due sono di estrazione tradizionale. C’è la Montanara, che è poi il nome autentico di quella che è arcinota come Tarantella del Gargano. E poi una ninna nanna di Monte Sant’Angelo, con la quale richiamo il dramma dei bambini. All’epoca di Di Vittorio anche loro, i piccoli, venivano ‘venduti’ per essere utilizzati nel lavoro dei campi. Tornavano a casa, e quando non c’era niente da mangiare le madri cantavano loro una ninna nanna.

E il dodicesimo brano?
Vorrei rifare in versione strumentale un pezzo meraviglioso di Matteo Salvatore: Lu bene mio. E’ molto originale dal punto di vista musicale.

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