Lo sguardo libero di Gabriele Torsello Kash

Lo sguardo libero di Gabriele Torsello Kash
di Michela Santoro

Alessano, 3 novembre 2006. C’è grande agitazione in paese, una gioia trepidante e incontenibile per la notizia più attesa, la liberazione di Gabriele Torsello, in arte Kash, dopo un lungo sequestro in Afghanistan. La notizia rimbalza dalle radio alle televisioni, dai siti internet agli sms, di bocca in bocca. La gente, di solito reticente alla facile euforia, si ferma a chiacchierare sorridendo in piazza, nei bar, al supermercato, ci sono tante cose da dire, da commentare, e un lungo sospiro di sollievo da tirare. I giornalisti vanno a caccia di interviste e infilano telecamere e microfoni dappertutto pur di catturare il clamore privato e popolare dell’evento. Una piccola folla si raduna davanti al cancello di casa Torsello sul corso principale del paese, dove vivono i genitori di Gabriele, e le auto dei passanti procedono lentamente per scrutare l’umore della gente che sosta ai bordi della strada, il viavai delle autorità che sfilano in pompa magna, l’esuberanza bonaria delle forze dell’ordine che tengono a bada i curiosi, forse è successo qualcosa, forse l’incubo è finito. Dalle inferriate che circondano la storica villa di famiglia, penzolano ancora i vessilli di solidarietà e vicinanza ai familiari portati dai cittadini, dagli amici e da associazioni di tutta la provincia, in un continuo pellegrinaggio, nei 23 lunghi giorni dell’attesa e dell’apprensione per la sorte del fotoreporter rapito in Afghanistan: striscioni, magliette e cartelli con lo slogan “Liberate Gabriele Torsello Kash!”. Qualcuno li toglie, oppure corregge le scritte. L’incubo è davvero finito.
Eppure, prima del sequestro che, suo malgrado, l’ha portato alla ribalta delle cronache internazionali, non tutti in paese conoscevano Gabriele, dal carattere schivo e riservato, che è nato e ha vissuto ad Alessano fino ai vent’anni per poi partire e intraprendere un mestiere tanto difficile e pericoloso, quello di fotoreporter freelance – cioè indipendente, cioè non protetto da nessuno – nelle zone più remote e “critiche” del pianeta. In pochi sapevano che Gabriele, tra il 1994 e il 2002, ha attraversato il Kashmir in lungo e in largo, a documentare gli orrori di un sanguinoso conflitto che vede quel paese conteso tra Pakistan e India, e a testimoniare con le immagini, le indicibili sofferenze delle popolazioni civili, vittime sacrificali di tutte le guerre. Bambini dilaniati nel fisico e nell’anima, donne e uomini umiliati dal dolore e dalla miseria, macerie di città cancellate nell’indifferenza dei media e delle potenze mondiali. L’obiettivo del reporter ha ritratto il tragico e il quotidiano di queste “esistenze”, restituite all’attenzione del mondo, in bianco e nero, con toni limpidi e caravaggeschi, come avvolte da un’aura di muta sacralità. Un’esperienza, quella nella piccola regione indiana, che ha sicuramente segnato profondamente la sensibilità di Gabriele, tanto da portarlo ad assumere lo pseudonimo di Kash, che nel circo barnum dei media “ufficiali”, si distingue come un marchio, una garanzia di etica dello sguardo. Le immagini e il diario di viaggio in Kashmir sono stati anche raccolti in un libro “The heart of Kashmir”, pubblicato con Amnesty International nel 2002.
Gabriele è stato poi in India, Nepal, Albania, Libia sempre solo, con la sua macchina fotografica, sempre ad insinuare lo sguardo nel cuore delle guerre, nei territori dove le verità della Storia si nascondono o meglio si mostrano senza che nessuno abbia interesse a raccontarle. E poi, il viaggio in Afghanistan nel 2005, con un reportage sulla situazione sociale e sanitaria del paese: la condizione delle donne ritratte in un centro di prevenzione medica, giovani atleti mutilati che giocano a calcio, la storia della piccola Shabana, affetta da una grave malattia e curata grazie agli aiuti dello stesso Kash.
In Afghanistan, Gabriele ci era ritornato nell’agosto di quest’anno, nella parte sud del paese, teatro degli scontri più sanguinosi, e aveva appena finito di documentare le conseguenze dei bombardamenti della Nato sulla città di Musa Qala, quasi mai riportate dalle cronache giornalistiche ufficiali, prima di finire nelle mani di un non ancora ben identificato gruppo di criminali afgani.
Dopo giorni di ansia e timori per la sua incolumità, Gabriele è stato liberato e ha potuto far ritorno a casa, nel piccolo paese nel sud del Salento, accolto dal calore sincero della sua gente.
Ora, chissà se saremo davvero disposti a conoscere le verità colte dallo sguardo libero di Kash, che hanno il sapore del coraggio e il valore della sua stessa vita.

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