Il balletto intorno al patrimonio

7_14_20060404172120Pubblico qui una versione leggermente riveduta e corretta di un articolo compreso nell’ultimo numero di Melissi, che riguarda il dibattito italiano sulla Convenzione Unesco sulla tutela e valorizzazione del patrimonio immateriale. L’articolo è stato scritto in luglio; in seguito, in settembre, il Parlamento italiano ha approvato la convenzione, avvenimento che è stato celebrato il 29 e 30 settembre con una importante iniziativa tenutasi a Roma, tra la Biblioteca Nazionale e i Fori Imperiali.

 

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Il balletto intorno al patrimonio

di Vincenzo Santoro

da Melissi – Le culture popolari, n. 14/15, settembre 2007, Besa editore

L’Italia e la Convenzione Unesco



Per cominciare, le questioni nazionali. Come è noto, da qualche mese è cominciato un interessante dibattito sulle proposte di intervento statale sui temi della tutela e valorizzazione del patrimonio immateriale provenienti dal ministro per i Beni e le Attività Culturali Francesco Rutelli e dal sottosegretario Danielle Mazzonis. Lo stimolo a occuparsene, secondo quanto si è potuto apprendere dalla stampa ma anche da diverse dichiarazioni pubbliche dei due, ha avuto origine proprio dalla discussione in Parlamento sulla ratifica italiana della Convenzione Unesco.

In una intervista apparsa sul quotidiano La Repubblica il 30 dicembre 2006, la prima – che mi risulti – in cui i rappresentanti politici si siano espressi su questo argomento, il sottosegretario Mazzonis annuncia che:

Il Senato ha appena approvato all’unanimità la Convenzione sulla Diversità Culturale, un documento che impegnerà lo Stato a tutelare e quindi finanziare le espressioni artistiche nazionali, dal cinema alla letteratura al teatro. Nelle prime settimane di gennaio, invece, inizierà la discussione sulla Convenzione Unesco sui Beni Intangibili, ossia la grande tradizione dell’etnoantropologia italiana. Ratificata la Convenzione, si dovrà stilare la lista degli eventi da considerare patrimonio dell’umanità. Ma già oggi alcuni esempi di tradizione popolare sono inseriti in una lista mondiale dell’Unesco che ogni anno identifica pezzi di memoria collettiva da conservare e salvare dall’oblio (1).



L’interessante articolo è corredato da alcuni esempi, che dovrebbero rappresentare un campionario di patrimonio da tutelare: la processione dei Flagellanti, il Palio di Siena, il Canto a tenore sardo, la Festa dei Ceri di Gubbio, la festa di Santa Rosalia a Palermo. Infine, una foto con una scena di “neo-pizzica”(2), corredata dalla seguente didascalia: “Taranta – La danza e la trance. La taranta è una famosissima danza e musica pugliese oggi riscoperta ed apprezzata in tutto il mondo. Un ballo che poteva portare alla trance.”



Oltre a questa sollecitazione più propriamente istituzionale, su cui tornerò, ce ne è stata un’altra, di natura più “mediatica”, proveniente da un notissimo personaggio televisivo, Maurizio Costanzo. Questi ha dichiarato di aver ricevuto, nel corso delle sue trasmissioni, molti “gridi di dolore” da parte di cittadini preoccupati della progressiva scomparsa del tesoro delle feste tradizionali italiane; per cui, essendo buon amico del ministro Rutelli, ne ha sollecitato l’intervento per rimediare a tale grave perdita.



Il ruolo di Maurizio Costanzo come singolare testimonial del patrimonio immateriale nazionale appare evidente nell’iniziativa di presentazione degli interventi del Governo, che si svolge all’auditorium dell’Ara Pacis il 19 gennaio di quest’anno, dove l’autorevole personaggio affianca il ministro e il sottosegretario e viene accreditato dalla stampa addirittura come l’ispiratore della politica del Governo.

Nel corso dell’incontro, dal titolo emblematico “Le nostre tradizioni una risorsa per il futuro”, che di fatto ha rappresentato l’avvio del dibattito su questi temi, Rutelli delinea le linee generali su cui il suo dicastero ha intenzione di muoversi. Secondo il ministro(3),



seguendo la linea dell’Unesco, il Mibac(4) ha deciso un’azione di protezione e valorizzazione delle tradizioni popolari del nostro Paese. A questo fine è stata decisa la costituzione di un Comitato scientifico che avrà il compito di scoprire, catalogare e valorizzare le tradizioni popolari individuate come ”patrimonio culturale vivente”.



Del Comitato, presentato nel corso dell’iniziativa, fanno parte Pietro Clemente (Università di Firenze), Lucilla Rami Ceci (Università La Sapienza di Roma), Stefania Massari (Direttrice del Museo delle Tradizioni popolari, Roma), Giuseppe Gala (ricercatore etnocoreologo), Ambrogio Sparagna (musicista), Guido Improta (esperto di turismo). Il compito di Presidente è affidato a Paolo Apolito, docente di Antropologia Culturale presso l’Università di Salerno. Secondo le indicazioni di Rutelli, al Comitato sono affidati due compiti:



stimolare un interesse più allargato intorno alle tradizioni; promuoverle come fattore di attrazione ed ulteriore caratterizzazione dell’offerta di turismo culturale del nostro paese.



Rutelli poi delinea la strategia del Governo in questo campo:



Ci sono tradizioni e culture, che sono i musei, ma ce ne sono tantissime altre vive nella cultura del popolo italiano che, tra l’altro, possono fare da grandi attrattori del turismo e della difesa del territorio.

Rilanciando le tradizioni popolari italiane noi rendiamo anche un servizio all’economia dell’Italia profonda, oltre a tutelare le sue culture incancellabili.

Molto si conta in proposito su un’opera di divulgazione che sarà affidata ai mezzi di comunicazione e ad appuntamenti di dimensione nazionale in grado di “spettacolizzare” le tradizioni e quindi di arrivare al grande pubblico (non solo italiano).

Un’operazione quindi, che partendo dall’Unesco, si colloca in parallelo a quello che tra gli addetti ai lavori viene definito il “turisdotto”, che coinvolge le principali città d’arte, ma anche l’altra forma di turismo culturale centrata sul patrimonio enogastronomico.

La valorizzazione delle tradizioni popolari è il tentativo ardito, ma indispensabile, di conciliare l’aspetto scientifico della conservazione del patrimonio con una attività di divulgazione e di promozione di ”attività nuove” che ripropongano le nostre “tradizioni viventi e di grande seguito”. Tradizioni che sono concepite anche come “apripista” per una valorizzazione più generale del patrimonio artistico e come promozione turistica.

In sostanza, attraverso il Comitato scientifico sarà possibile selezionare ogni anno 15-20 manifestazioni che rappresentano delle eccellenze nelle nostre tradizioni, per segnalarle, promuoverle e sostenerle anche economicamente.



Nel corso dell’iniziativa, Rutelli annuncia inoltre



un primo grande appuntamento nazionale, con la proposta di alcuni esempi viventi e felici di tradizioni popolari, in un unico evento-spettacolo che sarà organizzato a Roma nel prossimo mese di aprile.



Infine, un accenno alla questione (ovviamente centrale) delle risorse finanziarie: Rutelli parla di un primo investimento dedicato al settore, previsto dalla legge finanziaria 2007, di 15 milioni di euro. Su questi fondi, anche per l’imprecisione con cui la notizia sarà riportato dalla stampa, si è fatta molta confusione. Si tratta infatti non di risorse a disposizione per le iniziative a sostegno del patrimonio, ma del fondo a copertura di sgravi fiscali per artisti non professionisti che promuovono la tradizione(5).



Dall’intervento del ministro possiamo trarre in sintesi le linee su cui si sarebbe dovuto muovere il Mibac:



1. adozione della Convenzione Unesco, e attivazione di misure miranti al censimento e alla catalogazione del patrimonio;

2. valorizzazione delle espressioni “di eccellenza”, anche in chiave di sviluppo turistico;

3. organizzazione di un grande evento nazionale, a Roma, con l’obiettivo di rappresentare la ricchezza “viva” del patrimonio nazionale;

4. sensibilizzazione e informazione del grande pubblico, attraverso un lavoro sui mezzi di comunicazione di massa.



Un programma ambizioso e impegnativo dunque, probabilmente il primo tentativo di intervento sistematico su questi temi da parte dello Stato centrale nell’Italia repubblicana. Che suscita grandi aspettative, e il cui solo annuncio provoca una forte mobilitazione a livello locale. Infatti, in seguito alle dichiarazioni dei politici, da una parte si apre un vivace dibattito tra gli addetti ai lavori (nel mondo accademico e in quello delle istituzioni che si occupano di questi argomenti); dall’altra il mondo “di base” dell’associazionismo, delle Pro Loco, dei Comitati per le feste, dei Sindaci letteralmente si scatena in una gara per partire in prima fila in vista dell’inserimento nelle ambite liste Unesco, per aggiudicarsi i fondi che sarebbero dovuti essere messi a disposizione e per accreditarsi come interlocutori di Rutelli e della Mazzonis. Al Ministero arrivano decine e decine di segnalazioni, di sollecitazioni, e lo stesso succede anche per i nostri uffici dell’Anci. Tutto un frenetico e confuso attivismo, una polemica continua – soprattutto sulla stampa locale e sulla vaste rete di siti web dedicati – su chi ha sul proprio territorio il patrimonio “più significativo”, sul perché si dovrebbe scegliere una festa piuttosto che un’altra e via dicendo. Una reazione che, al di là degli aspetti un po’ naïf, testimonia la forte sensibilità delle comunità locali su questi argomenti.



A fronte di tutto questo movimento, dobbiamo dire che purtroppo finora di concreto è stato realizzato ben poco. Il Comitato scientifico ha cominciato il suo lavoro, ha dibattuto vivacemente al suo interno, e ha prodotto degli interessanti documenti di sintesi, che delineano un approccio al problema e tracciano delle linee di intervento molto di buon senso, condivise da gran parte degli operatori (anche se non da tutti). Sul piano pratico però i risultati ancora mancano. Nonostante gli annunci, la Convenzione attende ancora di essere ratificata, e avanza lentamente nelle sedi parlamentari. Di fondi a disposizione, almeno per ora, non se ne sono ancora visti. Il grande appuntamento nazionale previsto ad aprile, che secondo le intenzioni ministeriali avrebbe dovuto essere un evento di notevole portata, al punto di ipotizzare l’utilizzo dall’enorme area del Circo Massimo a Roma – riempita in passato solo con le mega manifestazioni sindacali e con la festa per la vittoria del mondiale di calcio – è stato drasticamente ridimensionato (soprattutto per mancanza di risorse) e rimandato forse a settembre. La campagna mediatica, il cui regista avrebbe dovuto essere Maurizio Costanzo – che intanto parrebbe essersi defilato – non è mai partita. La sensazione è che, come spesso succede nel nostro Paese, quando occorre passare dalle affermazioni di principio alla pratica, dalle parole ai fatti, le cose si fanno subito estremamente più difficili e spesso anche le migliori intenzioni si impantanano.





Alcune proposte



Alla luce del dibattito in corso, vorrei articolare alcune riflessioni critiche su quanto è stato fatto finora, e definire – per forza di cose in maniera schematica – alcune proposte che spero possano essere utili al prosieguo di questa vicenda.



1. Sul piano istituzionale, la prima cosa da fare, senza perdere altro tempo, è di ratificare la Convenzione. La mancanza di questo atto fondamentale (peraltro più volte dato come “ormai fatto”) sta producendo danni gravissimi, perché ci esclude dalle decisioni che vengono prese a livello internazionale. Inoltre, occorre procedere rapidamente alla definizione delle procedure per la selezione dei “siti” italiani da tutelare. Senza avere il quadro di riferimento e le regole si continuerà a parlare del nulla e a fomentare inutili polemiche, destinate peraltro a crescere in mancanza di chiare indicazioni a livello nazionale. In accordo con le previsioni dell’Unesco, la selezione dovrà avvenire con il coinvolgimento degli addetti ai lavori, delle istituzioni e delle comunità locali.



2. Urgente è poi chiarire il nodo delle risorse. Lo Stato, se vuole essere credibile in questa sua intenzione di tutelare e valorizzare il patrimonio immateriale, deve mettere a disposizione dei fondi adeguati. Non si capisce altrimenti come si possa procedere a interventi che siano concreti e non solo di immagine (basti solo pensare ai costi del mero censimento dello sterminato patrimonio custodito a livello locale nel nostro Paese). Sarebbe ad esempio augurabile l’istituzione, con la prossima legge finanziaria, di un Fondo per il Patrimonio Immateriale, magari sul modello di quello attivato a sostegno delle Attività culturali e di Spettacolo dalla finanziaria dell’anno scorso(6).



3. Una volta ratificata la Convenzione (e reperite le risorse necessarie) a mio avviso si dovrebbe procedere alla definizione, insieme a tutti i livelli istituzionali interessati, dallo Stato centrale alle Regioni agli Enti Locali, di Linee guida nazionali, che contengano un piano di interventi di medio periodo, da realizzare a livello nazionale e territoriale. Il percorso di costruzione di queste Linee dovrebbe prevedere innanzitutto una seria riflessione sull’esistente, sulle politiche concrete che in molti casi sono già attuate dalle istituzioni territoriali. Mi riferisco sia alle reti museali (musei delle tradizioni popolari, musei del territorio, ecomusei e strutture analoghe), ai diversi “archivi sonori e multimediali” – pubblici e privati – e alle altre iniziative che costituiscono il perno del sistema di “conservazione” dei patrimoni immateriali; ma anche alle esperienze più avanzate di “valorizzazione” (festival rassegne, carnevali, feste ecc). Inoltre occorrerebbe analizzare con attenzione la legislazione regionale, che in molti casi prevede delle strategie di intervento significative. La legislazione più innovativa andrebbe valorizzata e diffusa anche nelle regioni che ne sono sprovviste.



4. Anche nel dibattito di questi mesi è ritornata la questione su cui di solito ci sono le più aspre divisioni: le priorità tra le politiche di tutela e quelle di valorizzazione. Senza volermi dilungare su un argomento su cui si è discusso anche troppo, mi pare che occorra in questo un atteggiamento per quanto possibile pragmatico. Non c’è dubbio che per il nostro Paese l’intervento più urgente riguardi la tutela e la salvaguardia di patrimoni che sono per loro natura volatili, soggetti a deperimento e a scomparsa. Si dice con ragione che ogni volta che un anziano cantore, un costruttore di strumenti tradizionali o una depositaria della antiche arti della gastronomia locale muore, è come se bruciasse una biblioteca. Queste memorie vanno per quanto possibile salvate, utilizzando per questo le metodologie scientifiche più aggiornate e le tecnologie più avanzate. Occorre anche tener presente però che questi temi sono entrati nel dibattito pubblico diffuso e hanno interessato la politica soprattutto per il successo di alcune esperienze di “valorizzazione spinta”, in cui patrimoni locali sono diventati di fatto attrattiva turistica, generando significative ricadute sul territorio. Queste esperienze, che spesso rispondono anche ad esigenze locali di riappropriazione della propria memoria culturale, si stanno sempre più diffondendo nel nostro Paese, da sud a nord, anche in assenza di politiche nazionali. A mio avviso dunque per la comunità scientifica e per gli operatori più avvertiti sarebbe un errore anche strategico “demonizzare” le politiche di valorizzazione. Occorre invece che gli strumenti delle scienze demo-etno-antropologiche vengano messi a disposizione delle comunità e degli operatori locali per elaborare politiche di valorizzazione coerenti ed efficaci, rispettose e non invasive, che coniughino lo sviluppo locale con il miglioramento della coesione sociale e con una maggiore coscienza della storia e delle peculiarità locali. E che permettano di evitare approcci facili e disinvolti, purtroppo molto presenti in questo settore, che puntano a vendere “brandelli di identità locale ripassati nella consunta padella dei metodi tour-operator(7)”, e che hanno come conseguenza nella maggior parte dei casi la devastazione dei contesti locali e la distruzione degli stessi patrimoni che si vorrebbero salvaguardare.





Questioni salentine



Il dibattito sulla ratifica della Convenzione Unesco trova nel Salento uno dei luoghi di maggiore interesse, perché il movimento di riproposta e riattualizzazione della musica di tradizione (e in particolare della “pizzica”) che in questa provincia si sta dispiegando da una quindicina d’anni è visto come uno degli esempi più importanti ed emblematici di “valorizzazione” di successo di un patrimonio tradizionale. In questo senso ci troviamo di fronte a un vero e proprio “laboratorio vivente”, dove sono più visibili le ricadute positive di questi processi (ripresa forte di interesse per le tradizioni culturali del territorio, aumento del turismo culturale, creazione di posti di lavoro), ma anche alcuni effetti più controversi, che riguardano in particolare la pressione “consumistica” sui siti(8) ma anche l’invadenza degli eventi spettacolari creati dalle amministrazioni locali a scopi promozionali e di marketing territoriale.



Infatti, per effetto anche del grande apparato mediatico che viene messo in campo ormai da diversi anni, tutta la complessa esperienza salentina, che coinvolge miriadi di operatori che a vario titolo si rapportano con la tradizione (musicisti, ballerini, costruttori di strumenti, organizzatori di festival, produttori di libri e cd ecc) viene identificata con l’evento spettacolare di gran lunga più importante e più “di massa” dell’estate, “La notte della taranta”(9). Non è il caso di soffermarsi in questa sede sulle modalità con cui questo vero e proprio “processo egemonico” si sia realizzato (anche se evidentemente hanno molta importanza gli ingenti finanziamenti pubblici di cui, nel tempo, questo evento ha goduto, rispetto alle sempre maggiori ristrettezze riservate al resto delle attività)(10), ma è un dato di fatto con cui fare i conti, che produce evidentemente delle distorsioni, che riguardano anche i temi di cui stiamo parlando.



Se si guarda al dibattito locale, ai primi posti delle espressioni del patrimonio salentino da salvaguardare e valorizzare non vengono indicati, ad esempio, qualche festa come San Rocco a Torrepaduli (che forse sarebbe, per diverse ragioni, l’esempio più interessante in un’ottica di riconoscimento Unesco), un particolare tipo di musica come la “pizzica”, la danza della “scherma” oppure i tamburelli a cornice, o ancora qualche “albero di canto” come Uccio Aloisi o Niceta Petrachi, ma… La notte della taranta! E tale indicazione riemerge di continuo, sulla stampa nazionale e locale, dal già citato articolo del 30 dicembre 2006 su Repubblica, per passare da alcuni degli articoli conseguenti alla conferenza stampa di Rutelli(11), fino a un’intervista al sindaco di Melpignano e “fondatore dell’evento cult dell’estate pugliese” Sergio Blasi, apparsa recentemente su un giornale locale(12), in cui la Notte della taranta è addirittura definita “un bene che l’Unesco vorrebbe tutelare”.



Ora, a parte il fatto che questo grande festival, certamente per merito degli organizzatori, ha raggiunto una tale forza e una tale notorietà da non avere bisogno di tutele, è evidente che anche in questa vicenda si ripropone la solita confusione, molto presente nel Salento, tra i patrimoni tradizionali e i processi di valorizzazione. Nel senso che ancora, dopo tanti anni e infiniti dibattiti(13), non è chiaro che una cosa sono le espressioni della “tradizione popolare” – che forse potrebbero interessare all’Unesco, ma la cui tutela dovrebbe innanzitutto interessare ai salentini – altra i grandi eventi di spettacolarizzazione che li utilizzano con modalità e strumenti che sono propri della musica commerciale(14).



E intanto, mentre si continua a discutere in questi termini un po’ insensati, i veri tesori deperiscono e scompaiono, nell’indifferenza delle istituzioni. Qualche mese fa è venuto a mancare Mesciu Ninu Sancesario di Nociglia, l’ultimo costruttore di tamburelli della nostra tradizione, colui che aveva conservato questa arte antica nel periodo buio dell’abbandono della musica salentina, tra gli anni settanta ed ottanta(15). Di lui e della sua arte non è rimasto quasi nulla, neanche un’intervista. Pezzi della nostra memoria se ne vanno, e continuano a mancare gli interventi più elementari per cercare di salvare il salvabile. Nonostante ormai intorno al rutilante mondo della “pizzica” girino cifre colossali, continuano a mancare le strutture di conservazione, i musei, gli archivi, le biblioteche. Il caso salentino è oggetto di continui studi, si fanno decine di tesi di laurea all’anno, ma poi – nonostante i periodici annunci – non esiste in tutta la provincia di Lecce nemmeno una biblioteca con i tutti i testi sul tarantismo e sulla musica tradizionale salentina, a cui questi studiosi e tutti gli interessati possano rivolgersi. Ci viene detto di avere fiducia, che presto a queste domande verrà data una risposta, che con la costituzione della “Fondazione Notte della taranta”, che dovrebbe occuparsi anche di questi temi, tutto si risolverà. Intanto però – ammesso e non concesso che questa sia veramente la soluzione – della Fondazione, che viene annunciata come imminente da almeno tre anni(16), se ne sono perse le tracce.



Come si coniughi questa situazione con la Convenzione Unesco, che pone la questione della salvaguardia al primo posto, e sollecita “i Paesi del Mondo ad adottare appropriate misure legali, tecniche, amministrative e finanziarie affinché si costituiscano dei Dipartimenti per la Documentazione del loro Patrimonio Culturale Immateriale e affinché quest’ultimo venga reso più accessibile», invitando a costituire «archivi e sistemi di documentazione(17)”, rimane un grande mistero.



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(1) Unesco, è un tesoro il folklore d’Italia, di Maria Novella De Luca, in La Repubblica di sabato 30 dicembre 2006

(2) sulla “neopizzica” e la reinvenzione della danza tradizionale salentina Cfr.: Giuseppe M. Gala, “La pizzica ce l’ho nel sangue”. Riflessioni a margine sul ballo tradizionale e sulla nuova pizzicomania in Salento, in Vincenzo Santoro, Sergio Torsello (a cura di), Il ritmo meridiano. La pizzica e le identità danzanti del Salento, Edizioni Aramirè, Lecce 2002, e, sempre dello stesso autore, il più recente Il dissidio nel corteggiamento e il sodalizio nella sfida: per una rilettura antropologica del complesso sistema dell’etnocoreutica italiana, in Pietro Fumarola, Eugenio Imbriani (a cura di), Danze di corteggiamento e di sfida nel mondo globalizzato, Besa editore, Nardò 2006

(3) Le dichiarazioni che seguono, relative all’incontro dell’Ara Pacis, sono tratte dalle agenzie ASCA e Adnkronos/Adnkronos Cultura del 19 gennaio 2007 e dall’articolo di Pietro M. Trivelli Rutelli: le tradizioni del passato, una forza per affrontare il futuro

(4) Ministero per i beni e le attività culturali

(5) Comma 188 dell’art. 1, legge 27 dicembre 2006, n. 296

(6) La legge Finanziaria 2007 (legge 27 dicembre 2006, n. 296) ha istituito, all’art. 1, commi 1136 e 1137, un fondo di 20 mln di Euro all’anno per gli anni 2007, 2008, 2009 per il cofinanziamenti di progetti sulle attività culturali di spettacolo presentati dalle Autonomie Locali

(7) Cfr.: Luigi Piccioni, Salento, un patrimonio da vivere, in Vincenzo Santoro, Sergio Torsello (a cura di) Il ritmo meridiano. La pizzica e le identità danzanti del Salento, edizioni Aramirè, Lecce 2002

(8) emblematico in questo senso è lo stato in cui è ridotta la festa di San Rocco a Torrepaduli, letteralmente stravolta nei suoi valori culturali e religiosi da un turismo “etnico” aggressivo e irrispettoso

fino a esiti paradossali, come il fatto che ormai tutta la musica tradizionale del Salento viene qualificata come “taranta”, che in realtà è il nome del ragno “mitico” che, col suo morso, innescava le crisi del tarantismo

(9) Cfr.: Vincenzo Santoro, Il “movimento della pizzica” e la politica delle istituzioni locali, in AA VV, Melissi, n. 10/11 Besa Editore, Nardò (Lecce) 2005

(10) Piero M. Trivelli sul Messaggero ne parla in questi termini: “Più ancestrale l’esempio della Notte della Taranta, nel Salento, fenomeno studiato dagli antropologi e che richiama artisti internazionali.”

(11) Blasi, “È roba nostra e non è un format tv”, di Nazareno Dinoi, dal Corriere del Mezzogiorno del 5 luglio 2007

(12) Ultimo di una lunga serie è quello che si è svolto ad Alessano (Le) il 2 febbraio 2007, dal titolo “Puglia terra di musica”, in cui è emersa con forza la richiesta di una politica pubblica di tutela dei patrimoni orali e musicali tradizionali. Una selezione di interventi su questi temi si può trovare su www.pizzicata.it e su www.vincenzosantoro.it

(13) D’altra parte basterebbe guardare a come l’Unesco si è mossa finora per l’individuazione dei Masterpieces of the Oral and Intangible Heritage of Humanity per rendersi conto di quale possa essere il suo campo di interesse

(14) Mesciu Ninu era tanto famoso da meritarsi anche una delle più famose strofe di pizzica: Lu tamburreddu meu è de Nociglia / beatu a ci lu sona e ci lu piglia

(15) Fu un’idea di Ambrogio Sparagna, che venne resa pubblica per la prima volta alla fine dell’agosto 2004. Una ricostruzione della storia tormentata del progetto della Fondazione Notte della taranta, che in tre anni ha cambiato in continuazione ragione sociale e obiettivi, provocando infinite polemiche, ma che ancora non ha visto la luce, si può trovare qui

(16) art. 13 pubblicato sul Messaggero del 20 gennaio 2007

 

per leggere gli altri miei articoli sulla questione Notte della Taranta cliccare qui

 

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